Nel vangelo di oggi ritroviamo la preghiera accorata di un padre che arriva a Gesù per disperazione. Il figlio sta per morire e non sa più dove sbattere la testa: “«Signore, scendi prima che il mio bambino muoia».
Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive»”. La bellezza di questo dialogo così corto sta in una cosa molto semplice: la domanda del padre e la risposta di Gesù, e alla fine di questo veloce scambio di parole viene fuori un cammino: “Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino”.
[better-ads type=”banner” banner=”84722″ campaign=”none” count=”2″ columns=”1″ orderby=”rand” order=”ASC” align=”right” show-caption=”1″][/better-ads]
La fede è innanzitutto mettersi in cammino. È camminare quando invece la tua angoscia e la tua disperazione ti dicono di fermarti, di mandare a quel paese ogni cosa. La fede è cammino quando tutta la realtà intorno a te ti dice che è tutto finito e invece Gesù ti sussurra che è tutto cominciato. Il miracolo più importante non è la guarigione di questo bambino (che è cosa bellissima), ma la guarigione della fiducia del padre.
Un genitore che deve stare accanto a un figlio che soffre, che lotta tra la vita e la morte deve poter stare accanto a lui con la fiducia guarita e non con la disperazione che lo soffoca. Un credente non ha i miracoli in tasca ma dovrebbe avere una buona scorta di capacità di lottare, uno sperare contro ogni speranza.
Sperare persino anche davanti alla morte. Per questo molte volte la grazia di Dio agisce su chi deve stare accanto a chi soffre perché chi soffre è già Gesù, è un novello crocifisso, ma non è detto che chi gli sta accanto è un’altra Maria o un altro Giovanni. Si ha bisogno di molta forza per rimanere “presso la croce” di chi amiamo.
Chi lo fa si accorge che anche il suo essere accanto è stato un cammino che l’ha portato molto più lontano di quanto potesse immaginare. Chi si lascia raggiungere da quella grazia misteriosa che sgorga dalla croce, si accorge che ciò che sembrava la fine era solo un trampolino e che il bello deve ancora venire. Una bambina in fin di vita una volta mi disse: “senza preghiera non potremmo affrontare niente di questo”. E aveva ragione.
don Luigi Epicoco su Facebook
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
Gv 4, 43-54
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire.
Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.
Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.