Vangelo del giorno – sabato 28 luglio 2018 – don Antonello Iapicca

SALVATI DALLA PAZIENZA DI CRISTO CHE FISSA E PROTEGGE CON AMORE IL GRANO ACCERCHIATO DALLA ZIZZANIA

Anche stamattina Gesù è accanto a noi in attesa del nostro risveglio. Sembra quasi che, mentre apriamo gli occhi, ci abbracci e ci stringa forte a sé, sussurrandoci le parole di questa parabola per confortarci e illuminarci; come tutti gli altri, anche questo giorno è accovacciato accanto alla nostra vita, e ci attende gravido di zizzania: “nella notte, infatti, è venuto il nemico e l’ha seminata in mezzo al grano”. Ecco perché i nostri giorni sono pieni di “fatica e sudore”, assediati dal male dentro e fuori di noi. Ma in principio non fu così, ne questo era il progetto di Dio; all’origine del mondo “fu sera e fu mattina”, e non v’era traccia del nemico, solo un crescendo di bellezza e armonia, sino alla sua opera più bella, molto buona: “Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono” (Sap. 2,23-24). La “notte” della parabola” è, dunque, l’invidia del diavolo, etimologicamente il divisore, il “nemico” che attenta all’unità, alla comunione, all’obbedienza, all’amore, cercando di conquistare gli uomini per dividerli, da Dio prima e tra loro poi. Proprio su questo punto della “divisione” trovano senso le parole con le quali “il Padrone” risponde ai “servi” che volevano “raccogliere la zizzania”: “No, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura”. Non dovevano “dividere” prima del tempo il bene dal male. Certo, questo non significa restare indifferenti al male, scivolando nel relativismo stolto del mondo. Anzi: “Qualunque sia l’esperienza, il quadro che abbiamo davanti agli occhi, delle condizioni morali del nostro tempo, della società, degli esempi che ci si offrono, giammai dobbiamo perdere il senso del bene e del male; né devono esistere confusioni nella nostra anima; il nostro giudizio sia sempre preciso, nettissimo: sì, si; no, no. Il bene è una cosa, il male è un’altra. Non si possono mescolare; anche se la realtà li mostra come in convivenza, frammisti l’uno all’altro. Il giudizio morale, per un cristiano, ha da essere severo, rettilineo, costante, limpido e, in un certo senso, intransigente. Bisogna dare alle cose il loro proprio nome: questo si chiama bene, quello si chiama male. E cioè: la coscienza non dev’essere mai indebolita e alterata, o resa indifferente, impassibile, poiché non è lecito applicare indistintamente i criteri del bene e del male alla realtà sociale che ci circonda” (Paolo VI). E proprio per non mescolare e confondere zizzania e grano, per avere un giudizio nettissimo e limpido, il Signore ci invita a prendere coscienza che la zizzania è una realtà, ma il pericolo più grande non viene da lei, ma dall’illusione che, sradicandola, si risolva il problema della sofferenza, del dolore degli innocenti, del male nel mondo. In queste parole di Gesù vi è condensato tutto il realismo cristiano. Su di esso si fonda l’autentico e infallibile discernimento che Dio ha donato alla sua Chiesa. Essa è nata dal costato trafitto di Cristo come il frutto benedetto del suo combattimento con il nemico. E’ “la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia” (1 Pt. 2,9-10). I suoi figli, infatti, hanno fatto l’esperienza di essere stati “sperduti come un gregge” e che “ognuno seguiva la sua strada”; ma possono attestare e confessare che “il Signore fece ricadere su Cristo l’iniquità di noi tutti” e che “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia”. La Chiesa, dunque, sa “da dove viene la zizzania” proprio perché sa da dove essa è stata tratta. Sa che Cristo l’ha salvata dal “nemico”, riscattando i suoi figli dalla divisione. Per questo è “il seme buono seminato nel suocampo” come primizia dell’umanità e profezia della volontà di Dio che “non è di giudicare il mondo ma di salvarlo per mezzo del suo Figlio unigenito”; Egli, infatti, “doveva morire… non soltanto per Israele, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv. 11). Da questa esperienza che diviene fede incrollabile, la Chiesa sa che la zizzania si combatte solo difendendo “l’essenza della Chiesa di essere una”, secondo la volontà di Dio: essa, infatti, “è stata manifestata dall’effusione dello Spirito Santo, e avrà glorioso compimento alla fine dei secoli” (Lumen Gentium). Ed è proprio “lo Spirito Santo, che abita nei credenti e tutta riempie e regge la Chiesa”, e che “produce quella meravigliosa comunione dei fedeli e tanto intimamente tutti unisce in Cristo, da essere il principio dell’unità della Chiesa” (Unitatis redintegratio). L’unità è l’unico argine alla divisione che esiste nel mondo soggiogato dal suo principe. A questo realismo che fonda il discernimento sugli eventi, siamo chiamati tutti. Senza di esso non sapremo stare al mondo, compiendo giorno per giorno la missione affidata alla Chiesa. 
 

