SEDOTTI COME MATTEO DALLO SGUARDO COMPASSIONEVOLE DI GESU’ CI ALZIAMO PER SEGUIRLO ABBANDONANDO LA MISERIA DI UNA VITA LONTANA DA LUI
“In quel tempo” che è ogni tempo, l’oggi unico e irripetibile che ci accoglie, “passa” Gesù e “vede un uomo”, l’opera “molto buona”, del Padre, la “più bella”. Gesù “guarda” Matteo, un peccatore intento a peccare, e vede se stesso, nel quale anche quell’uomo è stato creato. Lo “guarda” e lo “chiama” a “seguirlo”, e questo è l’amore di Dio; uno sguardo, una voce che chiama e ricrea donando all’uomo una bellezza sconosciuta; la bellezza del perdono. Una voce, uno sguardo, e una parola, tutto è accaduto proprio lì, dove Matteo era in quello stesso istante, immerso nel suo impuro lavoro di esattore.
Aveva ricevuto in appalto dal procuratore romano la riscossione delle tasse, il portorium, il diritto di dogana e pedaggio che doveva pagare chi viaggiava al confine fra le tetrarchie di Erode Antipa e di Erode Filippo; Molto probabilmente, Matteo taglieggiava i contribuenti, come un mafioso. Basta pensare cosa evochi in noi questa parola per capire che vita facesse Matteo: mafioso e collaborazionista, peggio di un kapò in un campo di concentramento. Impuro come un lebbroso, a contatto con la lebbra dei romani, che priva della libertà e dei beni. Come un paralitico, inchiodato alla sua sedia a rubare e a rovinare i suoi fratelli. E lì, in quel vomito di vita, lo ha raggiunto un raggio di luce, come ha inimitabilmente dipinto Caravaggio.
Una voce, uno sguardo e una parola: è Gesù, l’unico a cercarlo e guardarlo, chiamarlo, amarlo così come Matteo era, senza moralismo, senza alcun giudizio. Lo ha amato al punto di volerlo con sé. E chi si prenderebbe ora, così su due piedi, un mafioso in casa? Chiamare Matteo, infatti, è stato come consegnare a un ladro l’amministrazione della propria banca: Gesù ha consegnato i suoi tesori, le sue cose più preziose a un approfittatore, a un impuro e indegno peccatore. L’assoluta eccezionalità di questa esperienza ha generato in Matteo l’eccezionale, la conversione. La “misericordia” ha acceso la gratitudine. Come non “seguire” l’unico che lo aveva amato, l’unico che lo aveva guarito e strappato all’inferno? Matteo ha toccato un amore più grande d’ogni altro, qualcosa di mai visto, sentito, vissuto, qualcosa che ti prende fin dentro, nel più profondo di te stesso, e ti trascina con sé, in una pace mai sperimentata, una tenerezza mai immaginata, l’amore celeste che non è presente nella natura, l’amore di Dio che può essere solo donato e accolto con umiltà.
Matteo ha “imparato” che la “misericordia” è l’unico “sacrificio” che Dio “vuole” perché ha sperimentato che essa è un dono inaspettato e immeritato, che tocca l’uomo senza porre condizioni, sino a trasformare i cuori e le menti in strumenti di misericordia. Mathaios, traduzione greca dell’ebraico Mattai che significa proprio “dono di Dio”, è immagine e profezia di ogni uomo che è “andato” e ha “imparato” che la misericordia è una chiamata, un’elezione gratuita che si può accogliere solo con stupore e gratitudine. Allora “alzarsi” – che in greco è reso dallo stesso verbo che indica la resurrezione di Gesù – e lasciare tutto per “seguire” Gesù non è l’esito di una propria scelta moralistica – Matteo non si aspettava nulla di simile, era stato sorpreso nella sua sporca quotidianità – ma il frutto di un innamoramento irresistibile e concretissimo, la conseguenza inevitabile dell’essere stato amato senza esigenza e senza riserve.
Per Matteo, “andare” dietro a Gesù ha significato la guarigione del cuore, come per gli altri “malati bisognosi del Medico” e raggiunti dalla sua misericordia rigenerante: la suocera di Pietro, il lebbroso e il paralitico; come loro, Matteo si è sentito immediatamente libero, e così, “alzarsi e seguire” Gesù è stato l’inizio di una vita libera, altro che rinuncia, sforzo o sacrificio! Lasciare tutto è, semplicemente, aver trovato l’Unico per cui vivere è bello, vero, santo; è essere rapiti dall’amore che è impossibile anche sognare, ma al quale tutto, in ogni uomo, tende invincibilmente. Lascia tutto chi ormai ha tutto, perché appartiene a Gesù, e tutto il resto torna al posto che gli compete, sciolto dall’assolutezza che gonfia di inautenticità persone e cose sino a farne degli idoli tirannici. Niente di più lontano dall’alienante immersione nelle meditazioni che strappano alla crudezza dell’incarnazione e dal moralismo sempre indignato di chi si illude di trasformare la terra in un paradiso con le proprie forze e presunte virtù.
Solo chi, sorpreso e raggiunto dalla misericordia, si scopre nudo e peccatore, senza meriti da esibire, può accogliere Cristo; chi suppone d’essere giusto in mezzo a tante ingiustizie non può comprendere, si scandalizza che l’amore “si adagi a mensa con i peccatori”, confonde la misericordia con il male, si chiude nei propri giudizi, e finisce con il prendere il posto di Matteo, escluso dalla comunione con Dio, nella quale invece il pubblicano è stato riaccolto. Ma Cristo viene anche oggi alla nostra vita, sin dentro i nostri peccati. Non importa se non lo stiamo aspettando, se siamo intenti ai nostri loschi traffici. Importa il suo amore, importa l’esperienza, vera e reale, del suo perdono. Importa la libertà. Essa è per noi, incastonata negli occhi misericordiosi e compassionevoli di Gesù, risuona nella sua parola annunciata dove siamo oggi sprecando la nostra vita: Lui viene a trasformare il nostro tavolo di gabelliere in una mensa imbandita per chi ci è accanto.
Con Matteo possiamo passare dalla tristezza alla gioia, dal lutto alla festa, dalla solitudine all’Eucarestia, dalla bruttezza del peccato alla bellezza dell’amore. Gesù sta posando il suo sguardo su di te, te ne sei accorto? E ti vede bello, bellissimo, da innamorarsi perdutamente. Per questo unico amore davvero gratuito, il Signore ci “alza” dal peccato per “stenderci” a riposare e saziarci intorno al banchetto che Lui stesso ha preparato: tutta la nostra vita, anche i peccati, ci hanno preparato a queste nozze, al talamo casto dove donarci a chi a noi si è donato. E così, intorno a quella mensa, annunciando il Vangelo che “chiama” alla pienezza della vita, potremo chiamare moglie, marito, figli, parenti, amici e nemici a partecipare dello stesso amore, della stessa libertà, della stessa gioia. Tutta la nostra storia ci segue – nessuno è perduto, nulla si butta – per godere della riconciliazione che sboccia dalla vittoria di Cristo; tutto di noi, nessuno e nulla escluso, è chiamato con noi al banchetto, perché chi è stato raggiunto e guardato da Cristo, attira e assorbe nella sua nuova vita anche il vecchio che il demonio aveva già avvelenato con la corruzione.
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
Mt 9, 9-13
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.