Vangelo del giorno – 21 settembre 2017 – don Antonello Iapicca

FIGLI DELLA MISERICORDIA PER RENDERE GIUSTIZIA ALLA SAPIENZA CROCIFISSA CON CUI DIO AMA OGNI UOMO

Diceva Chesterton: “Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. È una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”. E non faceva altro che ridire le parole con le quali Gesù aveva risposto ai farisei che interrogavano i discepoli sull’atteggiamento scandaloso del loro Maestro che mangiava insieme ai pubblicani e ai peccatori: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati”.

Qualcosa di più ovvio e reale? No, eppure per molti tra i cosiddetti sapienti, era diventato un dogma religioso affermare proprio il contrario, che cioè il medico era per i sani e non per i malati. Il Messia doveva venire per i buoni, i puri, gli impeccabili. Come accade spesso nelle nostre comunità e nelle nostre famiglie, ma anche nella società civile e progredita, perché il demonio ci ha ingannati negando tutta la verità e facendoci credere tutta la menzogna; ci ha immersi in un sogno che nega la nostra malattia per farci asserire che, invece, siamo svegli e sani. Per questo non riusciamo a comprendere cosa significhi la misericordia. Per questo oggi il Signore ci invia proprio nella nostra vita, dicendoci di “andare” al lavoro, a scuola, in famiglia, nella comunità cristiana, per “imparare”, alla luce di questa Parola, “cosa significhi misericordia voglio e non sacrifici”.

La nostra vocazione fondamentale, infatti, è quella di seguire Gesù per imparare la misericordia che si fonda nella Verità. La drammatica necessità della morte e risurrezione di Cristo non ci dice più nulla. Non c’entra con la mia vita, con il mio lavoro, con il mio fidanzamento. Forse a parole sì, ma nella vita quotidiana e reale no. Andiamo allora alla nostra vita di sempre, identica a quella di Matteo, perché è quella la scuola dove Gesù ha piantato la Croce, la cattedra dalla quale ci insegna la misericordia. Si è infatti avvicinato al tavolo dove Matteo si faceva ogni giorno più impuro e lontano da Dio, distruggendo la liturgia di santità alla quale era chiamato, facendo della sua vita un culto offerto al demonio. A quel tavolo strozzava la vita ai poveri, agli orfani, alle vedove, ai suoi fratelli, al suo stesso sangue tradito.

E Gesù è venuto a cercarlo proprio lì, in quel lazzaretto fetido dove Matteo si era abituato a vivere come un appestato odiato e tenuto a distanza da tutti, meno che da Gesù, il Medico che aveva saputo cogliere in lui il malato bisognoso delle sue cure. Solo Lui si era seduto alla sua tavola, ne aveva condiviso la solitudine, il disprezzo, la morte; aveva fatto ciò che secondo la Legge era proibito, contaminarsi con un peccatore. Perché solo accanto a lui avrebbe potuto fissare Matteo con tenerezza e compassione, amandolo cioè sino alla fine dove aveva buttato la vita. Giunto accanto a lui lo ha accolto nella misericordia. Appaiono sulla bocca di Gesù parole tipo “devi”, “sforzati”, “comportati così e così”? No vero? Solo un semplicissimo “seguimi” rivolto a chi, in Israele, ne era più indegno. Lui, che non era un fariseo, un dottore della legge, ma neanche un semplice popolano; lui, il più reietto, detestabile, un ladro e traditore. “Seguimi”, perché ti ho guardato e ho visto me in te, e ho scelto te, così come sei; non guardare a te stesso, segui me e la tua vita sarà qualcosa che neanche hai immaginato.