Noi non siamo come il mondo, sappiamo che “solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l’intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo. E abbiamo visto che, con ciò, sempre un punto di vista umano e parziale veniva preso come misura assoluta d’orientamento. L’assolutizzazione di ciò che non è assoluto ma relativo si chiama totalitarismo. Non libera l’uomo, ma gli toglie la sua dignità e lo schiavizza. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l’amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore?” (Benedetto XVI). Ecco il cuore della parabola: la zizzania non si combatte con la violenza che producono altre divisioni; non così siamo stati salvati noi, ma dall’amore di Dio che, dopo aver seminato in noi il seme buono dell’immagine e somiglianza con Lui, ha avuto la pazienza di “lasciare crescere insieme il grano e la zizzania” in noi e attorno a noi. Ci ha lasciato liberi come il padre del figlio prodigo, anche di farci soffocare dalla menzogna del nemico, e di vederci crescere come zizzania. Ha saputo aspettare che “la messe fiorisse e facesse frutto”, sino al “momento della mietitura”, quando ha “inviato i mietitori”, gli apostoli, a “cogliere prima la zizzania e a legarla in fastelli per bruciarla”, ordinando di “riporre il grano nelsuo granaio”. Proprio quando, come il figlio prodigo, siamo precipitati nell’abisso del peccato, condannati alla fame e alla solitudine, è giunto per noi il “momento della mietitura”: gli apostoli, ovvero i pastori e i catechisti, forse i genitori o un amico, insomma qualche angelo ci ha annunciato il Vangelo ridestando in noi la nostalgia della casa del Padre e il desiderio di tornarci, cioè di convertirci per ricominciare a vivere secondo la natura del “seme buono” deposto in noi. Avevamo dilapidato l’eredità, è vero, ma il grano non era diventato zizzania! Anzi, proprio la certezza della misericordia di Dio che la Chiesa ci ha annunciato, ha svelato la natura malvagia della zizzania che era cresciuta in noi e attorno a noi. “Il mistero dell’iniquità” infatti, “si illumina soltanto alla luce del mistero della pietà. La rivelazione dell’amore divino in Cristo ha manifestato ad un tempo l’estensione del male e la sovrabbondanza della Grazia” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 385). Per questo la Chiesa, assemblea di figli prodighi, sa che “il Signore ha seminato del seme buono nel suo campo”, ma sa anche che esiste il diavolo, il nemico dell’uomo, che semina il male “di notte”, occultando nel buio della menzogna la totalità della Verità, presentandone un frammento interpretato con malizia. La Chiesa sa che, per aver dato credito al demonio, gli uomini sono feriti dal peccato; ma sa anche che non sono completamente corrotti. Che anche dove si vede solo zizzania, concupiscenza ed egoismo, violenza e sopraffazione, adulteri e aborti, anche lì vi è nascosto il buon grano. Solo la Chiesa sa vedere il “seme buono” oltre l’apparenza assordante del male; per questo non può “raccogliere la zizzania”, rischierebbe di “sradicare il grano”! Bene, con queste parole ci accoglie oggi il Signore, per accompagnarci anche in questo giorno, come in ogni istante, in ciascun evento, in tutte le relazioni della nostra storia. E ci consola e sostiene nel combattimento contro il demonio, che ci vorrà spingere a ribellarci al male, a resistere al malvagio, a fare e farci giustizia; se ci convincesse avrebbe vinto! E invece no, il Signore ci chiama a seguire le sue orme e a non resistere al male, ma a caricarci di ogni peccato incontreremo sul nostro cammino. Ad amare, amare, amare, difendendo in noi l’opera dello Spirito Santo, l’unità e la comunione con i fratelli, per vincere il male con il bene. Perché se la Chiesa, e la nostra vita in essa, sarà autentica e credibile testimone dell’amore di Dio, con lei e la sua predicazione giungerà per ogni uomo il “momento della mietitura”. Allora, dinanzi allo splendore dell’amore crocifisso, la zizzania getterà la maschera, e gli apostoli, tu ed io a casa, al lavoro, ovunque e con chiunque, potranno, senza più timore di “sradicare” il bene seminato in ogni uomo, “cogliere” le menzogne e “legare in fastelli”, ovvero perdonare i peccati ormai svelati e accettati, per gettarli nel fuoco purificatore. Coraggio allora, anche l’ora più monotona, anche i dolori più lancinanti, tutto di noi è importante, perché ci fa crescere nella fede e fa risplendere il “seme buono” in noi; non temiamo di infilarci e crescere nella Chiesa accanto alla zizzania del mondo. E’ la nostra missione, essere quello per cui siamo stati creati, e dare ogni giorno, sulla Croce forse nascosta agli occhi di tutti, il frutto che conferma e dà credibilità al “giudizio morale del cristiano”, l’opera dello Spirito Santo in noi capace di smascherare la zizzania e consegnarla al suo destino di distruzione eterna. 

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

Mt 13, 24-30
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo:
«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”.
E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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