Nella storia di Gesù abbiamo un Dio a portata di mano, che si fa uomo, proprio come noi, frammento, fatto di carne, completamente, quasi a dire che “Cristo è la ferita di Dio nel mondo”. Gesù, nella sua esistenza concreta, storica, ha vissuto due orientamenti: verso il Padre, radicato nell’amore divino dal quale proveniva; verso di noi, a favore degli uomini e delle donne del suo tempo, predicando il perdono di Dio e la buona novella del Regno, e vivendo in pienezza la sua stessa umanità. Gesù, nella sua concretezza umana, è una persona dialogica, completamente rivolta verso di noi e pienamente in relazione con il Padre, origine della vita e fonte dell’amore.
Si parla di un “certo Gesù” nella letteratura, nell’arte, nella musica, nel cinema, rilevando la bellezza della sua umanità e la capacità di compatire, ma poco s’afferma del suo essere Signore e Figlio di Dio. In Gesù, il Crocifisso-Risorto, si manifesta un “mondo altro” (più umano e amabile) e una partecipazione piena al mistero di Dio che è un mistero di Vita e di Amore, di Comunione inclusiva e di fedeltà (di Dio alle sue promesse) che crea futuro e apre il cuore alla speranza, al sogno di un’umanità rinnovata nella compassione e nel perdono, nella solidarietà e nella giustizia. Il presente saggio pone, essenzialmente, la questione del metodo dialogico e s’avvale, a mo’ di completezza, di due indagini poste in appendice, rispettivamente, su Il dialogo interreligioso come segno dei tempi e su Il Gesù della storia e il Cristo della fede.
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Dall’introduzione
Non ho mai pensato di scrivere un saggio di cristologia, anche se la persona di Gesù resta al centro della mia ricerca teologica (intelligo, ut credam) e dell’esperienza di fede (credo ut intelligam). Sono a!ascinato, da sempre, dal Vangelo di Giovanni, dal mistero di Cristo quale Volto bello del Padre, Rivelatore celeste, Parola fatta carne, Agnello crocifisso e risorto, l’Amen e il Testimone fedele di Dio1. Pensare che lo sguardo del Maestro rifletta l’Eterno e che le sue mani e il suo sorriso siano parte dell’Infinito e che le stesse sue lacrime e il tremendo grido in croce non siano estranei a Colui che è la fonte della vita, è per me qualcosa di sconvolgente e di meraviglioso, perché mi convince sempre di più che la grandezza dell’Onnipotente – del tre volte Santo – non è solo nella forza dell’amore e del perdono, ma anzitutto nella compassione, nel so!rire con noi, senza risparmiarsi nulla2! Nella storia di Gesù, abbiamo un Dio a portata di mano, che si fa uomo, proprio come noi, frammento, fatto di carne, completamente, quasi a dire che «Cristo è la ferita di Dio nel mondo»3. Gesù, infatti, nella sua esistenza concreta, storica, ha vissuto (e mantenuti aperti e attivi) sempre due orientamenti: da una parte, verso il Padre, radicato nell’amore divino dal quale proveniva; dall’altra, verso di noi, a favore degli uomini e delle donne del suo tempo, predicando il perdono di Dio e la buona novella del Regno, e vivendo in pienezza la sua stessa umanità, umanità-carnalità ricevuta-creata da Dio stesso per amore. In tal senso, la cristologia non può non essere, per sua natura, dialogica: aperta contemporaneamente al divino e all’umano, sia nei contenuti sia nel linguaggio e sia nelle metodologie di ricerca e di applicazione all’intelligenza della fede4. Gesù, nella sua concretezza umana, è una persona dialogica, completamente rivolta verso di noi e pienamente in relazione con il Padre, origine della vita e fonte dell’amore.
Il Dio di Gesù Cristo (“Padre” e “Madre”, e molto più di quello che tali simboli possono esprimere ed evocare) non è un Dio che salva dalla morte ma nella morte, mentre si compie, anche se a volte drammaticamente, la nostra esistenza, aprendola al grande senso della risurrezione della carne. È come dire che noi non moriamo semplicemente nella nostra stessa morte ma nella risurrezione di Cristo che è il “principio speranza” dell’esistenza credente, il nostro “eterno presente”. Per questo, il regno di Cristo risorto che sta per avvenire non può essere solo sperato e atteso; ma, per tale speranza e attesa, che caratterizzano la vita, l’agire e il so!rire nella storia della società umana, occorre trasformare il mondo e la società in cui viviamo5. La teologia non vive d’intellettualismo e neanche di pietismo, ma di quel “principio speranza” che anima l’esistenza cristiana e permette di non diventare uguali a questo mondo apatico: ciò significa, per fede, non solo cambiare dentro noi stessi ma anche trasformare il mondo nella resistenza e nell’attesa creatrice in cui crediamo, speriamo e amiamo6.
È sempre più vero che il male del nostro tempo è l’indi!erenza e che l’assenza di compassione, l’apatia, ci rende disumani e allontana da noi e dalla realtà che ci circonda qualsiasi possibile progetto di fraternità-sororità e di comunione, chiudendo ogni varco all’orizzonte della speranza. Questa condizione di estraneità e di paura l’abbiamo sperimentata in stretto regime di pandemia e l’avvertiamo ancora oggi, quasi a fior di pelle e finanche nell’animo, come un processo irreversibile di disumanizzazione del mondo per la brutalità della guerra in atto tra Russia e Ucraina e in tante altre parti del nostro pianeta, ove intere popolazioni, oramai dimenticate – migliaia e migliaia di persone sopraffatte dalla miseria, e dall’ingiustizia e dalla violenza, come per esempio in Siria e in tutto il Medio Oriente in questo momento o in Africa centrale –, vivono in estrema povertà e senza più una fissa dimora, prive di speranza, del sogno di una rinascita e di un futuro. Siamo tutti spettatori apatici innanzi al crescere delle ingiustizie nel mondo e al disastro ecologico del nostro pianeta: ci risulta difficile, quasi impossibile, diventare protagonisti del cambiamento, provando a orientare verso il bene comune le scelte etiche e politiche a livello globale e locale. Siamo disposti a subire più che a orientare il cambiamento verso il bene e la giustizia mettendo tra parentesi il principio speranza!
Lo stile di Gesù, che è la forma definitiva di Dio nella storia – il “per sempre” dell’Eterno radicato nella densità del tempo presente –, e i sentimenti da lui vissuti (tenerezza, misericordia, libertà dal potere e dalle tradizioni religiose degli uomini) e le stesse tracce storiche da lui lasciate nelle testimonianze non solo dei vangeli, rivelano un modo dialogico e umano di stare al mondo originalissimo, ossia divino, secondo il principio dell’unione ipostatica (della persona del Verbo che assume la natura umana), che è, allo stesso tempo, relazionale, fraterno e inclusivo. In cristologia è necessario assumere il principio dialogico dell’incarnazione, ossia orbitare attorno all’umano, alle persone e al loro mondo, anzi ai loro mondi, senza sottovalutare o misconoscere nessun contesto o spazio sociale e culturale, così come hanno testimoniato i padri della Chiesa che accolsero tutte le sfide del loro tempo, riconoscendo il Logos divino presente in ogni situazione ed epoca, e facendo i conti con la sottile influenza della gnosi che relegava Dio nel suo mondo, lontano da noi e dalla nostra materia.