Seguimi e sarai felice. Perché in quel “seguimi” c’era Dio, il suo potere infinito che si manifesta nella misericordia. In quel “seguimi” c’era l’amore dello Sposo che scopre le sue carte per far capitolare l’amata affinché lasci la casa di suo padre, il demonio, e lo segua in una vita nuova. Quel “seguimi” polverizzava il valore e l’importanza che per Matteo avevano avuto sino ad allora il denaro e il potere; sbriciolava i suoi peccati in un perdono che, rivelando l’infinita bellezza, bontà e grandezza di Dio, ne svelava l’inconsistenza e il nulla verso cui stavano spingendo Matteo. Per questo in Gesù e nelle sue parole non vi è traccia di moralismo: è la misericordia che estirpa dal cuore il veleno del peccato per fare posto al soffio dello Spirito Santo, della vita divina. E’ l’amore che ridicolizza il peccato e lo cancella! L’amore che ama chi, nel mondo, non è degno neanche di uno sguardo. In quello sguardo e in quelle parole Matteo aveva visto planare su di lui l’amore celeste, la fiamma del Signore che i suoi peccati non avevano avuto il potere di spegnere; lo aveva perduto e ora era di nuovo lì, offerto gratuitamente in quell’insperato e inimmaginabile incontro. Gesù lo aveva cercato perché doveva consegnargli l’eredità che gli spettava.

Ma ne era indegno, per questo l’unico degno si è lasciato uccidere dalla sua indegnità per poter risuscitarlo e farlo degno del suo amore. Questo cortocircuito ha letteralmente scaricato nel cuore di Matteo la sovrabbondanza della Grazia di una vita nuova che ha preso il posto dell’abbondanza di peccato che aveva avvelenato la sua vecchia vita. Una Grazia incontenibile, che diventa immediatamente segno e testimonianza di speranza. Gesù si era seduto alla tavola di Matteo, ora Matteo accompagna i suoi amici, i peccatori come lui, a sedersi alla mensa di Gesù. Matteo rinato ha immediatamente e naturalmente moltiplicato la sua esperienza, ne ha fatto cibo per i suoi amici, peccatori come Lui. La sua chiamata si è trasformata in cento, mille chiamate, e così l’esperienza del perdono ha coinvolto il Signore in un’opera ancor più grande. Matteo fonte di misericordia, amato da Gesù ne diviene l’amico, il fratello e lo conduce sui passi della sua vita, della sua storia, a diffondere la stessa misericordia. Così, attraverso l’amore di Cristo sceso ad abbracciarlo nei suoi peccati, Matteo che non aveva forza per offrire alcun sacrificio – che gli erano proibiti per Legge – ha imparato cosa significhi la misericordia. 

Malato ha incontrato il Medico che lo ha curato, punto. A noi forse costa un po’ più di tempo e fatica, perché, come quei farisei, dobbiamo svegliarci e scendere dal mondo dei sogni. Ma Dio è fedele e lo sta facendo anche oggi: “Seguimi”, ti ho guardato e ho visto me me in te, e ho scelto te, così come sei. Fratelli, In Matteo appare la nostra stessa chiamata. Perdonati per accompagnare Cristo sulle strade dei nostri giorni. Spendere la vita donata e riscattata alla mensa dei peccatori, lasciando che scenda, con Cristo, nelle macchie della storia, le grandi e le piccole, purificate dalle nostre anime amate infinitamente dal Signore. Seduti, sino all’ultimo giorno, accanto a chi non Lo conosce o lo sta rifiutando. Forse alla tavola dove ceniamo ogni sera con la nostra famiglia, accanto a nostro figlio; o forse alla mensa aziendale, o a quella scolastica, o al bar… E lì, donare, con gioia, la misericordia che salva. Con tutti e per tutti sporcarsi, guardarli con gli occhi di Cristo, amarli nel suo amore, e sedersi con loro, alla loro tavola, giorno dopo giorno. L’amore a dieci metri di distanza non è amore, perché non potrà mai essere fecondo. Due sposi non generano figli con un semplice sguardo….

Così anche noi siamo chiamati a spogliarci, innanzitutto degli schemi, e poi delle certezze acquisite che, quasi sempre, non sono le verità immutabili del Vangelo, ma la loro caricatura da noi disegnata per difenderci e non correre il rischio di perdere la vita per amare davvero. Essere cioè disposti ad accendere il fuoco dell’amore e sguainare la spada del Vangelo e sbriciolarsi per amore di una sola persona. Tutto questo è possibile solo nella comunione della Chiesa, dove Gesù ci insegna con la Parola e i sacramenti la misericordia capace di dilatarsi in uno sguardo capace di abbracciare l’infinito nella storia e nelle persone, il passato, il presente e il futuro in un solo abisso di misericordia che tutto trascende e purifica.

don Antonello Iapicca

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

Mt 9, 9-13
Dal Vangelo secondo  Matteo

In quel tempo, mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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