Vangelo del giorno – 9 Novembre 2022 – don Antonello Iapicca

IL “FLAGELLO” DI CRISTO CHE, PURIFICANDO CUORE, MENTE E CARNE, CI “DEDICA” A CRISTO E AI FRATELLI

Si avvicina la Pasqua dei Giudei, il compimento della missione, la testimonianza della Verità. E, profeticamente, il Vangelo di oggi rivela quello che Gesù farà nella sua Pasqua, quale martire della Verità. Il Tempio, il luogo della presenza di Dio, era divenuto un luogo di mercato: all’adorazione e all’amore era subentrato l’interesse. Il Tempio, centro e fondamento dell’universo, era profanato. Gesù, divorato dallo zelo divino, vi entra per riprenderne possesso, per tornare a dedicarlo a Dio. E, per questo, compie un gesto che è insieme segno dell’avvento del Messia e profezia dell‘autentica dedicazione che realizzerà nella sua Pasqua. In ebraico, il termine hebel, tradotto con “sferza di cordicelle”, il flagellum romano dal greco phragellion che compare nel vangelo, significa allo stesso tempo corda e dolori, in particolare quelli del parto. Gesù prende un flagello e comincia a seminare terrore, come annunciato dai Profeti e come anche la tradizione rabbinica immaginava l’avvento del Messia.

Esso infatti sarebbe stato un vero e proprio flagello brandito dal Messia, e che avrebbe provocato dolori frutti della purificazione dei vizi e dei peccati. Per questo i Giudei non si indignano per il gesto in sé, ma chiedono a Gesù il segno che legittimi il suo “fare queste cose”. Il punto su cui verte il Vangelo di oggi non è il Tempio ma la figura di Gesù. E non è un caso che, per celebrare la Dedicazione della Cattedrale di Roma, “madre e capo di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe” si proclami questo brano. Non celebriamo un Tempio di mattoni, per quanto bello e importante. Celebriamo Cristo, l’autentico Tempio di Dio, la sua dimora tra gli uomini. In Lui e nel suo amore infatti, siamo chiamati proprio a dimorare, per vivere la vita come un’interrotta liturgia di lode.

E Gesù, nel rispondere all’obiezione dei Giudei, rivela se stesso profetizzando la sua Pasqua. Essa non sarà più quella dei Giudei, un rito ormai vuoto compiuto in un luogo di mercato. Sarà la Pasqua dell’Agnello senza macchia, puro, che libererà le pecore dalla mano del nemico. Sarà la Pasqua di Gesù che dedicherà il suo Tempio all’autentica lode nell’unico e valido sacrificio. Il flagello che ha brandito durante la loro Pasqua, lacererà le sue carni, e sarà perdono per ogni uomo. Il flagello che avrebbe dovuto percuotere noi, mercanti avidi e avari che hanno pervertito la santità del tempio facendone un luogo di traffici, compromessi e adulteri, ha raggiunto il corpo senza peccato del Signore. Il nostro corpo donatoci per amare, ridotto ad una sentina di vizi, di perversioni, dove commerciare affetto, prestigio, potere, non avrebbe potuto schivare il flagello dello zelo geloso di Dio se il corpo benedetto del Signore non ne avesse catalizzato i colpi.

“Non fu per appagare la rabbia dei demoni, la ferocia dei giudei, la brutalità dei pagani che il corpo di Gesù fu scarnificato ed infranto, ma per servire da medicina alla nostra salute. Oh mistero, dunque! Quanto più orribile fu per parte degli uomini, altrettanto più tenero fu per parte di Dio, il quale — nell’eccesso della sua misericordia — dispose che tutto servisse per la salvezza del genere umano!” (Sant’Agostino, Sermone CXIV, De tempore).

