Camminare nel Ghetto ebraico di Roma come era 150 anni fa grazie a una dettagliata ricostruzione tridimensionale. Un “tavolo interattivo” unico al mondo, inaugurato ieri al Museo Ebraico della capitale. L’opera è stata realizzata con avanzate tecniche informatiche e permetterà di rivivere in prima persona uno dei quartieri storici della “Roma sparita”. Il servizio di Michele Raviart:
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Il Ghetto ebraico fu istituto a Roma nel 1555 ed è uno dei più antichi del mondo. Un’area a ridosso del Tevere che arrivò ad ospitare fino a settemila persone in poco più di tre ettari. Con l’Unità d’Italia i Savoia decisero di demolirlo, negli anni ’80 dell’Ottocento, seguendo le direttive del nuovo piano regolatore. Bisognava costruire i nuovi argini del fiume e il Ghetto era in gran parte malsano, privo di servizi igienici e soggetto ad ogni inondazione. Prima della demolizione furono scattate delle fotografie, conservate nel “Fondo fotografico Piano Regolatore 1883”. Materiale d’archivio alla base del progetto presentato ieri. Un lavoro durato circa un anno, che ha impiegato otto persone della società “Katatexilux” e visto collaborare architetti, storici dell’arte, urbanisti e archeologi. Le immagini sono state geolocalizzate informaticamente, ricostruendo i dettagli più minimi, dai numeri civici alla ruggine delle ringhiere. Tra le altre fonti utilizzate, gli acquarelli della “Roma sparita” di Ettore Roesler Franz, ma anche documenti tecnici, come le piante catastali. Il risultato è una ricostruzione tridimensionale, una sorta di “Street view” della Roma di fine ottocento. Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica capitolina:
“I cittadini hanno modo di camminare in una ricostruzione fedele di una porzione molto importante di come era il quartiere della città di Roma. Non c’è un’opera simile nella città, anzi, speriamo che possa essere allargato ad altre zone. Siamo una delle poche comunità che si può permettere non solo di raccontare come era, da dove veniamo: siamo la comunità più antica della diaspora, siamo qui da 2.200 anni, ma a differenza di tante altre, specialmente quelle dell’Europa dell’est, possiamo raccontare chi siamo oggi”.
I palazzi, alcuni fatiscenti, raggiungevano anche gli otto piani, perché non potendo occupare altri spazi, la comunità si espandeva in altezza. Alcune aree sono state più facili da ricostruire, come piazza delle Cinque delle Scole – che ospitava i templi ebraici prima della costruzione dell’attuale sinagoga, inaugurata nel 1904 – o il Portico d’Ottavia. Altre aree sono state più difficili da recuperare, come ci spiega l’architetto Raffaele Carlani, responsabile del progetto:
“Paradossalmente, le parti meno rappresentate sono quelle più ricche del Ghetto. Ad esempio, Via della Rua, perché l’interesse di Ettore Roesler Franz e di chi con spirito romantico indagava il Ghetto non prevedeva invece un quartiere, una zona che era più votata alla modernità. Non è rimasto nulla, è stato demolito tutto. È rimasta solo una parte che in realtà era stata aggiunta al Ghetto nel 1824 e che si è salvata. In realtà, il nucleo storico del Ghetto è stato completamente demolito”.
L’installazione, visitabile al Museo Ebraico di Roma, è un “progetto aperto”. Nuovi dettagli potranno essere aggiunti in caso di nuovi ritrovamenti o scoperte.