Non potendo qui approfondire la spinosa questione relativa al limite del linguaggio teologico e dottrinale presente nelle definizioni conciliari (soprattutto di Calcedonia del 451), è fondamentale riconoscere che il principio dialogico dell’unione ipostatica vuole a!ermare che, da una parte, l’umanità di Cristo è vera e perfetta senza alcuna attenuazione e, dall’altra, attestare che quest’umanità particolare non è mai esistita al di fuori del rapporto con il Verbo, perché è un’umanità che riceve vita e attuazione, ossia è ipostatizzata, nel Figlio di Dio, ed è unita a lui secondo l’ipostasi o persona del Verbo. Inoltre, si vuole a!ermare pure che il Cristo non è diverso dal Figlio e che è proprio il Verbo il soggetto e il principio unico dell’unità delle due nature. In Cristo non c’è sdoppiamento di personalità. Certamente, in cristologia, soprattutto oggi, con gli studi della psicologia, si riconosce all’umanità di Gesù una propria capacità operativa, ossia un “io umano”, un centro di “personalità umana”, un “io psicologico”, una consapevolezza umana, concreta, storica, della propria esistenza. Il Verbo che si fa carne diviene anche cultura, frammento di questa storia umana e del mondo, lasciando aperte mille interpretazioni di questo mistero, più ventagli ermeneutici. Si potrebbe tradurre così, oggi, sul piano linguistico, il grande mistero dell’incarnazione di Dio: la compassione di Gesù, il suo essere radicato nel Padre e pienamente rivolto verso di noi, è l’altro modo d’intendere, biblicamente, il principio dell’unione ipostatica.
L’umanità di Gesù non è assorbita dal Verbo né è sminuita dalla divinità del Figlio, perché è Cristo stesso, ossia la forma storica definitiva di DioFiglio nel tempo, che vive di una propria dinamicità e libertà. Tuttavia, è comprensibile che la teologia della Chiesa antica non sia sempre riuscita a tradurre in tutte le sue conseguenze la decisione fondamentale dei concili di Nicea, di Costantinopoli e di Calcedonia e di quelli successivi. Da qui nasce il bisogno, tuttora, di rileggere in chiave più dinamica, dialogica ed economicosalvifica sia il mistero di Cristo sia la presenza di Dio nella storia alla luce della rivelazione biblica. Gesù che annuncia il Regno è la forma definitiva di Dio nella storia, ossia l’unione ipostatica storicizzata, cioè il Figlio fatto carne, l’Eterno nel tempo, il Tutto nel frammento. Quella di Gesù è la stessa identità paradossale del Verbo fatto carne, ossia il divenire del Figlio nell’altro da sé. Più semplicemente, è l’atto storico definitivo di Dio nel quale il Mistero si è fatto conoscere in modo definitivo all’uomo senza per questo risolversi nella mondanità dell’esistenza e nella storicità dei fatti. Nel Logos fatto carne, la natura umana – che è anche cultura, storicità, socialità – non risulta essere esteriore al Verbo perché è il medesimo Verbo pronunciato ad extra, ossia Gesù nella sua “fatticità”. Così, l’essere Figlio di Dio non è esteriore all’uomo Gesù, ma è Gesù stesso. L’unità in Cristo non è un concetto statico ma dinamico perché mantiene sempre la tensione tra natura divina e natura umana che sono unite ma non confuse, distinte e non separate. Con l’incarnazione, Dio può divenire qualcosa, farsi storia, perché colui che in sé stesso è immutabile può essere mutabile nell’altro7.
Il principio dialogico dell’incarnazione, delle due nature in Cristo unite nella persona del Verbo8, sul piano pastorale e dell’evangelizzazione, significa, concretamente, riconoscere che conta ciò che unisce senza distruggere, ciò che unisce confermando il valore dell’altro senza sacrificare il proprio e viceversa; questo vale per la persona di Gesù Cristo, per l’uomo e per l’annuncio del Vangelo nel mondo d’oggi e per qualsiasi progetto di fraternità, se pur soltanto intramondano. Il principio dialogico dell’incarnazione ci ricorda che l’umano di Gesù è filiale e agapico, kenotico e diakonico, per questo veramente umano9, ossia divino e dialogico! Quando Dio opera la redenzione del mondo nella passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, tale processo non avviene per una soddisfazione normativa – quasi per reclamare ciò che è dovuto alla giustizia che non è di questo mondo per riparazione dell’o!esa –, ma per permettere all’uomo di essere artefice della sua stessa libertà, di compiersi, di essere felice10.
Pur consapevole di dover fare i conti con un approccio storico-critico alla figura di Gesù, i cui risultati esegetici ed ermeneutici sono sempre più importanti oggi (soprattutto per il recupero dell’ebraicità di Gesù e della letteratura apocrifa e delle fonti extrabibliche), mi è apparso indispensabile, sia nella ricerca sia nell’insegnamento, mantenere un profilo di cristologia simbolico e dialogico, relazionale e trinitario, nonché ecclesiale, avendo come punti di riferimento quei teologi di grande rilievo che hanno segnato il Novecento, come Karl Barth11, Jürgenn Moltmann12, Wolfhart Pannenberg13, Karl Rahner14, Hans Urs von Balthasar15 e Walter Kasper16. Tutti autori europei e di genere maschile, rivendicherebbero giustamente le colleghe teologhe17! Poi, avendo maturato una particolare sensibilità per l’ortodossia (Sergej Nikolaevic Bulgàkov, Vladimir Lossky, Paul Evdokimov) e intrapreso un forte impegno personale per l’ecumenismo18, insieme a una certa predisposizione per la formazione al dialogo interreligioso, ho avvertito il bisogno, nel tempo, di aprirmi a una prospettiva sempre più dialogica e interrelazionale, ossia transculturale e interdisciplinare, recuperando un’attenzione particolare per la ricerca storico-critica e una rilettura serena e coerente della dottrina cristiana, dei dogmi fondamentali e della Tradizione viva della Chiesa, proseguendo con un metodo dialogico19 e inclusivo, capace di dare spazio e ascolto alle tante voci d’oltralpe e non solo d’Oriente che hanno interpretato e riflettuto attorno al mistero e alla vita di Gesù, partendo dalla storia concreta, ossia dal basso, dai contesti socio-culturali e geo-politici di base.
Penso, per esempio, al grande contributo delle teologie “in contesto” o “al genitivo” (teologia della liberazione, teologie asiatiche e africane), e altresì all’attualità della ricerca storico-critica da parte della teologia femminista e del pluralismo religioso. Così, più che pubblicare un nuovo manuale di cristologia, mi è sembrato opportuno delineare, in questo primo volume, una sorta di ricerca sul metodo in cristologia che considerasse, anzitutto, il problema del linguaggio, ossia come parlare di Gesù oggi, ricordando le tre funzioni principali del linguaggio umano: l’informazione (in rapporto alla natura, al mondo e alla storia), l’espressione (in rapporto a sé stessi) e l’appello (in rapporto all’esistenza, alla decisione, in questo caso di fede). Si tratta di un linguaggio che è, allo stesso tempo, performativo e simbolico, dogmatico ed esistenziale, evocativo e descrittivo, capace di lasciare spazio al silenzio, alle interpretazioni e a ciò che non è possibile definire pienamente, perché Cristo è una verità più grande che ci possiede, secondo il principio della teologia orientale per il quale “non è la conoscenza che illumina il Mistero ma è il Mistero che illumina la conoscenza”20. Se da una parte il linguaggio è la manifestazione dell’essere, dall’altra, invece, i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo, di quello che posso rappresentare. Ma Gesù non è una dottrina, bensì una persona viva, anzi il Vivente e il Veniente!
