Commento al Vangelo di domenica 12 Dicembre 2021 – don Andrea Vena

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Cosa dice la Parola/Gesù

Siamo giunti alla terza domenica di Avvento, detta “Gaudete”/rallegratevi o della gioia, per il tono festoso che riecheggia dalla Parola di Dio. Una gioia che la liturgia prevede si esprima anche nel colore rosaceo dei paramenti liturgici, in una più ampia proposta floreale e musicale.

Troviamo sempre questa tappa sia nella III di Avvento che nella IV di Quaresima: una sorta di “sosta” nel cammino penitenziale, per riprendere fiato e affrontare con ancor più slancio il cammino liturgico/della vita che conduce alla Meta. Un po’ come quando si sale in montagna quando, sostando stupiti di fronte alla vetta che s’innalza davanti, si dimentica la fatica compiuta e si ritrova lo slancio per affrontare il tratto che manca. Lo stupore e la gioia di questa “sosta” sono dati dal fatto che la “buona novella” è per rivolta a tutti, come dice il testo di Sofonia scelto come I lettura: “Rallegrati, figlia di Sion…Non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore…Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore…”. Una gioia che non si fonda su quanto uno “fa”, ma su una Presenza: Dio è in mezzo a noi, Dio gioisce di ciascuno di noi e ci rinnova con il suo amore: “Dio è la mia salvezza” – canteremo nel salmo – tratto da un brano di Isaia a risposta della profezia di Sofonia. “Dio è mia forza e mio canto…canta ed esulta…grande in mezzo a te è il Santo”. La gioia di questa terza domenica, dunque, trova la sua ragione e sorgente nella presenza del Signore, il Più Forte: una presenza che non esclude nessuno, ma viene per tutti, come avremo modo di meditare nel vangelo.

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vv. 10-11: “Le folle lo interrogavano: “Che cosa dobbiamo fare?”. Rispondeva loro: “Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto”.

Il testo del vangelo è la prosecuzione di quello di domenica scorsa (omettendo i versetti 7-9). Se nei versetti 3-6 abbiamo ascoltato alcune testimonianze riguardo la predicazione del Battista – utili per dare orientamento al cammino del tempo di Avvento – i versetti che la liturgia ci fa meditare oggi puntano sulla reazione della folla. Sì, perché nel deserto la testimonianza del Battista attira le genti che desiderano capire cosa fare: “Che dobbiamo fare?” (cfr At 2,37: “Che dobbiamo fare?”…e Pietro rispose: “Convertitevi”). A nessuno viene chiesto di cambiare attività, ma a tutti viene raccomandata la “carità” (v. 11), il condividere con l’altro, come già la tradizione dei profeti aveva insegnato: dividere il pane con gli affamati, offrire ospitalità ai senza tetto, donare vestiti a chi non ne ha (cfr Is 58,7). E su questa linea si porrà Gesù quando presenterà il giudizio finale: avevo fame, e mi hai dato da mangiare; ero forestiero e mi hai accolto…(Mt 25). Di fatto è un criterio di giustizia, animato dalla carità: è un superare lo squilibrio tra chi ha il superfluo e chi manca del necessario

vv. 12-13: “Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: “Maestro, che cosa dobbiamo fare?”. Ed egli disse loro: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. Lo interrogavano anche alcuni soldati: “E noi, che cosa dobbiamo fare?”. Rispose loro: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”.

Da Giovanni arrivano anche pubblicani (gli esattori delle tasse, malvisti dalla popolazione perché a servizio dei romani e in più estorcevano oltre il dovuto, cfr Matteo: “Perché mangia con i peccatori e i pubblicani…Gesù rispose loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati..” Mc 2,16-17). Neanche a questi il Battista domanda di cambiare mestiere, ma di essere giusti nel non chiedere di più di quanto stabilito, e per i soldati di non abusare della loro autorità. L’insegnamento del Battista mira a dare indicazioni capaci di modificare la condotta della vita quotidiana.

vv. 14-18: “Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”. Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo”.

L’agire e il predicare del Battista suscitano stupore e domande sulla sua identità, tanto che lui stesso interverrà, facendo capire che il “suo” battesimo “con acqua” è preliminare a quello in “Spirito santo e fuoco” che praticherà Colui che verrà, che è il “più forte”, dice il Battista. Per Giovanni il Più Forte era una figura degli ultimi tempi, di colui che avrebbe pronunciato parole ultime. Per spiegare questo concetto, Giovanni si rifà all’esperienza della gente. Il contadino, dice, separa il grano dalla paglia e dalla pula, gettando in aria le spighe battute: il grano, più pesante, ricade a terra mentre la paglia e la pula (più leggere) vengono portate via dal vento, ai bordi dell’aia, dove vengono bruciate. Parole e immagini attraverso le quali il Battista fa capire che il ventilare è immagine del giudizio di Dio, che separa ciò che è buono da ciò che è cattivo (cfr Is 41,16; Mt 25,31ss). In questo modo Giovanni si rivela come colui che prepara la venuta del Messia, del Più Forte, proponendo indistintamente a tutti la buona novella.

