Giulio Michelini è un frate minore che insegna Nuovo Testamento presso lo Studio Teologico di Assisi. La sua recente pubblicazione “Un giorno con Gesù. La giornata di Cafarnao nel Vangelo di Marco” (edizioni san Paolo, 2015) offre chiavi di lettura per comprendere il senso da attribuire al termine ‘giornata’.
Secondo l’autore la giornata di Gesù inizia con il sabato paradigma della presenza di Dio e del suo modo di operare misericordioso. L’agile volume (in formato anche ebook) non solo presenta indicazioni bibliche e la problematicità di alcuni testi ma offre pennellate storiche, archeologiche su Cafarnao e il suo contesto. Inoltre in dialogo con la tradizione letteraria ebraica in ogni capitolo il lettore trova indicazioni per l’oggi.
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Ecco un breve assaggio del libro
[ads2]Tornare a Cafarnao
Tornare in Galilea, dopo la storia della passione e morte di Gesù, ha significato per i suoi discepoli incontrare lì il Risorto, come i vangeli di Matteo e Giovanni raccontano (cfr. Mt 28,16-20; Gv 21).
Scendendo verso il lago e andando a Cafarnao, i discepoli avranno ricordato il discorso sul pane che – secondo il vangelo di Giovanni (Gv 6,36-58) – Gesù tenne in quella sinagoga (cfr. Gv 26,59: «Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafarnao»). Lì, in quella sinagoga dove aveva pregato e insegnato, aveva lasciato la memoria della sua vita donata e presente nell’Eucaristia.
Andare a Cafarnao significa riscoprire la presenza della Madre del Signore, che era venuta a cercare Gesù, e lì, «stando fuori» (Mc 3,31) – senza cioè poter comprendere fino in fondo il segreto di quel Figlio –, ha accettato però di avanzare con lui nella fede (cfr. Lumen Gentium, 58), divenendo sua discepola.
Rivedere la casa di Pietro permette di celebrare la propria personale vocazione alla vita cristiana, chiamata che l’apostolo ha lì ricevuto («Venite dietro a me!»; Mc 1,17); permette di accogliere il suo ruolo di primo dei discepoli di Gesù, perché a lui proprio lì si rivolsero per chiedere cose sul suo Maestro (cfr. Mt 17,24); permette di riconoscere in Pietro il discepolo amato e perdonato, che se ha deluso Gesù – pensando come il tentatore («Va’ dietro a me, Satana!»; Mc 8,33), o rinnegando il Messia sofferente (Mc 14,66-72) – non è stato per questo allontanato ma, ancora sul lago, lì dove era stato chiamato la prima volta, è stato nuovamente chiamato («Seguimi!»; Gv 21,19) e reintegrato (cfr. Gv 21,15-19).
Oggi, tornare come pellegrini a Cafarnao e varcare la soglia di quel cancello col cartello in lingua inglese, per i pellegrini di tutto il mondo, «Capharnaum, the Town of Jesus», significa non solo ripercorrere la giornata di Gesù nella città della Galilea, ma anche imparare dalla storia che lì, da allora, si è svolta.
La casa dove sarebbe stato ospitato Gesù è ancora oggi visitabile, grazie ai lavori degli archeologi francescani, e sopra di essa si trova un santuario dedicato alla memoria di san Pietro.
Sopra i resti della sinagoga nella quale Gesù ha predicato e compiuto un esorcismo (la “sinagoga nera”, dal colore del muro di basalto) sono ben visibili altri resti di una sinagoga successiva, del V secolo (la “sinagoga bianca”). Il fatto che un edificio giudaico così antico si trovi a poche decine di metri dalla memoria cristiana della casa di Pietro, dice molte cose. «A Cafarnao, la presenza della sinagoga e della prima comunità giudeo cristiana nella vicina casa di Pietro è un esempio di convivenza, almeno fino al IV secolo, tra ebrei e cristiani e di maturazione della propria identità religiosa» (L. Orlando, La giornata di Gesù a Cafarnao, 163-164). In quel luogo, insomma, il giudaismo e il nascente cristianesimo hanno convissuto fino e oltre la cosiddetta “separazione”. Ricordare che Gesù era ebreo è necessario, perché – come ha scritto papa Francesco – «la Chiesa, che condivide con l’Ebraismo una parte importante delle Sacre Scritture, considera il popolo dell’Alleanza e la sua fede come una radice sacra della propria identità cristiana (cfr. Rm 11,16-18). Come cristiani non possiamo considerare l’Ebraismo come una religione estranea, né includiamo gli ebrei tra quanti sono chiamati ad abbandonare gli idoli per convertirsi al vero Dio (cfr. 1Ts 1,9). Crediamo insieme con loro nell’unico Dio che agisce nella storia, e accogliamo con loro la comune Parola rivelata» (Evangelii Gaudium, 247). Visitare ed entrare, anche se solo idealmente, ma con tutto il cuore e l’affetto, nella sinagoga di Cafarnao, ci permette di ricordare quanto è stato fatto da Gesù quel giorno insieme ai suoi fratelli ebrei, e quanto possiamo oggi fare ancora, perché, nonostante le tante differenze, tra l’Ebraismo e la Chiesa vi è «una ricca complementarietà che ci permette di leggere insieme i testi della Bibbia ebraica e aiutarci vicendevolmente a sviscerare le ricchezze della Parola» (249).
A Cafarnao si può ancora incontrare Gesù: in una sinagoga, mentre prega col suo popolo; in una casa, dove vive la dimensione più laica della quotidianità; per le strade di quel villaggio, mentre guarisce; poco distante, in un luogo nascosto, dove prega da solo. Lì si può incontrarlo, ma non ci si può fermare a lungo. Come i discepoli sono partiti per seguire Gesù, che da lì è andato «nei villaggi vicini», così in quella città della Galilea si può ancora udire la sua voce: «Andiamocene altrove!» (Mc 1,38).