Sono altresì consapevole che in cristologia, pur mettendo in discussione il linguaggio adoperato dagli addetti ai lavori, non possiamo fare a meno della categoria di “persona” secondo il significato tipicamente cristiano che la Tradizione viva della Chiesa ci ha tramandato nel tempo21. La persona, in quanto volto, è ciò che trascende sé stessa e diviene epifania, manifestazione dell’Altro, e non si riduce meramente a ciò che fa (ai suoi atti) o a quello che pensa (alla sua coscienza e libertà). In tal senso, anche Gesù è manifestazione del volto dell’Altro, del Mistero stesso di Dio, di quel Regno che non si risolve nella rivelazione storica o intramondana, ma si rivela proprio nella persona del Figlio, come Altro da sé, ossia quale Patria, Origine, Grembo materno e Fonte della vita22.
Il titolo del libro è l’espressione tradotta in italiano23 di At 25,19 che fa riferimento «a un certo Gesù, morto, che Paolo asseriva [sosteneva-a”ermava] essere vivo [in vita-vivente]». Si tratta di una questione religiosa interna al giudaismo che, per le autorità romane del tempo, era irrilevante rispetto a una possibile condanna penale di Paolo. In At 5,13ss. si narra dell’arrivo a Cesarea del re Agrippa II e di Berenice per salutare Festo che espose al re il caso di Paolo, non riscontrando in lui alcuna colpa. In At 25,19, l’evangelista Luca sembra descrivere la reazione di un romano che manifesta non incomprensione ma scetticismo: per Festo, la risurrezione significa semplicemente che un morto è proclamato vivo (“essere in vita”), senza alcun nesso con la storia presente. Non è forse così anche per noi oggi? La fede nella risurrezione dei morti non è più il cardine della nostra esperienza cristiana ed è spesso ridotta a un fatto simbolico, di buon auspicio! Nel linguaggio lucano, invece, il Vivente indica Gesù risorto (cfr. Lc 24,5; At 1,3) che si rende presente nell’oggi della storia e accompagna il cammino dei discepoli: egli è anche il Veniente. Ciò che, fondamentalmente, all’epoca agitò gli accusatori di Paolo (sommi sacerdoti e anziani dei giudei) fu l’espressione secondo la quale – un vero e proprio kerygma – “un certo Gesù” era ancora vivo.
In fin dei conti, la cristologia – la ricerca su Gesù – sta tutta qui, tra la croce come insospettabile ma possibile strada di Dio e la risurrezione dai morti come novum assoluto (eschaton) di Dio nella storia. Se la croce è l’ultima parola di Gesù, la gloria del Risorto è il nuovo inizio (l’“eterno presente”), la parola ultima e definitiva che segna la fine del tempo nel tempo stesso, la pienezza nella contingenza, anche se relativizzata. In questa prospettiva, e per tale dinamismo pasquale, il linguaggio teologico deve farsi carico – quasi come una sfida – di quell’atteggiamento di perplessità di fronte a una religione che non comprende ma che avanza la pretesa di portare al mondo qualcosa di unico e di nuovo: il Crocifisso-Risorto. Tuttavia, dell’unicità e della novità di Gesù Cristo, il Crocifisso-Risorto, forse oggi gli stessi cristiani ne sanno ben poco! Si sente parlare di Gesù, si fanno discorsi attorno alla sua vita, ma quasi niente si evidenzia della potenza della croce e dell’assoluta novità della risurrezione dai morti. Anche le attuali discussioni sul mistero della risurrezione di Gesù dai morti sembrano relegare tale evento fuori dalla portata storica della realtà, in una dimensione o apocalittica o escatologica, rinunciando a riconoscere un legame reale con il presente e con la fattualità della nostra esistenza! Tendiamo sempre a separare storia e fede, natura e grazia, culto e vita24. L’intelligenza della fede, poi, è rimasta ai margini del nostro vissuto ecclesiale. Infatti, a volte siamo così preoccupati di non cadere in forme aride d’intellettualismo – sostenendo che la fede è “questione di cuore” – da cedere facilmente, in maniera inconsapevole, a derive pietistiche e gnostiche, a volte finanche magiche e scaramantiche, nonché poetiche e melliflue e iridescenti, che vanificano l’annuncio del Vangelo. Invece, per noi credenti, è indispensabile ripetere «so a chi ho creduto» (2Tm 1,12).
Si parla di un “certo Gesù” nella letteratura, nell’arte, nella musica, nel canto, nel cinema e nel teatro25, come altresì nel Corano26 e negli studi comparati di provenienza orientale, rilevando la bellezza della sua umanità, la profondità della sua capacità di compatire27, ma poco s’a!erma del suo essere Signore e Figlio di Dio, della sua divino-umanità, come direbbero i fratelli e le sorelle orientali. Le molteplici suggestioni culturali e le profonde provocazioni non solo letterarie e filosofiche che sopraggiungono dall’esterno alla vita cristiana – penso soprattutto alle questioni etiche della vita fisica e sociale – sollecitano la ricerca teologica a sviluppare un metodo dialogico, transculturale, interdisciplinare, inclusivo, capace di raccogliere le sfide più urgenti del nostro tempo, consapevoli che, come allora28, Gesù resta ai margini della vita degli uomini e delle donne anche oggi.
Si vive il Vangelo, il cristianesimo stesso, per “sentito dire”, come nel caso di Porcio Festo, il procuratore-governatore romano tra il 58 e il 62 d.C. coinvolto all’inizio di questa introduzione, di fronte al quale l’apostolo Paolo, essendo ancora in prigione a Cesarea, dai tempi del precedente governatore Antonio Felice, s’appellò al giudizio dell’imperatore per andare a Roma. Nonostante la predicazione di Paolo, di Gesù e della sua risurrezione si seppe ben poco ai tempi di Festo, quindi nella società romana e giudaica del I secolo d.C. Crederlo ancora in vita fu un fatto molto marginale nell’ambiente della Palestina di quel tempo. Fu certa e si attestò soprattutto la morte di croce di Gesù, mentre la risurrezione apparve riduttivamente come una memoria, un ricordo o un vaneggiamento, di alcuni seguaci di Gesù, e nulla più. Almeno quest’idea si fece Festo! Di fatti, ancora oggi, in qualche modo, è semplicemente di un “certo Gesù” che si parla, cioè che vive semplicemente nel ricordo dei fedeli29 e sopravvive nelle liturgie e nei riti e nei culti delle Chiese sempre più vuote che arrancano a vivere la sinodalità e la gioia di un futuro segnato dalla pienezza di vita, dall’eschaton. Ben poco si predica della potenza della sua risurrezione e del mistero della sua persona e della missione della Chiesa in rapporto a tale evento30.
