Vademecum predisposto dal Servizio per l’Apostolato digitale della Diocesi di Torino, guidato da don Luca Peyron.
La pandemia che stiamo affrontando insieme, ci mette di fronte a sfide inedite e inediti scenari sociali, ecclesiali e personali. Per fare fronte a tutto ciò, stiamo usando in modo massivo tecnologie digitali facendo inconsapevolmente un grande esperimento. Il digitale è uno strumento, ma non uno qualunque: è molto potente pur sembrando molto semplice, considerevolmente pervasivo pur restando domestico. La tecnica non è mai neutrale e nell’uso che facciamo o che essa fa di noi, si gioca la partita dell’umano e, in questi tempi, anche di un annuncio autentico del Vangelo. Condividiamo alcune considerazioni che ci possano permettere di navigare in questo mare tempestoso, combattendo la buona battaglia e conservando la fede. Qualche idea su come usare la tecnologia, qualche suggerimento per cominciare a capire un po’ meglio il peso reale che può avere nella nostra vita, qualche intuizione per restare umani e credenti. Cerchiamo la beatitudine, piuttosto che una presunta allegrezza digitale che taciti l’ansia di questo tempo incerto; cerchiamo il Regno, piuttosto che fallaci occasioni per regnare alla destra o alla sinistra del Signore.
1. Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli: stare a casa passando dalle connessioni alle relazioni.
Siamo in piena sovraesposizione digitale e mediale, rischiando il collasso della nostra capacità di scegliere e discernere. Più tempo disponibile e l’accesso facilitato ed offerto da nuove piattaforme hanno moltiplicato sino alla saturazione le nostre connessioni, ma cosa ne è delle nostre relazioni? Di persona o usando il digitale, quanto di tutto questo tempo lo stiamo occupando per stare con altri, piuttosto che stare con altro? Non puntiamo ad essere sazi, ma forti e, dunque, responsabili, come si addice a chi è chiamato ad ereditare un regno! Povero non significa, nel termine usato dalla Scrittura, solo chi non ha mezzi, ma anche mendicante, colui che non ha e quindi chiede aiuto. In questo tempo è bello riconoscere il nostro bisogno di essere rassicurati, accolti, accompagnati. Via web o bussando alla porta di chi vive con noi, mendichiamo un po’ di relazioni, condividiamo quei gemiti inesprimibili che lo Spirito Santo suscita nei nostri cuori e saremo ricchi di ciò che né ruggine, né tignola né coronavirus possono portare via: la nostra umanità, divina umanità, che ci rende persone, che ci chiede di essere persone.
2. Beati gli afflitti, perché saranno consolati: stare a casa tra sacro e profano.
Questione delicata quella della preghiera senza la celebrazione pubblica della Messa, dei riti della quaresima che scompaiono, catechismo, oratorio, gruppi: tutto si interrompe. C’è un grande senso di vuoto e soprattutto i pastori, chi ha compiti formativi ed educativi, sentono il dovere di agire e di consolare il popolo. Come tenere insieme questo desiderio giusto con la necessaria sapienza e prudenza? Bene le riunioni on line, le chat, i video di catechesi, i sussidi da leggere ed usare in famiglia, ma che ne è di tutto ciò che è propriamente sacro, cioè nato per essere separato e non confuso, affinché possa davvero svolgere il suo ruolo di mediazione con il Santo? Occorre prudenza, affinché il nostro desiderio di esserci ed il bisogno che qualcuno ci sia non trasformi il sacro in profano, l’estetica in cosmetica, il desiderio in capriccio che si può soddisfare grazie alle tante offerte a disposizione. Se la S. Messa in diretta facebook si mischia sul device dei fedeli con i meme sciocchi, le battute grevi, i video pubblicitari chiediamoci quale tipo di servizio viene offerto alla nostra gente. Celebrando l’Eucarestia in Chiesa, abbiamo davanti a noi il popolo, in tutte le età della vita. Celebrando on line potremmo avere davanti qualcuno che passa scrollando le spalle, o meglio un dito sullo schermo. Alcuni apprezzeranno, ma gli altri che incontrano per caso la celebrazione tra un post e l’altro non rimarranno confusi? La liturgia non ha spettatori, non può averne: usare strumenti che funzionano in modo tale da creare spettacolo, come alcuni social media in modo particolare, rischia di essere controproducente. Evitiamo l’adorazione eucaristica via social, piuttosto suoniamo le nostre campane e, come nella tradizione benedettina, chiediamo in quel momento di fare un atto di adorazione silenzioso! Se pensiamo che sia pastoralmente necessario trasmettere la S. Messa, considerando che già esiste un’offerta istituzionale significativa, usiamo piuttosto youtube o altre piattaforme video, in cui ci trova chi ci cerca, non chi naviga per caso. Il monito di non dare le perle ai porci risuoni come criterio pastorale, per non trovarci domani, terminata l’emergenza, a dover ricucire strappi troppo profondi.
