Sussidio per la xxxii Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei 17 gennaio 2021
A cura della Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo della Conferenza Episcopale Italiana
PUBBLICAZIONE A CURA DELL’UFFICIO NAZIONALE PER L’ECUMENISMO E IL DIALOGO INTERRELIGIOSO PROGETTO GRAFICO : WWW.OTTAVIOSOSIO.IT
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Dall’introduzione di S.E. Mons. Ambrogio Spreafico
Concludiamo quest’anno la riflessione comune sulle Meghillot fermando la nostra attenzione sul libro di Qohelet. Non ci poteva essere migliore coincidenza di questa che affrontare assieme, ebrei e cattolici, le domande che ci vengono da questo tempo di dolore e di morte con il libro di Qohelet. Infatti, proprio questo libro mette in discussione il senso della vita davanti al comune destino della morte. Scrive William P. Brown nel suo commentario: “Qohelet è un prodotto dello Zeitgeist (ndr: “spirito del tempo”): un’era di malinconia e di interrogativi, una cultura di morte e di disillusione” (Qohelet, Claudiana, Brescia 2012, p. 19).
La pandemia ci ha afflitto ponendoci di fronte alla morte e alla fragilità dell’essere umano, che si è trovato a fronteggiare un male inatteso, mostrandosi impreparato e privo dei mezzi necessari per sconfiggerlo alla radice, nonostante i progressi della scienza. Quel sapere, che sembrava renderci padroni assoluti del creato, ha faticato e fatica ancora a opporsi a questo virus. Mentre speriamo che presto vengano trovati un vaccino o una cura adeguata per contrastare il virus, sentiamo la responsabilità personale, nei comportamenti e nei pensieri, di far sì che la pandemia si fermi e che i suoi risvolti negativi sulla vita sociale e economica non si aggravino. Abbiamo capito meglio che non saranno i muri a salvarci, ma il remare insieme – come ha detto papa Francesco – nella stessa barca che affronta questa tempesta. Da soli non ce la facciamo.
È il limite della sapienza, a cui fa riferimento Qohelet fin dall’inizio quando parla della vanità delle cose create e anche della fatica umana nella ricerca del vero, in cui tuttavia crede: “Mi sono proposto di ricercare ed esplorare con saggezza tutto ciò In questi mesi è continuato il prezioso lavoro del gruppo ebraico-cattolico sulla presentazione dell’ebraismo nei testi per l’insegnamento della religione cattolica, come sono continuate a distanza conferenze e incontri di dialogo tra ebrei e cristiani. Il lavoro sui libri di testo dovrebbe aiutare a un’ulteriore riflessione sull’insegnamento dell’ebraismo nelle facoltà teologiche. Ci si dovrebbe chiedere in che misura si dà spazio a un serio studio dell’ebraismo nei suoi fondamenti e nella sua storia millenaria. Il dialogo ebraico-cristiano non può prescindere dalla conoscenza dell’ebraismo come realtà vivente oggi e non solo come necessaria “radice” della fede cristiana.
La recente traduzione dello studio di Anders Gerdmar (Bibbia e antisemitismo teologico, Torino, Paideia-Claudiana 2020) mostra con chiarezza come l’insegnamento teologico ed esegetico abbia contribuito allo sviluppo dell’antisemitismo nel secolo scorso con le conseguenze ben note che portarono alla Shoah. In questo senso l’ebraicità di Gesù, ormai riaffermata unanimamente, ci costringe a misurarci sulla tradizione ebraica quale si è manifestata nella cultura e nella vita delle Comunità ebraiche nate e vissute con noi lungo i secoli fino ad oggi. Siamo ancora troppo abituati a considerare il dialogo con l’ebraismo come un fattore che si limita al confronto sul Primo Testamento e per gli ebrei sul TANAK, come se l’ebraismo ci interessasse solo per questo rapporto intrabiblico.
Se “siamo spiritualmente semiti”, come ebbe a dire Pio XI, rimane aperta la domanda su cosa significhi tempo del distanziamento, a causa della pandemia, il dialogo non si è interrotto e ha usufruito della possibilità offerta dalla comunicazione digitale. Così ad esempio, la mia conferenza congiunta con Rav Di Segni su “Ebraismo e cristianesimo”, organizzata dalla Sinagoga di via Guastalla di Milano, inizialmente annullata a causa del covid19, si è potuta tenere online con una grande partecipazione di pubblico. I partecipanti, con ogni probabilità, sono stati in parte simili e in parte diversi da quelle presenze che si sarebbero avute con una conferenza tradizionale.
È un’esperienza, quella delle piattaforme per le conferenze usate nel periodo della pandemia, che ci ha offerto nuove e illimitate possibilità di dialogo e ci ha permesso di ritrovarci online da diverse parti del mondo. Non è più possibile prescindere da questi nuovi mezzi comunicativi ma è necessario sentire ancora di più la responsabilità di condividere contenuti di qualità. Insieme siamo chiamati a condannare i reciproci stereotipi legati alle nostre religioni, che trovano nella libertà della rete la possibilità di divulgazione esponenziale. Insieme dobbiamo proporre nuove strade e ponti per il dialogo anche virtuali. Insieme dobbiamo costruire un nuovo linguaggio che ci aiuti a raggiungere le nuove generazioni per crescerle insieme nel rispetto dell’altro. La pandemia ci ha dato l’opportunità di riflettere sul pericolo dell’infodemia: cogliamola insieme.
Non sono, infatti, mancati rigurgiti pericolosi di antisemitismo, come quelli elencati dal rapporto dell’Osservatorio antisemitismo della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) relativo al primo trimestre del 2020, che enumera ben 79 atti di antisemitismo contro i 63 dello stesso periodo del 2019 e i 37 del 2018. Un segnale importante di contrasto ci viene dall’istituzione da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri del “Gruppo di lavoro per la ricognizione sulla definizione di antisemitismo approvata dall’IHRA – “International Holocaust Remembrance Alliance”, in cui sono stato chiamato a rappresentare la Conferenza Episcopale. Da questo confronto si dovrebbe arrivare a una determinazione di quegli atti che potrebbero configurarsi come espressioni chiare di antisemitismo e possibilmente in qualche modo perseguibili.
Nonostante gli sforzi fatti e i tanti protagonisti del dialogo ebraico-cristiano dal Concilio Vaticano II a oggi, occorre interrogarsi sulla reale penetrazione degli insegnamenti dalla Nostra aetate in poi in tutti gli ambiti di vita delle comunità cattoliche. La Chiesa cattolica ha fatto molti passi nei confronti dell’ebraismo e ha offerto documenti e riflessioni che hanno contribuito a un nuovo modo di presentare l’ebraismo nella catechesi, nella predicazione, nell’insegnamento. Questo processo di comprensione e di dialogo non è certo concluso, ma ha ancora bisogno di essere recepito e diventare cultura, cioè modo di pensare, di parlare, di scrivere e di vivere. Spero che la riflessione comune sul libro di Qohelet e la giornata del 17 gennaio siano un passo ulteriore nella riscoperta del valore e del senso del nostro essere radicati nella fede dell’Israele di Dio.
S.E. Mons. Ambrogio Spreafico
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