Lo vado ripetendo chiaramente, e lo manifesto da sempre ai colleghi, agli studenti e agli amici e ai fedeli che condividono con me passione per lo studio, impegno accademico, celebrazione del culto e zelo pastorale: “Se sono cristiano, se siamo cristiani, è perché Gesù è risorto dai morti, e non semplicemente perché è morto!”. Di gente che dona la vita per un ideale, che muore per amore, che si sacrifica per gli altri, per una buona e giusta causa, ce n’è tanta al mondo, e di ogni credo e fede, e pure di nessun credo o confessione! Ci sono genitori – mamme e papà – che si annullano per i figli, vivendo di stenti e in povertà, senza rimpiangere niente, e donandosi con gioia immensa! Tuttavia, la risurrezione di Gesù dai morti apre una riflessione nuova su un “mondo altro”, su un possibile stile di vita che avviene in una “dimensione altra” e che riscatta l’esistenza storica del Nazareno e la riempie di un significato originalissimo31. Tornare a Gesù, rimettendo al centro della nostra vita e del cristianesimo la sua persona dialogica, significa nutrire la nostra fede non soltanto di dottrina, ma anzitutto di fede in lui e di un’esperienza concreta ed esistenziale di comunione e di relazione spirituale, superando il rischio di trasformare Gesù esclusivamente in un oggetto di culto o di una dottrina, e facendo la stessa esperienza che egli ha fatto di Dio e costruendo la nostra vita così come Dio stesso la vuole e la immagina per noi, nella consapevolezza che la risurrezione di Gesù è la ragione ultima e la forza quotidiana della nostra speranza ed è ciò che ci incoraggia ogni giorno a lavorare per un mondo più umano e giusto, secondo il cuore di Dio32.
Ciò che si evince dai vangeli e dalle altre testimonianze bibliche è che in Gesù, il Crocifisso-Risorto, si apre, si manifesta, si rivela, un “mondo altro” (più umano e amabile), ossia una partecipazione piena al mistero di Dio che è un mistero di Vita e di Amore, di Comunione inclusiva e di fedeltà (di Dio alle sue promesse) che crea futuro e apre il cuore alla speranza, al sogno di un’umanità rinnnovata nella compassione e nel perdono, nella solidarietà e nella giustizia33. Se Cristo è risorto dai morti, allora, non è vana la nostra fede (cfr. 1Cor 15,1-20) e possiamo vivere, fin da adesso, nella speranza di un futuro trasfigurato nel quale recupereremo tutto di noi stessi: a!etti, sentimenti, corpo, anima e spirito.
«Della causa di Gesù, che i suoi discepoli avevano dato per persa, decide Dio stesso con la pasqua: la causa di Gesù ha senso e progredisce, poiché Gesù stesso, dopo il suo fallimento, non è rimasto nella morte, ma vive pienamente legittimato da Dio. La pasqua è, quindi, un evento non solo per i discepoli e la loro fede: Gesù non vive grazie alla loro fede. La fede pasquale non è una funzione della fede dei discepoli. Gesù non era semplicemente “troppo grande” per morire, come ritenevano certuni: è morto. La pasqua è un evento primariamente per Gesù stesso: Gesù rivive grazie a Dio»34.
Sono convinto che, all’origine di una possibile cristologia dialogica, ci sia necessariamente il kerygma, l’annuncio della passione, della morte e della risurrezione di Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Certamente, non è il kerygma che fonda la risurrezione, nel senso che il Cristo non risorge nella predicazione, nel kerygma, ma è predicato perché risorto. C’è un’esperienza concreta, reale, che i discepoli fanno di Gesù risorto come il Vivente e il Veniente. Solo per tale esperienza gli apostoli possono annunciarlo come vivo (cfr. At 1,3).
Il kerygma è un annuncio che permette di rispondere alle domande fondamentali dell’esistenza (“Chi siamo? Da dove veniamo? Perché ci troviamo qui? Dove stiamo andando?”) senza favorire una fuga dal mondo ed evitando di ricadere in una visione gnostica e disincarnata della realtà e della stessa vita cristiana, rinunciando a professare una salvezza solo delle anime e, quindi, ad alimentare una fede nell’aldilà che non recupera il mio vissuto, il mio essere carne, corpo e sangue, alito di vita, ma altresì realtà caduca e precaria che fa esperienza di morte e di fine vita e di drammaticità. C’è il testo di una canzone, bella e coinvolgente – per il ritmo, il suono, la melodia, la composizione e la scrittura e per le tonalità di voce prestate dallo stesso cantante –, che tocca le corde dell’anima e apre lo spirito a riflettere su una dimensione “altra” nel post-mortem, presentata al festival di Sanremo 2022, del giovane cantante Irama: Ovunque sarai. Il testo fa riflettere sul significato della morte, sulla condizione ultima di chi lascia questa vita e apre la speranza attraverso il credo in una sorta di reincarnazione o di ritorno in vita della persona compianta sotto altra forma di presenza che è più del ricordo e dell’a!etto provato da parte di chi resta in vita. In realtà, è divenuto un fatto culturale, anche tra i cristiani, ricorrere all’espressione “ovunque sarai” per ricordare, anche attraverso i social e i media, una persona cara estinta, dimenticando completamente la fede nella risurrezione e il senso cristiano del morire, ossia che, nella morte, come nella vita presente, in virtù del battesimo, siamo nascosti con Cristo in Dio e siamo sempre con il Signore. È sufficiente rileggersi in modo pratico il principio escatologico della vita cristiana presente in Col 3,1-4:
«Se dunque siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra; poiché voi moriste e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, la vita vostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria».
Sulla condizione presente e futura dei cristiani, in attesa della parusìa, l’apostolo Paolo così risponde a chi gli chiede delucidazioni:
«Poiché questo vi diciamo mediante la parola del Signore: che noi viventi, i quali saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo quelli che si sono addormentati; perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima risusciteranno i morti in Cristo; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti insieme con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore» (1Ts 4,15-17).
Nel Cristo crocifisso e risorto, il Signore, c’è una pienezza di vita che fa parte della nostra storia e la fonda, se pur nella precarietà dell’esistenza stessa! Indagando, in punta di piedi, il mistero di Gesù Cristo, mi sono posto alcune domande basilari: “Come annunciare il Vangelo oggi?”; “Quali sono le sfide più urgenti che si presentano nella vita cristiana?”; “Siamo in grado di rendere ragione della speranza che è dentro di noi (cfr. 1Pt 3,15-17)?”; “Gesù Cristo, il Crocifisso-Risorto, è realmente al centro della nostra esistenza?”;
“Che cosa conosciamo di lui e quale esperienza facciamo di Dio-Trinità attraverso i sacramenti?”; “Ci sentiamo come un solo corpo, ossia la Chiesa del Signore?”; “Le nostre famiglie sono realmente cristiane?”; “Siamo consapevoli del dono della vocazione che abbiamo ricevuto?”; “Quali risposte il credente è in grado di elaborare, alla luce del Vangelo e dell’insegnamento della Chiesa, innanzi al mistero della so!erenza, della morte, della giustizia e della cura del creato?”; “Siamo in grado di confrontarci con le altre confessioni cristiane e di dialogare con i credenti che professano una fede diversa dalla nostra?”; “Quale dialogo è possibile instaurare con i non credenti?”.
