Oggi è sabato santo, ed è il giorno dell’impaziente attesa. E’ il tempo in cui si trattiene il fiato prima di saltare, prima di riuscire da sott’acqua, prima di spalancare la porta e vedere chi c’è dentro.
Normalmente quest’apnea dura qualche istante, la liturgia la prolunga per un intero giorno, mentre i Vangeli per ben tre giorni…La stessa apnea che Giona fece nella pancia della balena che lo aveva ingoiato, prima che lo vomitasse sulla spiaggia della sua vocazione.
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Ma anche quest’apnea ha un gran ruolo in tutta questa storia. Non basta fare qualcosa o essere qualcuno, bisogna recuperare la vertigine emotiva di entrambe queste cose. Se non provi paura mista a speranza mentre fai qualcosa di importante allora forse non è veramente importante quella cosa.
E’ come se una donna partorisse un figlio senza provare nemmeno un frammento di un qualcosa che assomigli almeno lontanamente a un po’ di paura e a un po’ di felicità. Bisogna avere paura della paura quando è sola, quando invece la paura è accompagnata dalla speranza, allora è solo adrenalina pura che ti fa trattenere il fiato prima di scoppiare in un gran pianto di gioia e stupore. E’ così che lo immagino il giorno in cui vedremo Cristo faccia a faccia.
Per un intera vita forse abbiamo trattenuto il fiato, tormentati dalla paura che avevamo sbagliato tutto, ma anche coltivando la speranza che ne valeva la pena comunque. Si è cristiani quando accanto alla paura, che è una cosa umanissima, si ha il coraggio di lasciare sempre un posto di riguardo alla speranza.
La resurrezione di Gesù altro non è che un buon motivo per cui non disperarsi mai veramente sino in fondo. La nostra vita è un lungo sabato santo che si incastona tra le nostre croci piantate nei venerdì santo della nostra vita, e l’alba della domenica di Pasqua dove l’assenza del cadavere ci ricorda che il finale è diverso da come sembrava a noi.
don Luigi Epicoco su Facebook