Cosa dice a me oggi la Parola/Gesù

Nella prima domenica ci è stata indicata la Meta (andiamo incontro al Signore che viene, quale Re e Signore dell’Universo); domenica scorsa l’atteggiamento di fondo da coltivare, ossia lasciare fare a Dio (sapendo scegliere quel “deserto” che meglio ci aiuta a sintonizzarci con il Signore, per imparare a collaborare con Lui, il solo che sa cosa sia giusto per noi, imparando a lasciarci correggere le vie tortuose della nostra cocciutaggine e colmare i burroni della nostra superficialità).

Oggi, in questa sosta del cammino, mentre ci viene offerta la possibilità di scorgere la Meta e ripensare al cammino fin qui compiuto, siamo invitati a gioire: il Signore è in mezzo a noi, viene per ciascuno di noi, per tutti, come ci diceva Isaia domenica scorsa: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” (Lc 3,6). Era proprio questa la Parola scesa su Giovanni che nel deserto grida un perdono donato a tutti. A tutti! E per capire questa gioia basterebbe imparare a mettersi dall’altra parte: perché noi crediamo di essere i prescelti a priori, ma se per caso fossimo noi gli esclusi? Pensiamoci per un istante. Fossimo noi gli “scartati”… la certezza che Dio viene per tutti si trasformerebbe in una gioia ancora più grande! Qui sta la ragione ultima della mia e nostra gioia: il Signore viene per rinnovarci nel suo amore misericordioso. Ecco perché è importante guardare alla vita (e alla Chiesa) dalla periferia, come dice papa Francesco, dalla parte degli scartati. Perché non spetta certo a me o ad altri stabilire chi amare o non amare (cfr Lc 15,….: il Padre ama il figliol prodigo e il figlio maggiore in ugual misura, e noi siamo invitati a diventare né il figliol prodigo né tanto meno il figlio maggiore, ma il Padre: “Siate perfetti com’è perfetto il padre vostro del cielo” (Mt 5,43…), evitando di cadere nel peccato di gelosia: “Sei forse tu geloso perché sono buono?” (cfr Mt 20,1-16).

Le folle del vangelo – siano stati essi giudei, pubblicani, soldati – avevano capito dalle parole del Battista che stava avvenendo qualcosa di grande, di bello. Questo li ha cambiati dentro, li ha infiammati dell’amore di Dio e verso Dio (Ger 20,7-9, “nel mio cuore c’era come un fuoco…”). E nel momento che anche tu senti vivo questo fuoco d’amore, non puoi che cambiare, ben sapendo che il cambiamento porta con sé “desiderio” e “timore”. Il “desiderio” della novità, di quanto abbiamo intuito nel cuore a tal punto che ci si sente infiammare di gioia; ma nello stesso tempo il “timore” di perdere quanto abbiamo: “C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo” (cfr Rom 7,17-18). Così il “cambiamento” porta con sé il “combattimento interiore”. Come dicevamo domenica scorsa, non si tratta di estirpare il male che c’è intorno a noi e in noi, perché questo è impossibile. Si tratta di cominciare a evitare il male, mirando al bene possibile, come ricorda il Battista alle varie categorie di persone che lo raggiungono. E già questo cammino diventa per noi “pellegrinaggio”. In fondo, il “pellegrinaggio” più vero non è tanto quello che si fa andando a Santiago o Gerusalemme o… (tutti posti belli ed esperienze che meritano, se esprimono un cammino/un cambiamento interiore), ma, come diceva don Tonino Bello, è il passare “dalla nostra testa ai piedi degli altri”. È quello di farci prossimo verso quanti incontriamo lungo il cammino (cfr Lc 10,25ss), il buon samaritano) e condividere insieme un tratto di strada, sapendo raddrizzare i sentieri dei pre-giudizi, e colmare i burroni dell’indifferenza o dell’ostilità (cfr domenica scorsa). Dio viene, la Parola – dicevamo domenica – “accade” in Giovanni e continua ad “accadere” in ciascuno di noi. E quando “accade”  ci scopriamo fratelli tutti.