A queste e ad altre domande, vere e proprie sfide, provo a rispondere nel progetto di cristologia attraverso una ricerca di fede (ancorata alla storia e all’esegesi) per la quale il vissuto dei credenti s’intreccia sempre di più con la parola di Dio, la tradizione della Chiesa e la storia degli uomini e delle donne del nostro tempo, vero luogo teologico nel quale il Signore parla e continua a rivelarsi.
Il presente saggio, però, pone essenzialmente la questione del metodo dialogico e s’avvale, a mo’ di completezza, di due indagini poste in appendice, rispettivamente, su Il dialogo interreligioso come segno dei tempi e su Il Gesù della storia e il Cristo della fede. Il contesto del pluralismo religioso nel quale viviamo, che ci porta a sperare e a progettare una fraternità universale, e la consapevolezza della grande mole di ricerca storica su Gesù35, ripresa e approfondita a partire dagli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso, non possono non orientare e non riformare gli studi di cristologia che, evidentemente, come l’intero scibile teologico, si va conformando sempre di più come una disciplina dialogica e transculturale.
dell’imperatore Tiberio. Gli storici e scrittori antichi s’interessano alla vicenda di Cristo in quanto i cristiani si richiamano a lui. Ai loro occhi la pratica religiosa cristiana è una superstitio – come le altre religioni non ufficiali – e i suoi credenti, giudei o stranieri, sono più o meno detestabili o sospetti. In ogni caso le notizie frammentarie su Cristo e i cristiani, ricavabili da queste fonti, concordano sostanzialmente con quelle delle fonti cristiane» (p. 129). Per un approccio storico-sociale al tempo di Gesù, cfr. almeno M. E:r53, Jesus von Nazaret in seiner Zeit. Sozialgeschichtliche Zugänge, Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 2003.
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1 Cfr. E. Sco.r%wi./io, Gesù Cristo il Rivelatore celeste. Qui videt me
videt et Patrem, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2011; I’., Tutto
ciò che si manifesta è luce. Meditazioni biblico-teologiche sul Vangelo di
Giovanni, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2012.
2 «Noi non sapremo mai esprimere la profondità abissale
dell’autodonazione del Padre, il quale, in un’eterna “sovrakenosi” si “priva”
di tutto ciò che egli è e può per produrre un Dio consustanziale, il Figlio»
(H.U. 0or B%/12%&%3, Teologia dei tre giorni, Queriniana, Brescia
1990, 22).
3 D. S4//5, Das Fenster
der Verwundbarkeit. Meologisch-politische Texte, Kreuz Verlag, Stuttgart
1987, 7.
4 Sul rapporto tra linguaggio, fede e annuncio del
Vangelo, cfr. F3%rc5&co, Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24-11-2013),
nn. 27: 41-45; 105; 147; 158-159; 167; 274, in Il Regno-Documenti 17
(2020), 522-575, qui 528; 529-530; 540; 54; 549-550; 551; 572.
5 Nella visione dei padri della Chiesa, l’intera creazione riceve vita da
colui che è il primogenito dei morti, il primogenito della nuova creazione. Con
Cristo, risorto dai morti, è venuto il regno della vita ed è stato distrutto il
dominio della morte, ed è apparsa una nuova generazione che è segnata dalla
fede nel Signore risorto e rigenerata nel sacramento del battesimo. Così, il
sole rappresenta una vita pura, le stelle le virtù, l’aria una buona condotta,
il mare la profondità della ricchezza della sapienza e della scienza (cfr. Rm
11,33), le erbe e i germogli sono la buona dottrina e la Sacra Scrittura
di cui si pasce il popolo, gregge di Dio, e le piante da frutta rappresentano
l’osservanza dei comandamenti: il mondo è come un grande sacramento che porta i
segni della risurrezione, il germoglio della vita nuova in Cristo. Cfr.
G35.o3io ’i Ni&&%, Discorsi [sulla risurrezione] 1: PG 46,603-606;
626-627.
6 Cfr. le belle meditazioni di J. Mo/1w%rr, Risorto nella vita eterna.
Sul morire e risvegliarsi di un’anima vivente, Queriniana, Brescia 2022.
In questo breve ma intenso saggio, sintesi spirituale di tutta la sua
produzione teologica, Moltmann intende presentare non una preparazione alla
morte (un’ars moriendi), bensì una preparazione alla risurrezione
nella pienezza della vita (un’ars resurgendi). Sul “principio
speranza”, cfr. E. B/oc2, Das Prinzip Ho”nung, Verlag Suhrkamp,
Frankfurt a. M. 1959 [Il principio speranza, Garzanti, Milano 2005].
7 Nel donarsi in altro da sé, il Verbo pone l’altro (l’umano
di Gesù) come realtà sua propria. Gesù è il segno concreto,
storico, della libertà di Dio di divenire nell’altro. Gesù resta la reale
auto-comunicazione di Dio al mondo in un rapporto filiale che non si è mai
interrotto, neanche nell’esperienza della croce e nella novità della risurrezione.
In quest’ultimo evento, non solo il Padre lo ha risuscitato, ma Gesù stesso è
risorto in forza della sua unità-comunione con il Padre. «Il mistero di Gesù
consiste, dunque, nell’essere egli veramente ai due versanti del confine che
corre fra Dio e la creatura: è il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo […].
L’“umanità” di Cristo può apparire precisamente ciò che di fatto avviene quando
nel suo Verbo Dio aliena, a rigor di termine, sé stesso nell’altro da sé
(creatura)» (K. R%2r53 – H. Vo3.3iw/53, Dizionario di Teologia,
Herder-Morcelliana, Roma-Brescia 1968, 281-288, qui 286).
8 La presenza del Verbo è, da sempre, in tutto l’universo: «Nessuna regione
[…] fu mai priva di lui, perché esistendo insieme col Padre suo, riempiva
ogni realtà della sua presenza» (A1%r%&io, Discorsi: sull’ incarnazione
del Verbo, 8-9, qui 8: PG 25,110-111). Sul mistero dell’unione
ipostatica, che ci permette di parlare di un Dio carnale, cfr. E. Sco.r%wi./io,
L’ incarnazione del Verbo. Il contributo di Tommaso d’Aquino nella Summa
theologiae, LEV, Città del Vaticano 2013. Sui motivi dell’incarnazione, in
prospettiva non semplicemente amartiocentrica, ma come rivelazione dell’amore
di Dio che si dona liberamente in Cristo Gesù, cfr. O. To’i&co, Lutero
e Francesco d’Assisi. Dalla riforma luterana alla rivoluzione francescana,
Edizioni Porziuncola, S. Maria degli Angeli – Assisi (Perugia) 2022, 195-200.
9 Su questo aspetto abbiamo riflettuto nel saggio E. Sco.r%wi./io, Amate
i vostri nemici. Utopia dell’amore o follia della croce? Celebrare la
Misericordia, LDC, Leumann (Torino) 2015.
10 Nella tradizione cristiana vale il principio «Quod non est assumptum, non
est sanatum [Ciò che non è stato assunto, non è stato sanato]», che ritroviamo,
ad esempio, in G35.o3io ’i N%7i%r7o, Epistola 101: «Ciò che non è
stato assunto non è stato curato, mentre si salva ciò che è stato unito a Dio»
(PG 37,182-183). Tutta la vita del cristiano è un’assimilazione alla
vita di Cristo: «Dobbiamo essere come Cristo, poiché anche Cristo è come noi.
Grazie a lui diventiamo “dei”, poiché anche lui è diventato uomo per noi.
