Don Luciano Condina – Commento al Vangelo del 11 Aprile 2021

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Con l’incredulità dell’apostolo Tommaso riprendiamo il tema della fede avviato domenica scorsa. Pasqua è la festa della nascita della fede, che origina dalla constatazione della risurrezione; perciò, a buon diritto, possiamo affermare che a Pasqua si festeggia anche il “compleanno” della fede.

Maria di Magdala crede quando incontra Gesù risorto; Giovanni crede vedendo il sepolcro lasciato in ordine; Tommaso afferma addirittura che, per credere, non gli basta vedere Gesù, ma deve toccarne le piaghe, diffidando dei suoi compagni, se non riguardo alla loro buona fede o, quanto meno, sulla lucidità mentale o percettiva.

Dunque la fede si ottiene se Dio ti concede di vedere, di toccare, di fare esperienza della resurrezione di Gesù: Dio, che è buono e giusto, a chiunque voglia ricevere questo dono così grande lo concede, così come ha fatto con i protagonisti dei vangeli.

Ma, per ricevere la fede, è necessario predisporsi ad accoglierla e, in queste prime domeniche di Pasqua, riceviamo proprio due indicazioni operative utili per accoglierla.

La prima: andare al sepolcro. Ogni uomo ne ha uno nel profondo, un luogo buio, in cui sono nascoste le proprie cose innominabili e spesso inconfessabili: il luogo dove viviamo le nostre solitudini, quelle che nulla al mondo riesce a colmare; il luogo del buio esistenziale, da cui scaturiscono tutti i pessimismi e le paure che diventano peccati. Pasqua è la festa in cui si celebra l’evento di questo sepolcro visitato da Dio, illuminato con la risurrezione in una vita nuova: Dio fa saltare via la pietra che lo sigilla;solo lui può farla saltare da dentro. Il sepolcro è analogamente simbolo di quella parte sporca da pulire, di cui parla Gesù a Pietro durante la lavanda dei piedi. Quindi, la prima azione che ci predispone a ricevere la fede è toccare con mano il buio del sepolcro interiore, comune ad ogni uomo, e desiderare che sia illuminato dalla vita di Dio. Dio non può darci qualcosa se non la desideriamo, perciò dobbiamo percepire in noi questo bisogno.  E il desiderio può manifestarsi con l’invocazione: «Signore salvami!».

La seconda indicazione operativa la deduciamo dall’episodio di Tommaso: egli è l’ultimo a credere tra gli apostoli, perché non era presente alla prima apparizione di Gesù ai discepoli. Il collegio degli apostoli rappresenta la Chiesa: dunque, per credere, per ricevere la fede, è necessario stare nella Chiesa. Essa è il luogo che Cristo ha scelto per distribuire i suoi doni, per farsi conoscere e poter entrare in relazione con lui; è, dunque, il luogo in cui lo si può vedere e toccare. Gesù poteva apparire a Tommaso ovunque si trovasse, ma non l’ha fatto: si è manifestato a lui nell’ekklesìa – che in greco indica l’assemblea – nella Chiesa. La fede non è mai un fenomeno privato, è sempre pubblico, perché è un dono che non si riceve mai solo per se stessi, ma per la salvezza di qualcun altro. La fede illumina ogni fatto della vita rivestendolo di dignità celeste e conferendogli provvidenzialità, qualunque cosa accada per quanto tragica possa essere. La fede è come il re Mida e tutto ciò che tocca diventa oro: ogni evento della vita lambito dalla fede diventa luogo di incontro con Dio, diventa gradino più o meno alto della scala che conduce al Cielo.

Entriamo nel nostro sepolcro, gridiamo a Dio il nostro desiderio di essere salvati predisponendoci, nella Chiesa, ad accogliere la fede e lasciamoci così amare da Lui: è la cosa più saggia da fare prima di morire.

Commento di don Luciano Condina

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli