Vangelo del giorno – 22 Novembre 2022 – don Antonello Iapicca

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LA GELOSIA DELLO SPOSO AFFOGA NARCISO NELLE ACQUE DEL BATTESIMO PER FARLO RINASCERE CON LUI NELL’AMORE CHE LO RENDE LIBERO E SAPIENTE

Mancano pochi giorni all’Avvento, e oggi la Chiesa ci prepara a questo tempo così importante mettendoci davanti la figura di Narciso. Era un giovane molto bello, del quale si innamorò perdutamente Eco, una ragazza splendida ma troppo loquace. Gli dei vollero punire questo suo difetto e la resero muta. Era capace di ripetere solo le ultime parole che le rivolgevano. Narciso non resistette a questo difetto della sua innamorata. Non la ritenne degna di lui e si chiuse nel suo egoismo, decidendo che non le avrebbe mai rivolto le parole “ti amo”.

Per questo Eco morì di crepacuore. Gli dei, quando si accorsero del dramma, condannarono Narciso a chiudersi sempre più in se stesso, e a innamorarsi della sua immagine. Al punto che, vedendola specchiata in un laghetto, volendola abbracciare rimase annegato nel fondo dello specchio d’acqua. Narciso è immagine di tutti quelli che non sanno che farsene dell’Avvento perché non aspettano niente e nessuno. Narciso in fondo non vive neanche per se stesso, ma per la sua immagine. E’ un drogato che si ciba del suo ego mascherato e poi idolatrato. Esattamente come accade a noi quando il demonio riesce a spiaccicarci sullo specchio d’acqua che riflette la nostra immagine, inducendoci a pensare esclusivamente a noi stessi, ai pregi o ai difetti, e dimentichiamo Dio, che ci ha creati belli e perdonati mille volte per annunciare la bellezza del suo amore.

Ci siamo innamorati del tempio dimenticando il suo illustre Ospite, perché, ingannati dal demonio abbiamo creduto fosse opere delle nostre mani. E così anneghiamo nell’immagine falsa di noi, come il Tempio rovinato su stesso. Per questo non sappiamo più dire a nessuno “ti amo”: invece di abbeverarci alla fonte dell’amore che è Dio, ci specchiamo nel nostro nulla sino a morirci affogati tra depressioni e crisi esistenziali. Non può dire “ti amo” a nessuno chi non sa dirgli prima “Dio ti ama”. Così un marito o una moglie, un genitore, un fidanzato, un amico. Una cattedrale (leggi anche parrocchie e seminari) costruita in tanti anni, può essere distrutta da un terremoto, o divenire un museo o auditorium per concerti, come ve ne sono tante, segno profetico e drammatico del narcisismo di cui soffrono in tanti nella Chiesa contemporanea.

Il tanto specchiarsi ha trasformato la bellezza degli edifici che esprimeva il contenuto di fede e che aiutava a entrare in comunione con Dio, in merce da esporre in vetrina, immagini stampate su tazze nelle quali turisti sbadati prenderanno il caffè una volta tornati a casa dalla vacanza. Ecco, questo sguardo profetico e celeste sulla storia, che sa vedere e interpretare alla luce della fede ciò che sta accadendo nel mondo, nella Chiesa, nelle nostre famiglie e nella nostra vita, è il discernimento che distingue i cristiani. Discernere è “separare” per distinguere e comprendere ogni persona, fatto o cosa in relazione all’altra; se non si distingue non si può legare, se non si scopre la diversità non può emergere l’amore.

Capite allora come Narciso sia proprio colui che, incapace di amare perché incapace di distinguere l’altro dalla sua immagine che vede riflessa in tutto (è il sintomo dell’esigenza parossistica di autoaffermazione che portiamo dentro tutti, specie in questa generazione, e che emerge prepotente nell’uso egolatrico dei social networks). Non a caso, infatti, il modo con cui Dio ha creato l’universo è stato proprio il discernere, separando cioè ogni elemento perché, nella loro distinzione, uscissero dal dal caos. Il discernimento dunque ci fa partecipi dell’opera creatrice di Dio; per questo, l’amore, che nasce dal discernimento, dal riconoscere cioè la diversità dell’altro che lo separa e distingue da me per potermi donare gettandomi in lui, è pura creatività. L’amore non è mai routine, ma è storia nuova ogni giorno, perché sorge dal pensiero di Dio per farsi carne e vita attraverso la mia carne offerta per accogliere e perdonare.

Questo è il senso più profondo dell’Avvento fratelli: Narciso non aspetta perché non ama, mentre un figlio di Dio ha gli occhi del cuore aperti e capaci di discernere in ogni evento e relazione l’occasione per accogliere l’opera creatrice di Dio che fa nuove tutte le cose. Per questo il Signore ci chiama oggi a discernere i segni dei tempi con “attenzione” per “non lasciarci ingannare” dal pensiero del mondo che, infiltrandosi spesso anche nella Chiesa, pretende di parlare “nel suo nome”; esso legge il “tempo” che viviamo come “prossimo” a chissà quali “rivoluzioni” morali e “guerre” culturali, destinate ad inaugurare un mondo nuovo di pace e tolleranza.

“Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo”, ammoniva l’allora Card. Ratzinger. Per questo non siamo “terrorizzati” davanti alla storia e ai terroristi, e non ci lasciamo “prendere dal panico” per “seguire” la menzogna dei falsi profeti. Sappiamo, per esperienza, di vivere nel “prima” dove Dio parla e agisce con i “segni” della Croce che, come un aratro, dissoda il terreno della storia perché vi sia seminata la salvezza. Per questo “è necessario che accadano” gli sconvolgimenti nella vita degli uomini: i “terremoti, le carestie e le pestilenze” sono certo i frutti del peccato, ma Dio non vi si oppone proprio perché ci ama e vuole svegliarci.

Così i problemi in famiglia, al lavoro, a scuola; così la crisi del figlio e della fidanzata, così la malattia e il licenziamento. Il male “deve” emergere “di luogo in luogo”, come il pus da una ferita, perché possa incontrare ancora e sempre il Medico che lo assuma trasformandolo in misericordia. Nelle “sollevazioni di popoli e regni” gli uni contro gli altri, appare la divisione seminata dal demonio, il peccato che ha reso nemici Adamo ed Eva, e poi, come un fiume in piena, tutti i loro figli da Caino e Abele per ogni generazione, sino a “distruggere” il vero Tempio, il corpo benedetto del Signore. Vi è una fine che non è il fine che aspetta ogni cosa, ed è la fine che dischiude la vita celeste.

Non siamo nati per una “fine”, ma per il “compimento” della nostra vita nell’amore. Per questo quando tutto crolla nella nostra vita significa che essa sta per “compiersi”. Il rumore sordo delle “pietre” che cadono le une sopra le altre, annuncia infatti il mistero Pasquale di Gesù che “distrugge” ogni “spelonca di ladri”, esteriormente “bella” e degna di “ammirazione”, ma “piena di rapina e iniquità” al suo interno. Quelle pietre ci ricordano la pietra grande deposta sul pozzo di Sichem, che impediva a Rachele di far abbeverare il suo gregge, pesante come quella che serrava il sepolcro del Signore. Un midrash ci racconta che “una rugiada di risurrezione discese dai cieli su Giacobbe rendendolo coraggioso e forte. Grazie a questa potenza, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo, e le acque salirono dalle profondità, traboccarono e inondarono.

I pastori stavano in piedi, stupefatti, perché non era più necessario il secchio per attingere”. Con la stessa potenza il Signore è risorto dal sepolcro facendone rotolare via la pietra. Dietro ad ogni “fatto terrificante” e ai “segni grandi dal cielo” che sconvolgono la storia e la nostra vita, vi è il Signore “forte e coraggioso” che sta rovesciando di nuovo la pietra che ci tiene prigionieri nella tomba, per aprire un varco affinché la sua vittoria sulla morte giunga sino a noi come acqua che “trabocca” di vita. E’ Lui che, a tutti noi assetati d’amore e verità, attraverso la forza dei fatti che per il mondo significano solo distruzione, rivela il potere del suo amore che dischiude, come fece Giacobbe innamorato di Rachele, il pozzo dove “dissetarci con gioia dell’acqua viva dello Spirito Santo che zampilla sino alla vita eterna”.