Assunse ciò che è inferiore, al fine di donarci ciò che è migliore […]. Si
lasciò tentare, perché
noi potessimo vincere, si lasciò disprezzare affinché potesse glorificarci;
morì per salvarci; ascese al cielo per attrarre a sé gli uomini che giacevano
prostrati nella caduta causata dal peccato» (I’., Oratione 1,5: PG
35,398-399). L’incarnazione del Verbo è lievito, fermento, processo
iniziale, per la divinizzazione dell’umanità (cfr. I’., Oratione 30,21:
PG 36,132). Siamo nutriti dalla stessa carne di Cristo per assimilarci
a lui (cfr. I35r5o ’i Lior5, Contro le eresie V,2,2-3: SCh 153,30-38).
Moltmann sottolinea, però, che l’incarnazione non è solo a servizio della
soteriologia nel senso che l’incarnazione manifesta la pienezza della kenosi
divina, come il culmine del processo di auto-contrazione e auto-abbassamento di
Dio (cfr. J. Mo/1w%rr, Trinità e regno di Dio. La dottrina su Dio,
Queriniana, Brescia 1983, 121-130). Tuttavia, in molti autori cristiani
antichi, il mistero dell’incarnazione è riletto sempre alla luce del mistero
pasquale, ossia in prospettiva economico-salvifica, perché la rivelazione di
Dio non è mai fine a sé stessa in quanto implica sempre un’esperienza di
salvezza. Così, ad esempio, si dirà che la croce di Cristo è un ponte sulle
porte dell’Ade, sugli abissi degli inferi. Cfr. E935w i/ Si3o, Discorsi sul
Signore 3-4.9, in I’., Hymni et Sermones, a cura di T.J. Lamy,
I-IV, H. Dessain, Mechlin/Malines 1882-1902, qui I,152-158; 166-168.
11 Cfr. K. B%312, Kirchliche Dogmatik, I-IV/4, EBV Verlag,
Zürich 1964-1967.
12 Cfr. J. Mo/1w%rr, Teologia della speranza, Queriniana, Brescia
1970 [Teologie der Ho”nung, Ch. Kaiser Verlag,
München 1964]; I’., Il Dio crocifisso.
La croce di Cristo, fondamento e critica della teologia
cristiana, Queriniana, Brescia 1973 [Der gekreuzigte Gott. Das Kreuz Christi als Grund und
Kritik christlicher Meologie, Ch. Kaiser Verlag, München 1972]; I’., La via di Gesù
Cristo. Cristologia in dimensioni messianiche, Queriniana, Brescia 1991 [Der
Weg Jesu Christi. Christologie in messianischen Dimensionen, Ch. Kaiser
Verlag, München 1989].
13 Cfr. W. P%rr5r:53., O”enbarung als Geschichte,
Mohn, Gütersloh 1960, 100-106 [Rivelazione come storia, Queriniana,
Brescia 1969, 50-60; 170-176]; I’., Grundzüge der Christologie, Mohn,
Gütersloh 1964 [Lineamenti di cristologia, Queriniana, Brescia 1974,
250-251].
14 Cfr. K. R%2r53, Schriften zur Meologie, I-XVI, Benziger Verlag,
Einsiedeln 19541984 [Nuovi saggi, I-XVII, Edizioni Paoline, Roma
1964-1985].
15 Cfr. H.U. 0or B%/12%&%3, Il Tutto nel
frammento. Aspetti di teologia della storia, a cura di E. Guerriero, Jaca
Book, Milano 1970; I’., Gesù e il cristiano, a cura di E. Guerriero,
Jaca Book, Milano 1998. Si consideri pure I’., La teologia di Karl Barth,
Jaca Book, Milano 1985.
16 W. K%&;53, Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia 2013
[dodicesima edizione: Jesus der Christus, Matthias Grünewald-Verlag,
Mainz 1974].
17 Condivido appieno le critiche di S. S5.o/ori R)1%, Gesù, maschile
singolare, EDB, Bologna 2020, secondo la quale il problema ecclesiale
riguarda soprattutto “i maschi che vogliono seguire Gesù” che devono prendere
coscienza di aver introiettato un “modello di maschilità” che è loro di
ostacolo nella sequela e che impedisce di assumere la sua logica e di
conformarsi a lui.
18 Cfr. i contributi presenti in Y. S;i153i&, La
teologia ortodossa neo-greca, EDB, Bologna 2016. Cfr. altresì P.
E0’oliwo0, L’ortodossia, EDB, Bologna 2010; V. Lo&&lv, La
teologia mistica della Chiesa d’Oriente. La visione di Dio, EDB, Bologna
2013; S.N. B)/.àlo0, La Sposa dell’Agnello. La creazione, l’uomo, la Chiesa
e la storia, EDB, Bologna 2013. Di quest’ultimo, fondamentale I’., L’agnello
di Dio. Il mistero del Verbo incarnato, Città Nuova, Roma 1990.
19 Già H. Kür., Menschwerdung
Gottes. Eine Einführung in Hegels theologisches Denken als
Prolegomena, Verlag Herder K.G., Freiburg i. Br. 1970 [Incarnazione di
Dio. Introduzione al pensiero teologico di Hegel, prolegomeni ad una futura
cristologia, Queriniana, Brescia 1972], andava riflettendo
sull’immutabilità di Dio, sulla rilettura di Calcedonia e del principio
dell’unione ipostatica, ripensando criticamente, attraverso la croce e la
so!erenza in Dio di Moltmann, i possibili sviluppi di una cristologia attenta
alla storia e al dato biblico.
20 Cfr. le belle meditazioni del
patriarca ecumenico B%312o/ow5o& I, Incontro
al mistero. Comprendere il cristianesimo oggi, Edizioni Qiqajon,
Magnano (Biella) 2013, 7-10; 81-84; I’., La via del dialogo e della pace,
Edizioni Qiqajon, Magnano (Biella) 2014, 9-13. Il cristianesimo non è teoria e
neanche filosofia, bensì esperienza, un modo di vivere nel quale si dà un
rapporto profondo e diretto tra dogma e prassi, fede e vita. Quest’unità
profonda di fede e vita significa, concretamente, che la realtà delle verità
eterne risiede nella loro forza esperienziale più che nella loro codifica in
termini di costruzioni ideologiche o dottrinali.
«Conoscere per esperienza […] vuol dire raggiungere la cosa stessa: qui,
perciò, la forma si imprime nell’anima e suscita il desiderio come un vestigio
proporzionato alla sua bellezza» (Nico/% C%:%&i/%&, La vita
in Cristo, a cura di U. Neri,
UTET, Torino 1968, II,8). Il tentativo di
tradurre in un linguaggio più accessibile il mistero di Cristo è presente
nell’ultima pubblicazione di J. W53:icl, Dio – Umano. Una cristologia
“elementare”, Queriniana, Brescia 2022, 298-300: Dio, infinitamente
ina!errabile, si lascia incontrare umanamente in Gesù che è la realtà di Dio in
questo mondo. Gesù da Dio riceve la propria umanità e da lui riceve la vita,
così da portare Dio ai propri simili, fino all’estremo.
21 Il termine persona, che ha una lunga evoluzione nella storia della
teologia, sia in Occidente che in Oriente, riprende il significato biblico di
“volto” che, nel Primo Testamento, è una parola resa al plurale: “volti” (panîm).