Gesù usa termini inequivocabili: “sciogliete” il “Santo dei Santi” e lo farò “sorgere” in “tre giorni”. In una frase rivela la sua missione e la sua identità. Egli è il cuore del Tempio, il Luogo della Presenza dove era custodita l’Alleanza. In esso aveva accesso una volta all’anno il solo Sommo Sacerdote, nel giorno solenne dello Yom Kippur, il giorno del perdono e dell’espiazione. Vi entrava pronunciando il Nome del Dio Altissimo, nel quale ogni peccato era perdonato. Il velo che divideva il Santo dei Santi dal resto del Tempio precludendone l’accesso sarà squarciato  in due, sciolto, al momento della morte del Signore. “Cristo invece… non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna…

Avendo dunque, fratelli, piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, per questa via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne; avendo noi un sacerdote grande sopra la casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso” (Eb. 9-10). Gesù è il Nome di Dio che ci è dato per essere perdonati, oggi, come sempre. Nella sua Pasqua ciascuno di noi è riconciliato con Dio, può accedere al Santo dei Santi, ed offrire la propria vita a Colui che l’ha riscattata. Per mezzo di Cristo siamo così nuovamente dedicati a Dio; come nel Rito della dedicazione di una Chiesa, anche noi, unti dello Spirito nel quale Gesù si è offerto al Padre, diveniamo altari consacrati per dedicare a Dio la nostra vita.

Ogni giorno possiamo allora celebrare un’anticipo della liturgia celeste che canta la vittoria di Cristo sulla morte. Ogni evento, ogni persona, tutto ciò che costituisce la nostra storia è attratta in questa liturgia dove, in noi, il Signore offre il suo corpo ed il suo sangue per salvare questa generazione. Portiamo infatti nel nostro corpo lo stesso morire di Cristo che scioglie la carne perché si doni senza riserve. La carne trasfigurata e deposta nel Santo dei Santi, nell’intimità di Dio, nel cuore di Cristo, può donarsi, può essere Tempio dello Spirito Santo. Così possiamo vivere secondo l’esortazione di San Paolo ai fratelli della comunità di Roma: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm. 12, 1-2).

Siamo chiamati a vivere il matrimonio, il fidanzamento, il lavoro, le amicizie, lo studio come un culto spirituale, elevando al Cielo la lode e il rendimento di grazie: ogni relazione, ogni attività è come un’eucarestia che ci conduce a offrirci e prendere su di noi il peccato degli altri, e a portare tutti e tutto nel Santuario del Cielo. “Voi siete pietre del tempio del Padre, destinate alla costruzione di Dio Padre, portate in altro dall’argano di Gesù Cristo, che è la croce, usando per fune lo Spirito Santo… La fede è la vostra leva e la carità la strada che vi conduce a Dio. Siete tutti compagni di viaggio, portatori di Dio, portatori del tempio, portatori di Cristo e dello Spirito Santo, in tutto ornati dei precetti di Gesù Cristo”. (S. Ignazio di Antiochia, Agli Efesini, 9,1).

La Chiesa è il Corpo benedetto di Cristo dedicato a Dio che si offre come barriera a raccogliere i flagelli destinati ad ogni generazione. Nell’insulto che oggi ci toglierà l’onore; nella calunnia che ci metterà alla berlina; nella ribellione del figlio; nell’incomprensione del coniuge; nella tentazione della concupiscenza; nella malattia che ci indebolisce; nei fallimenti della missione; in tutto, si nasconde il flagello geloso di Dio che, da un lato ci purifica giorno dopo giorno, e dall’altro lacera il nostro corpo perché il mondo, il prossimo e anche il nemico, abbia accesso alla vita. La Chiesa completa nel suo corpo quello che manca alla Passione di Gesù, e proprio per questo  è dedicata a Dio. L’autentica dedicazione infatti si realizza attraverso i colpi della flagellazione che rendono la Chiesa, paradossalmente, bella e senza macchia; ma è proprio attraverso le ferite profonde inferte dai flagelli che i flagellatori possono trovare un pertugio per il quale entrare nel Cielo. La vita della Chiesa, la nostra vita, è racchiusa nei tre giorni del mistero di Cristo, tra il flagello che strazia la carne, il dolore del parto, e la nascita di una vita nuova.

Dedicati a Dio sin dal seno materno siamo chiamati a vivere in pienezza il mistero che dedica a Dio ogni uomo, anche il più lontano, perduto, dedicato al demonio e alle sue menzogne.

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