Un secondo dono del Battista in questa domenica è “suscitare speranza”. È coltivare desideri grandi. Vivo, viviamo in un tempo in cui soffochiamo ogni desiderio, e non attendiamo più nulla. L’innamorato di Dio è colui che, infiammato dall’amore del Signore, sa infiammare gli altri con la sua vita. Li sa incoraggiare, stimolare. Li contagia della sua speranza e del suo stupore. Troppo spesso siamo appiattiti sul presente o prigionieri di cose passate. La gioia sgorga lì dove permettiamo alla Parola di “accadere”, e la nostra gioia risveglia la gioia e l’attesa dell’altro.

Lungo il cammino d’Avvento che ci condurrà pian piano verso “Betlemme” ad adorare il Bambino, siamo invitati a camminare insieme, a guardarci non con sospetto, ma da “fratelli tutti”. Tutti siamo in cammino verso la stessa meta, anche se per sentieri diversi e spesso tortuosi.

La liturgia ci sta aiutando a capire che il modo più bello e autentico per giungere alla Grotta è proprio vivere l’esperienza che Gesù è venuto a portare con la sua vita e a sigillare con la sua morte e risurrezione: vivere da fratelli e sorelle! Non ci viene chiesto altro. Dio ci ha rinnovati nel suo amore, tutti, indistintamente. Questa è la gioia, questo è l’atteggiamento di fondo che deve caratterizzarci. La presenza di Gesù, l’Emmanuele, il Dio-con-noi è sorgente, ragione di gioia. A noi tutti rallegrarci! Nei nostri cuori, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità… A noi divenire artigiani di gioia e fratellanza, sapendo tessere con pazienza il filo dell’amicizia, della fiducia, della speranza, del perdono, della carità. Questo sarebbe, anzi questo è il dono più vero che possiamo farci in vista del Natale, sapendo che ogni gesto di quotidiana carità ci apre all’infinito. Non siamo invitati a inventarci chissà cosa, ci ha detto il Battista, ma a capire che ogni gesto che può apparire “ovvio”, come il dar da bere o da mangiare, è di tale portata che non ci rendiamo conto, perché è fatto a Gesù stesso (cfr Mt 25). Il problema in fondo non è allora “moltiplicare”, ma “condividere” (cfr Gv 6,6ss), che significa imparare a prenderci cura gli uni degli altri. E’ proprio questo il tema e il senso della sinodalità a cui ci spinge papa Francesco.

Come ci ricorda san Paolo nella II lettura – anch’essa collegata al vangelo – non angustiamoci di nulla, ma preghiamo e aiutiamoci nelle difficoltà: nulla ci turbi. Potranno portarci via i beni, la libertà, le nostre conquiste… ma nessuno potrà sottrarci la gioia, perché per noi la gioia ha un volto e un nome, Gesù. Lui è l a nostra Gioia, la nostra Speranza: Lui è il Più Forte. Perché Gesù parla al cuore. Infiamma il cuore. E il coraggio della vita nasce sempre dalla passione del cuore, perché è l’amore la forza che trasforma la vita e le cose. È l’amore che fa dimenticare i “timori” e infiamma i “desideri”, sapendo intraprendere autentici cammini di cambiamento. Cammini di gioia. Basterebbe guardare ai santi!

Cosa rispondo io oggi alla Parola/Gesù

Colletta anno C

O Dio, fonte di vita e di gioia, rinnovaci con la potenza del tuo Spirito, perché affrettandoci sulla via dei tuoi comandamenti, portiamo a tutti gli uomini il lieto annuncio del Salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio.

Io rispondo così…

Conoscermi in te

Signore Gesù,

a te, che per tua grazia

mi hai rinnovato nel tuo Amore, innalzo un inno di lode e di gioia

per la fiamma d’amore che hai acceso in me. Fiamma che mi guida quando brancolo nel buio. Fiamma che mi sprona a una misura alta della vita. Fiamma che mi coccola quando sono abbattuto.

Fiamma che illumina chi mi sta accanto. Io so, Signore Gesù,

che non c’è peccato o avversità che possa spegnerla,

ma c’è sempre il rischio

che io la nasconda sotto la cenere della routine e della tiepidezza,

della fragilità e della fatica, anche del credere. La fiamma viva del tuo eterno amore trasformi lo sguardo verso quanti incontro, trasformi la stretta di mano che darò, trasformi la mia reazione alla fatica,

trasformi la mia lingua per quanto dirò, trasformi il mio udito per quanto ascolterò, trasformi il mio cuore per quanto amerò.

Trasformi me, perché sia sempre più Te, fiamma viva d’amore eterno. (AV)


Il commento al Vangelo di domenica 12 dicembre 2021 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.