Vangelo del giorno – 13 Dicembre 2022 – don Antonello Iapicca

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CORTOCIRCUITI DIVINI

Spesso, come pubblicani e prostitute, ci vendiamo a chi ci offre più affetto. Ma se siamo stanchi per i no a Dio e i sì al mondo che feriscono l’anima con la contraddizione e il fallimento, coraggio: pentendoci e credendo al Vangelo i no possono diventare sì nella misericordia.

Tempo di Grazia, l’Avvento parla a coloro “presso” i quali Dio è “venuto”. Nel brano odierno, infatti, leggiamo che l’uomo si era “avvicinato” ai due figli. Nella traduzione leggiamo “rivoltosi”, ma non rende il senso originale: “Un uomo aveva due figli, ed essendo venuto presso di loro, disse al primo…”.

Questo è fondamentale, altrimenti non si riesce a capire il senso profondo delle parole di Gesù, che non hanno nulla di moralistico e volontaristico. L’iniziativa è dell'”uomo che aveva due figli”, immagine del Padre che si è fatto prossimo alle sue creature. Tutto inizia da qui. Per questo l’Avvento non è un azzeramento, uno stop and go. No, anche quest’anno ci coglie in una storia di salvezza che Dio ha iniziato molto prima di oggi, da quando, creando l’uomo libero, ha disposto per lui peccatore la possibilità del pentimento e del ritorno.

L’Avvento, quindi, è innanzitutto un tempo che ridesta la memoria dell’opera di Dio. Siamo noi i figli dell’uomo della parabola. Non siamo frutto di un caso, ma dell’amore infinito di Dio. Se non sei felice perché hai smarrito l’amore nella tua vita, allora il Vangelo di oggi è per te, figlio disperso di Dio. O credi che Gesù si adiri con i “principi dei sacerdoti e gli anziani del popolo” come facciamo noi, orgogliosi e superbi che giudichiamo gli altri senza pietà? Gesù parla nella Verità per amore, ardendo di zelo per la sua casa, per la sua Chiesa; se è corrotta e ipocrita, se ha dimenticato il suo primo amore, non può compiere la sua missione.

Dio, infatti, amando noi ama ogni uomo! Per questo nella parabola Gesù parla di un “uomo”. Parla di se stesso, Dio fatto “uomo”, Figlio di Dio “venuto” presso ogni “uomo” per riportarlo a casa, nel “Regno di Dio”, riscattato e figlio nel Figlio. Così Gesù “viene” anche oggi “presso di noi” per illuminarci. Dicendoci “vai a lavorare nella vigna” ci sta inviando nella nostra vita per “operare” in vista del Regno di Dio, e non per un “salario” mondano. Ma tu, come hai ascoltato la Parola del Signore? Se l’hai ascoltata con un cuore doppio, allora di certo starai scappando da tutto ciò che odora a sacrificio e sofferenza, perché non credi che la volontà di Dio sia per te fonte di pace. Non hai sperimentato che il “Regno di Dio” è già in mezzo a noi, nella tua storia, che Dio conduce per farti felice nell’incontro quotidiano con Lui.

O forse il demonio ti ha scippato i memoriali, l’esperienza che “andare a lavorarci” significa libertà da se stessi in un amore che ha il sapore della vita eterna. Vivi ancora nel mondo, pur essendo nella Chiesa. Come il figlio che sembra obbedire ma non va; prega, va a messa, è onesto, paga le tasse, ma non ama nessuno, perché sfugge alla Croce che suppone donarsi a chi ha accanto. Infatti, rispondendo al padre, non dice “amen”, sia fatta la tua volontà, come la Vergine Maria. E’ ancora schiavo del demonio e della sua menzogna e per questo, come recita l’originale greco, dice “ego”, io, e basta. Vive in sé, illudendosi di bastare a se stesso. E’ così, vero? E’ così per molti di noi.