3. Beati i miti, perché erediteranno la Terra: stare a casa per abitare il focolare, anziché appiccare incendi.
Il termine che noi traduciamo con mite, letteralmente significa dolce, una persona che ha un atteggiamento gentile, senza violenza. È uno che non reagisce male ad una situazione dura, una persona che reagisce ad una cosa amara dolcificandola, una persona che reagisce in maniera costruttiva. Gesù dice di se stesso di essere mite, è la sua caratteristica più sottolineata. Il momento più forte in cui Cristo reagisce con mitezza è nell’arresto, quando chiede a Pietro di riporre la spada. In questo tempo di grande apprensione e d’incertezza abbiamo tutti la tentazione di lamentarci, di essere contro qualcuno o qualcosa, di aggredire o colpire. La rete ci permette facilmente di esprimere cinismo, rabbia e vendetta. Vogliamo ritagliarci uno spazio virtuale per dire la nostra, far sentire che ci siamo e che abbiamo una posizione e, perché si distingua dalle altre, sgomitiamo per imporla a costo di essere polemici, radicali, estremi. La mitezza, invece, è benevolenza istintiva, gentilezza spontanea che non ricerca la sopraffazione, al contrario, lascia spazio all’altro perché si possa crescere nella verità. La mitezza è ciò che rende la casa un focolare e la rete uno spazio non ostile, entrambi luoghi abitati da persone pazienti e umili come Gesù.
4. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati: stare a casa in quaresima in ricerca dell’essenziale e lontani da ogni bulimia.
Il web è un luogo dove sempre di più attingiamo per maturare la nostra identità esteriore ed interiore andando in cerca di sicurezza, con l’illusione di poter attingere a tutti i saperi e con essi gestire la nostra vita. L’epidemia acuisce questo bisogno che sfocia in ricerca convulsa di conferme, nella speranza di poter fare delle autodiagnosi o di capire cosa dove stiamo andando. Capita in questi giorni con maggiore frequenza di percepirsi come dis‐conessi dal proprio mondo interno, cioè in difficoltà nel dare nome alle nostre emozioni mentre assorbiamo continuamente informazioni on line. Nel caos pandemico abitiamo il caos informazionale, immersi in un habitat che ci smarrisce fingendo di rassicurarci. Dobbiamo essere consapevoli che la relazione con le fonti digitali del sapere è indiretta, manipolata per fini ideologici, economici, pseudoculturali e molto spesso non tracciabili, si chiamano bolle di filtraggio. Questi sistemi rinforzano le nostre credenze ed opinioni, piuttosto che fornirci dati alternativi e differenti. In questo tempo di paure rafforzeranno le nostre paure. La nostra fame e sete di giustizia può e deve passare allora da un sano discernimento e, soprattutto, attraverso l’intelligenza di chi cerca la fonte della verità. Il tempo che ci è dato può diventare tempo propizio per selezionare siti e tenerli tra i preferiti, per scoprire e far scoprire fonti affidabili a cui attingere oggi e domani. Nel tempo in cui sembra di essere privati della nostra libertà, possiamo acquisire nuovamente la libertà di scegliere e di gustare le nostre scelte.
5. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia: stiamo a casa perché siamo fragili ed è la fragilità il luogo in cui Cristo ci incontra.
Nella pandemia constatiamo la nostra fragilità, una fragilità a cui non siamo abituati e che ci spaventa. La cultura digitale ci ha fatto in qualche modo pensare che potessimo avere tutto, essere ovunque e fare qualunque cosa. All’improvviso siamo sigillati nella nostra fragilità creaturale a cui la tecnologia sembra non poter rispondere. Possiamo affacciarci al mondo attraverso uno schermo ed il mondo, attraverso quel medesimo schermo, può sbarcare in casa nostra. Tuttavia, la realtà della nostra carne dice che non possiamo abbracciare un genitore anziano, un nipote, un fidanzato dall’altra parte della strada. La tecnologia che promette onnipotenza oggi non può che fermarsi davanti al fatto che onnipotenti non siamo. Possiamo invece essere creature, essere misericordiosi con noi stessi accettando di essere fragili, contagiabili, mortali. In questo riconoscimento sereno, non cerchiamo con affanno salvezza negli strumenti, ma nel Salvatore. Abbiamo bisogno di essere misericordiosi con l’umano che è in noi e, con umiltà, lasciare che la Misericordia ci tocchi con il suo amore onnipotente. Solo riconoscendoci creature ci possiamo aprire all’amore del Creatore.
6. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio: stare a casa nella bellezza della clausura e non nell’infelicità degli hikikomori
L’hikikomori è una persona che ha scelto l’esclusione sociale, di vivere chiuso in una stanza perennemente on line, staccando la spina dalla vita ed attaccando la spina di un mondo immateriale in cui navigare e senza essere toccato davvero dall’esistenza. Il coronavirus non ci renda a‐sociali, ma diversamente sociali, pienamente credenti. La tradizione della Chiesa ci consegna l’esempio e la vocazione di uomini e donne che scelgono di chiudere il loro corpo in uno spazio ristretto, la clausura, per vivere in pienezza la relazione con le altre persone che vivono con loro e, insieme a loro, la relazione con il Signore, intercedendo per il mondo intero. Non sono persone recluse, sono persone che hanno scelto la libertà del cuore, quella purezza che fa vedere Dio. Le circostanze ci consegnano la medesima opportunità: non restiamo chiusi in casa finendo per chiuderci al mondo e a Dio. Il virus non è uno strumento con cui accettare l’isolamento, al contrario, può essere la strada per una nuova e più forte socialità ed una nuova e più forte relazione interiore a questo punto anche mediata digitalmente in modo sano e vero.
7. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio: stare a casa offrendo il proprio cuore come casa.
Chi è il mio prossimo nell’era digitale? Se già normalmente il peccato originale ci fa considerare prossimo quello che viene dopo rispetto a quello che, invece, è davanti a noi e bussa alla nostra porta, allora la disintermediazione digitale ci offre potenzialmente il destro per far ben di peggio. Questo tempo in casa ci dia di nuovo il gusto di cercare il prossimo, trovarlo e consolarlo. Il web, soprattutto i social media, sono diventati campo di conquista del cattivo gusto e della violenza condivisa in mille modi. Se abbiamo deciso di dedicare più tempo alla nostra permanenza on line in questi giorni, perché non farlo seminando pace, accompagnando i dubbiosi, incoraggiando i dispersi, arginando le polemiche, rinvigorendo le mani fiacche, raccontando le belle storie che ci circondano e che sono autenticamente storia di salvezza?
8. Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia: stare a casa offrendo speranza per il futuro e non rivalsa per il passato.
La fede è dono, la Grazia è dono, l’appartenenza ecclesiale è dono. Un dono che ci è dato per essere condiviso, affinché ogni esistenza possa contagiare positivamente, per trasfigurazione, l’umanità. Appena ieri era il tempo della fede nascosta per non essere perseguitati, oggi non diventi il tempo della fede ostentata quasi di rivalsa. La fede ancorata alla paura scomparirà nel momento in cui scomparirà la paura. La potenzialità degli strumenti digitali diventa facilmente desiderio di potenza e l’incertezza di questi giorni terreno di coltura per improvvisati profeti di sventura. Non ascoltare quelle voci, non condividere quelle voci, non farti voce di quelle condivisioni. Cristo non ostentò mai le sue ragioni, pur essendo lui la ragione e, di fronte a Pilato, semplicemente, tacque. Se nel passato hai sofferto per la tua fede calpestata e derisa, oggi non calpestare e deridere nessuno per le sue paure, per la corsa un po’ superstiziosa al sacro ed alla preghiera, a forme di devozione forse immature. Piuttosto, intercetta queste persone e rallegrati ed esulta con loro perché il Regno dei cieli è anche per loro, perché il Padre è anche loro. Siate giusti, non perché il mondo vi renda giustizia, ma perché il Padre vostro che è nei cieli è perfetto e giusto.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli
Il Signore benedica questo nostro tempo e benedica ciascuno di noi nel tentativo che faremo, insieme, di abitarlo con gli strumenti che l’intelligenza e la fantasia umana ci mettono a disposizione. Andrà tutto bene nella misura in cui sapremo condividere il Bene