Tazert. Un villaggio berbero, alle pendici della catena montuosa dell’Atlante, spina dorsale del Marocco. Qui si ritorna indietro di secoli. Il ritmo, gli sguardi, gli incontri… tutto conserva una lentezza primordiale. E una particolare densità. Non è il clima delle grandi città della costa, come Casablanca, Essaouira, Rabat… dove modernità, tradizione e frenesia si sposano felicemente. Qui nel Sud lo sguardo si arresta. La parola si fa rara.
Un sapore di antico vi conquista l’anima : si impregna di stupore e di essenzialità. E la povertà di povera gente qui la si tocca con mano. Ma anche la sua fede. Immensa. La casa che qui mi accoglie su un’altura è un piccolo monastero, circondato di piante e di oliveti, dallo struggente colore ocra, in un paesaggio brullo e arido della stessa tonalità.
In verità, questo monastero ha avuto molte vite. Qui, ogni esistenza nel suo donarsi ha detto il suo “consummatum est!” Così, all’origine, ai primi del ‘900, era un dispensario: un francescano, padre André Poissonnier, vi investe anima e corpo per curare la popolazione musulmana. Per, poi, morire di tifo come tanti ad appena 40 anni di vita. Ma come un autentico buon samaritano lascia la sua impronta indelebile nella memoria collettiva. E fa capire quanto “la sola cosa che si possiede è l’amore che si dà”.
Poi diventa il convento di una comunità francescana per 40 anni. In seguito, si fa monastero di suore Clarisse, cattoliche di rito melkita. Luogo originale, allora, di preghiera intensa dal profumo di incenso, di adorazione e di spirito orientale. Inoltre, sempre un buon vicinato con la popolazione musulmana: una suora rimane di guardia, giorno e notte, per la popolazione, in un locale vicino al cancello. Miloud ricorda che da ragazzo, una volta vi arrivò a mezzanotte, per la puntura di uno scorpione.
Dopo sei lunghi anni di abbandono dei luoghi, ultimamente ancora una metamorfosi. Un’altra Congregazione si fa avanti, non tanto per richiesta del vescovo, ma per le suppliche degli abitanti di Tazert, afferma suor Elisabeth, superiora generale. Così, con l’arrivo delle Francescane di S.Francesco di Assisi, tutte africane, rinasce il luogo di preghiera, di dialogo interreligioso e di accoglienza. Una quindicina di camerette vi attendono per giorni di vera pace accanto al villaggio, più in basso, dove si concentra la povertà del mondo. Mentre salendo al monastero, uno sciame di ragazzini sporchi, dalla faccia ridente, vi accompagna, curiosi della vostra estraneità. L’altoparlante della piccola moschea, intanto, canta tranquillo il Corano per tutti.
Khalifa, accolto dal monastero da bambino, ne è diventato un prezioso aiutante tuttofare. Ora vive al villaggio ed è rimasto musulmano. Dal sorriso, però, si indovina che il suo cuore è qui, tra i cristiani. Eppoi, dagli abitanti senti sgranare come un rosario i miracoli quotidiani, che il monastero compie per loro da sempre: medicinali, alimentari, un aiuto per un’operazione al cuore, una stanzetta fatta costruire per una donna rimasta sola, abbandonata dalla famiglia… Inoltre, disponibilità ed ascolto a tutte le ore.
Sapendo che il tempo, come dice qualcuno, “è il bene più prezioso del secolo ancor più dei soldi”. Poi, ogni mattina suor Martine, togolese, inforca una piccola moto per scendere a lavorare al dispensario in fondo al paese. Suor Prisca, pure del Togo, scenderà più tardi per l’atelier di cucito e ricamo con le donne del villaggio: un’associazione, forse l’unica, che marcia bene. Le altre si sono perse, strada facendo…
Allora, qualcuno qui vi sussurra: “Un uomo fa quel che può, una donna quello che lui non può…” Insomma, monastero cristiano e villaggio musulmano “camminano insieme”, vi assicura Miloud, intrecciandosi le mani per farsi capire. Sì, ai tempi d’oggi, tempi disseminati di violenza, di conflitti duri e sanguinosi, questo piccolo monastero brilla nel mondo come un faro di profezia. Dalla sua altura, una vera lampada sopra il moggio, direbbe il Vangelo.
“La fede, l’amore e la speranza camminano nella notte – conclude, in fondo, Dietrich Bonhoeffer – Esse credono l’impossibile. Amano chi si allontana e vi abbandona. Sperano contro ogni speranza”.
Di Renato Zilio, missionario scalabriniano in Marocco.