A volte, ad esempio, occorre guardare ai nostri figli come a dei pubblicani e a delle prostitute, e non si tratta di un’iperbole. Metterli controluce, al chiarore del Vangelo di oggi, e lasciare che si svelino le forme autentiche del loro intimo, le loro debolezze, i loro peccati. Per aiutarli, per amarli laddove si trovano. Guardarli senza sconti, per illuminare l’ipocrisia che cela la paura, e la paura travestita da arroganza. Per accompagnare, l’uno e l’altro, sul cammino della volontà di Dio, ciascuno secondo la propria natura.

Disinnescare il pelagianesimo incipiente nel figlio perfettino, e sciogliere l’acido polemico che scorre nel figlio ribelle. Educare entrambi nella certezza che la Grazia supplisce e completa sempre la natura, qualunque essa sia, senza distruggerla, come al contrario vorremmo fare noi, per toglierci d’impaccio e respirare un po’ di pace. Basta invece non prendere abbagli e confondere le diverse nature: per questo è necessario restare aggrappati alla Parola di Dio, e, alla sua luce, discernere momento per momento.

Ma i due figli sono anche il paradigma di ogni relazione: quante liti potrebbero essere evitate se, invece di arrestarsi ai primi moti dell’animo altrui, alle resistenze e alle mormorazioni, sapessimo guardare oltre, con gli occhi di Dio. Egli non guarda l’aspetto, punta sempre diritto al cuore; anche quello del marito quando torna nervoso e accidioso da una giornata di lavoro e trascura sua moglie; o quello della moglie, presa nelle ragnatele dei suoi pensieri, o affogata tra pannolini, capricci e crisi adolescenziali dei figli, e vomita tutto sul marito appena rientrato; anche quando il primo impatto è con un cumulo di macerie, vite distrutte, franate sotto le scosse dei peccati.

Gli occhi del Padre sanno intercettare sempre la vita che si nasconde sotto i calcinacci della storia dei propri figli. Come anche l’inganno celato dietro i villini a schiera di esistenze “a posto”, senza crepe e storture. Per questo l’Avvento viene a destarci dal sonno nel quale ci siamo rifugiati per scappare dal “lavoro” che Dio ci ha affidato. Coraggio, non siamo diversi da “pubblicani e prostitute”: siamo corrotti, avidi e avari, e ci vendiamo a chi ci offre più affetto e considerazione. Ma se non ce la facciamo più a vivere come loro, e la contraddizione ci dilania il cuore, in questo Avvento il nostro “no” può diventare un “sì”: “pentiamoci”, lasciando che la Parola ci giudichi e ci disarmi. Buttiamo via la mentalità con la quale abbiamo guardato la storia per discernere come agire, ci ha fatto solo soffrire. Consegniamoci alla misericordia di Dio che ci “viene” di nuovo vicino attraverso la Chiesa: confessiamoci, inginocchiamoci e chiediamo perdono a Dio prima e ai fratelli poi, al marito, alla moglie, ai figli, ai parenti e colleghi.

Sono loro la “vigna” nella quale non siamo andati ad “operare” il bene che Dio aveva previsto. In loro appare la storia che, ancora una volta, il Signore ci pone dinanzi. Possiamo “passare avanti” all’uomo vecchio centrato su stesso, che si sforza e si illude di farcela mentre non può compiere nemmeno uno iota della Legge, per entrare già oggi nel Regno dei Cieli obbedendo alla chiamata di Dio. No, il mondo non ci ha reso felici perché gli abbiamo chiesto quello che solo Dio può darci. Ma, con il cuore colmo di Spirito Santo che vi riversa l’amore di Cristo, possiamo andare a far felice chi nel mondo giace senza speranza. E’ il “lavoro” di questo Avvento, un passo in più verso l’appuntamento con Cristo, lo Sposo che “viene” nella “vigna” a unirsi alla Sposa, a scendere nella nostra storia per farla santa, e gioiosa, un anticipo del Cielo.

Non ci è chiesto che andare e restare nella vigna, nella volontà di Dio per noi. In essa Gesù scenderà, si unirà a noi per dare frutto. E poi, l’uva che nascerà, colma di vita e di amore, sarà distribuita fuori della vigna, vino squisito a rallegrare di speranza chi ci è accanto.

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