Tre sono, sinteticamente, le caratteristiche della persona che, in modo più
semplice, proviamo a spiegare così: l’“esistere in sé e per sé” (si tratta
dell’ipseità, della relazione sussistente, nel senso che “io esisto anzitutto
in me e per me, come me stesso”); l’incomunicabilità (della propria identità,
premessa a ogni relazione o possibilità di comunicazione e di confronto con
l’altro, ossia “io posso entrare in relazione con un’altra persona senza
confondermi e senza perdere la mia identità che è, per sua natura,
dialogico-comunionale, ossia aperta alla relazione e all’alterità, perché è
già, sono già, una relazione sussistente in me e per me, cioè ek-sisto venendo
fuori”); la capacità di assumerepartecipare, di porre l’atto d’essere (oggi
diremmo di entrare in relazione con altro da sé, creando unità e comunione,
dialogo, senza alcuna sorta di confusione e/o di divisione). In tale
prospettiva, la persona è più del concetto di “individuo” o del significato di
“soggetto”, perché dice “relazione in sé” (come capacità fontale e originaria
di relazione, di partecipazione e di comunione) secondo un modello teologico e
filosofico, ma altresì antropologico e psico-sociale, pienamente dialogico,
aperto e libero, ossia simbolico. Ogni persona umana è tale non semplicemente
per la consapevolezza del sé o per l’autocoscienza e neanche per la capacità di
porre in essere degli atti, bensì per la potenzialità del suo essere “relazione
vivente e partecipante”, portando dentro di sé un’e!ettiva energia di comunione
e di forza vitale (di origine comunionale e dialogica) nella quale si esprime,
è e si manifesta. È chiaro che non si può ridurre il mistero della persona (o
tale categoria) a un concetto da definire o da dimostrare, perché indica ciò
che si rivela in sé e per sé, e si deve riconoscere «l’immensa importanza
culturale del pensiero trinitario nella costituzione della nozione occidentale
di persona» (P. Rico5)3, Meurt la personnalisme, revient la personne,
in Esprit [1/1983] 113-119, qui 24). Sulla categoria “persona”, la
bibliografia è sterminata, cfr. almeno: R. S;%5w%rr, Personen. Versuche über den Unterschied
zwischen «etwas» und «jemand», J. G. Cotta’sche Buchhandlung Nachfolger, Stuttgart 1996 [Persone.
Sulla di”erenza tra qualcosa e qualcuno, Laterza,
Roma-Bari 2007]. Si consideri
pure: J. R%17ir.53, Dogma und Verkündingung, Erich Wewel Verlag,
München-Freiburg 1973; J. Zi7io)/%&, L’Être ecclésial, Labor et
Fides, Paris 1981 [Being as Communion: Studies in Personhood and the Church,
St. Vladimir’s Seminary Press, Crestwood (New York) 1997]; A. Mi/%ro, Persona
in teologia, Edizioni Dehoniane, Roma 1984; A. P%0%r (cur.), Dire
persona. Luoghi critici e saggi di applicazione di un’ idea,
il Mulino, Bologna 2003.
22 Se il personalismo ha recuperato il senso di trascendenza per
definire la persona, già i padri della Chiesa e molti autori cristiani antichi,
rileggendo la persona come “immagine e somiglianza” di Dio in Cristo, ne
avevano salvaguardato il carattere misterico e trascendente. Cfr. ad esempio
Gio0%rri ’i D%w%&co, Dialectica 43 (PG 94, 614): «Persona è ciò
che si rende evidente attraverso i suoi atti e proprietà, e o!re una
manifestazione di sé che la distingue dagli atti della stessa natura».
23 Per i riferimenti biblici, cfr. almeno Novum Testamentum Graece et
Latine, a cura di A. Merk, PIB, Roma 1992; Novum Testamentum Graece,
a cura di E. Nestle e B.K. Aland, Stuttgart 271995; Biblia Hebraica
Suttgartensia, a cura di K. Ellinger e W. Rudolph, Hendrickson Publishers
Inc., Stuttgart 2006; Nuovo Testamento. Versione interlineare. Greco,
latino, italiano, a cura di M. Zappella, San Paolo (Cinisello Balsamo)
Milano 2014. Per una lettura ecumenica della Bibbia, cfr. almeno La Bible.
Traduction oecuménique, Alliance Biblique Universelle – Le Cerf, Paris
1988.
24 Sul tema della risurrezione, cfr. G. Di P%/w%, Cristo
primizia dei morti e la risurrezione dei credenti. Studio su 1Cor 15, Peter Lang, Bern 2022, che raccoglie i risultati
più recenti in ambito biblico su come intendere la risurrezione di Gesù nella
testimonianza dell’apostolo Paolo e confrontandosi con l’idea di risurrezione
già esistente al di fuori del cristianesimo aurorale. In questo studio
sistematico sono citati autori che riprendono anche il senso corporale della
risurrezione di Gesù, senza ridurre tale evento a un mito. Si consideri pure la
sintesi presente in H. K5&&/53, La
risurrezione di Gesù Cristo. Uno studio biblico, teologico-fondamentale e
sistematico, Queriniana,
Brescia 22010; I’., Risurrezione?
Il cammino di Gesù, la croce e la fede pasquale,
Queriniana, Brescia 2022 [in quest’ultimo breve saggio, Kessler sottolinea
l’importanza del risorgere corporale alla nuova vita qui e adesso che non può
limitarsi alla propria interiorità in quanto si concretizza nelle relazioni
interpersonali, nei rapporti sociali, nella ricerca della giustizia, ecc. In
tal senso, oltre alla risurrezione finale, il cristianesimo si presenta anche
come religione di elevazione che non lascia sulla terra che tutto continui ad
andare come è e come va, ma apre alla compassione].
25 Cfr. almeno F. C%&15//i, Volti
di Gesù nella letteratura moderna,
I-III, Edizioni Paoline-San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano)
1987-1995; P. Pi9%ro, Tra teologia e letteratura. Inquietudine e ricerca
del sacro negli scrittori contemporanei, San Paolo, Cinisello Balsamo
(Milano) 1990; S. Z)c%/ (cur.), La figura di Cristo nella filosofia
contemporanea, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1993; M.
Jo053, Cristo nell’arte, LEV, Città del Vaticano 1994; G. B531%.r%, Il
volto di Gesù nel cinema, Pardes Edizioni, Bologna 2005; T. V53’or, Cristo
nell’arte europea, Mondadori Electa, Milano 2006; P. D%//% To335 – C.
Siri&c%/c2i, Gesù di Nazareth nella settima arte, Studium, Roma
2007; G. Di Ri&io, L’ immagine-Cristo. La rappresentazione
cinematografica di Gesù di Nazareth in Pasolini, Jewison, Scorsese e Gibson,
Edizioni Le Mani, Recco (Genova) 2013. Per la storia della musica su Gesù, cfr.
i riferimenti presenti nel sito https://cinema-e-teatro/musica/storia-della-musica-su-gesù/
[ultimo accesso 4-4-2022].
26 Gesù, nel Corano, è citato undici volte con il titolo di Cristo e tredici
con il nome
Gesù Cristo. Tuttavia, l’appellativo “Cristo” non è stato recepito in senso
escatologico e neanche in senso messianico, ma quale nome proprio di Gesù.
Nella sura 4,171, Gesù è definito come “parola di Dio”, ossia quale verbo o
messaggero di Dio che Dio stesso pose in Maria. Gesù è un modello di fede e di
lui non si evince l’origine divina bensì la potenza creatrice di Dio. Per
approfondimenti, cfr. B. N%%w%r – E. Sco.r%wi./io, Islâm-îmân. Verso una
comprensione, Edizioni Messaggero, Padova 2009, 264-265.
27 Cfr. ad esempio S. Pi%ro 5 %/13i, Hinduismo e cristianesimo in
dialogo, Edizioni Fondazione G. Agnelli, Torino 2004.
28 «Il mondo della grande cultura greca e romana del I secolo è rimasto del
tutto estraneo alle origini del fatto cristiano, le quali da una parte non
avevano titoli umani sufficienti per richiamare la sua attenzione, e dall’altra
neppure lo pretendevano» (R. P5rr%, L’ambiente storico-culturale delle
origini cristiane: una documentazione ragionata, EDB, Bologna 1986, 270).
Cfr. anche C. M%3l&c2i5&, Il cristianesimo antico. Religiosità,
stili di vita, istituzioni, Claudiana, Torino 2021.
29 «Non fu la fede dei discepoli a risuscitare Gesù per loro, ma fu il
Risuscitato da Dio a condurli alla fede e alla sua professione. Il Maestro non
vive grazie ai suoi discepoli, sono questi che vivono in lui […]. Il
messaggio della risurrezione è sì testimonianza di fede, ma non un prodotto di
fede» (H. Kür., Essere cristiani, Rizzoli, Milano 1976, 421).
30 Interessante, in prospettiva ecclesiale, la riflessione portata
avanti da C. Rocc2511%, Il Kyrios verso il trionfo finale. Saggio
sistematico di cristocentrismo cosmico per l’oggi della Chiesa, San Paolo,
Cinisello Balsamo (Milano) 2022, 8: «Non si può conoscere Gesù, il Maestro e
Signore, e non avvertire il bisogno di rivoluzionare tutta la nostra esistenza,
aprendosi a una testimonianza diversa, gioiosa, colma di stupore e splendente
della sua luce. Non si può conoscere Gesù, il Salvatore, e non avvertire la
consapevolezza di essere diventati parte viva di uno straordinario movimento
cristocentrico che anima l’universo e lo conduce verso la pienezza finale. Il Risorto
è la festa del mondo».
31 Così commenta la risurrezione di Cristo, nell’omelia della veglia
pasquale, B5r5’511o XVI, Omelia (15-4-2006): «È – se possiamo una
volta usare il linguaggio della teoria dell’evoluzione – la più grande
“mutazione”, il salto assolutamente più decisivo verso una dimensione
totalmente nuova, che nella lunga storia della vita e dei suoi sviluppi mai si sia
avuta: un salto in un ordine completamente nuovo, che riguarda noi e concerne
tutta la storia […]. Gesù non è più nel sepolcro. È in una vita tutta nuova.
Ma come è potuto avvenire questo? Quali forze vi hanno operato? È decisivo che
quest’uomo Gesù non fosse solo, non fosse un Io chiuso in sé stesso. Egli era
una cosa sola con il Dio vivente, unito a lui talmente da formare con lui
un’unica persona. Egli si trovava, per così dire, in un abbraccio con Colui che
è la vita stessa, un abbraccio non solo emotivo, ma che comprendeva e penetrava
il suo essere. La sua propria vita non era sua propria soltanto, era una
comunione esistenziale con Dio e un essere inserito in Dio, e per questo non
poteva essergli tolta realmente. Per amore, egli poté lasciarsi uccidere, ma
proprio così ruppe la definitività della morte, perché in lui era presente la
definitività della vita. Egli era una cosa sola con la vita indistruttibile, in
modo che questa attraverso la morte sbocciò nuovamente […]. È chiaro che
questo avvenimento non è un qualche miracolo del passato il cui accadimento
potrebbe essere per noi in fondo indi!erente. È un salto di qualità nella
storia dell’“evoluzione” e della vita in genere verso una nuova vita futura,
verso un mondo nuovo che, partendo da Cristo, già penetra continuamente in
questo nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé» (https://www.vatican.
va/content/benedict-xvi/it/homilies/2006/documents/hf_ben-xvi_hom_20060415_vegliapasquale.html
[ultimo accesso 4-4-2022]).
32 Cfr. J.A. P%.o/%, Gesù. Un approccio storico, Borla, Roma
2009, 534-541.
33 Le comunità cristiane delle origini hanno maturato
una coscienza ecclesiale della fede con la morte e risurrezione di Gesù,
proclamato nel kerygma “Signore” e “Messia”. Cfr. E. Sco.r%wi./io, Immagini
di Gesù Cristo nel cristianesimo primitivo, San Paolo, Cinisello Balsamo
(Milano) 2014, 5-7. Per ulteriori approfondimenti, cfr. R. P5rr%, I
ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia
neotestamentaria. I. Gli inizi, Cinisello Balsamo (Milano) 1996.
Si consideri pure R. Sc2r%cl5r:)3., La persona di Gesù Cristo nei quattro
vangeli, Paideia, Brescia 1995.
34 Kür., Essere cristiani, 395.
35 Per la ricostruzione delle fonti storiche su Gesù, oltre
ai testi che saranno citati in seguito, per i non addetti ai lavori, e per gli
studenti, è utile consultare la sitografia ove c’è una presentazione sintetica
delle stesse fonti da passare al vaglio critico. Cfr. almeno https://www.uccronline.it/2015/04/19/le-testimonianze-extrabibliche-su-gesu-di-nazareth/ [ultimo
accesso 4-4-2022]. Si considerino le
valutazioni presenti in R. F%:3i&, Gesù il
“Nazareno”. Indagine storica, Cittadella
Editrice, Assisi (Perugia) 2011, 56-129, con riferimento alle fonti cristiane
“canoniche”, a quelle fuori dei vangeli, alle fonti cristiane apocrife,
ebraiche e alle testimonianze degli storici e degli scrittori antichi: «Tutte
le fonti disponibili attestano la di!usione nell’area mediterranea, tra la fine
del I e II secolo d.C., di un movimento religioso che risale a Gesù di
Nazareth, un ebreo vissuto nella terra d’Israele, nel primo trentennio dell’era
cristiana e condannato alla morte di croce dall’autorità imperiale romana. I
vangeli e le altre fonti cristiane canoniche e apocrife sono i più antichi e
ampi documenti che consentono di ricostruire il profilo “storico” di Gesù, il
suo insegnamento, la sua attività e le ragioni della sua condanna a morte. Le
testimonianze extraevangeliche sul Gesù storico, la sua persona, opera e
messaggio, si riducono a un grappolo di dati e informazioni che non aggiungono
quasi nulla rispetto a quelli forniti dalle fonti cristiane canoniche e
apocrife. Il più delle volte non si tratta di una documentazione autonoma
rispetto alle fonti cristiane. Solo un paio di casi – Flavio Giuseppe e Tacito
– si può pensare a fonti relativamente indipendenti […]. Gesù è conosciuto
con il nome-appellativo “Cristo”, Chresto, condannato a morte di croce in Giudea dal
governatore romano Ponzio Pilato, al tempo