Questa mattina, nella Cappella Redemptoris Mater, il Predicatore della Casa Pontificia, Rev.do P. Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., ha tenuto la quarta ed ultima Predica di Quaresima dal titolo “Maria Madre della Chiesa nell’ordine della grazia”, registrata a causa della situazione sanitaria.
Tema delle meditazioni quaresimali è il seguente: “Presso la croce di Gesù stava sua madre” (Giovanni 19, 25), Maria nel mistero pasquale di Cristo.
Ascolta la predica
« DONNA, ECCO TUO FIGLIO! » Maria madre dei credenti
“Tutti là sono nati!”
Continuiamo e terminiamo la nostra contemplazione di Maria nel mistero pasquale. Oggetto della nostra riflessione odierna è la parola che Gesú rivolge dalla croce a sua madre e al discepolo che egli amava:
Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa (Gv 19, 26-27).
Al termine delle nostre considerazioni su Maria nel mistero dell’Incarnazione, nell’Avvento scorso, abbiamo contemplato Maria come Madre di Dio; ora, al termine delle nostre riflessioni su Maria nel Mistero pasquale, la contempliamo come Madre dei cristiani, come Madre nostra.
Dobbiamo subito precisare che non si tratta di due titoli e di due verità da porre sullo stesso piano. « Madre di Dio » è un titolo definito solennemente; si basa su una maternità reale, non solo spirituale; ha un rapporto strettissimo con la verità centrale della nostra fede, che Gesù è Dio e uomo nella stessa persona; ed è, infine, un titolo universalmente accolto nella Chiesa. «Madre dei credenti», o « Madre nostra » indica una maternità spirituale; ha un rapporto meno stretto con la verità centrale del credo; non si può dire che sia stato tenuto nel cristianesimo « ovunque, sempre e da tutti », ma riflette la dottrina e la pietà di alcune Chiese, in particolare della Chiesa cattolica, anche se non solo di essa.
Sant’Agostino ci aiuta a cogliere subito la somiglianza e la differenza tra le due maternità di Maria. Scrive:
« Maria, corporalmente, è madre solo di Cristo, mentre spiritualmente, in quanto fa la volontà di Dio, gli è sorella e madre. Madre nello spirito, ella non lo fu del Capo che è lo stesso Salvatore, dal quale piuttosto spiritualmente è nata, ma lo è certamente delle membra che siamo noi, perché cooperò, con la sua carità, alla nascita nella Chiesa dei fedeli, che di quel Capo sono le membra » .
Il nostro scopo, in questa meditazione, vorrebbe essere quello di vedere tutta la ricchezza che c’è dietro questo titolo e il dono di Cristo che esso contiene, in modo da servircene, non solo per onorare Maria con un titolo in più, ma per edificarci nella fede e crescere nell’imitazione di Cristo.
Anche la maternità spirituale di Maria nei nostri confronti, analogamente a quella fisica nei confronti di Gesù, si realizza attraverso due momenti e due atti: concepire e partorire. Maria è passata attraverso questi due momenti: ci ha spiritualmente concepiti e partoriti. Ci ha concepiti, cioè alla lettera “presi insieme” con Gesú, e accolti in sé. Lo ha fatto quando, nel momento stesso dell’Annunciazione e poi in seguito a mano a mano che Gesù avanzava nella sua missione, è venuta scoprendo che quel suo figlio non era un figlio come gli altri, una persona privata, ma che era il Messia atteso, intorno al quale si sarebbe formata una comunità.
Questo fu il tempo del concepimento, del «sì » del cuore. Ora, sotto la croce, è il momento del travaglio del parto. Gesù, in questo momento, si rivolge alla madre, chiamandola « Donna ». Conoscendo l’abitudine dell’evangelista Giovanni di parlare per allusioni, simboli e rimandi, questa parola fa pensare a ciò che Gesù aveva detto: “La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora” (Gv 16, 21) e a ciò che si legge nell’Apocalisse, della « Donna incinta che gridava per le doglie del parto » (cf Ap 12, 1 s.).
Anche se questa Donna è, in prima linea, la Chiesa, la comunità della nuova alleanza che dà alla luce l’uomo nuovo e il mondo nuovo, Maria vi è coinvolta egualmente in prima persona, come l’inizio e la rappresentante di quella comunità credente. Questo accostamento tra Maria e la figura della Donna è stato, ad ogni modo, recepito presto dalla Chiesa. Sant’Ireneo (discepolo di san Policarpo, discepolo a sua volta di Giovanni!) vede in Maria la nuova Eva, la nuova « madre di tutti i viventi » .
Ma volgiamoci ormai al testo di Giovanni, per vedere se esso contiene già qualcosa di questo che andiamo dicendo. Le parole di Gesù a Maria: « Donna, ecco tuo figlio » e a Giovanni: « Ecco, la tua madre », hanno certamente un significato anzitutto immediato e concreto. Gesù affida Maria a Giovanni e Giovanni a Maria. Ma questo non esaurisce il significato della scena. L’esegesi moderna, avendo fatto enormi progressi nella conoscenza del linguaggio e dei modi espressivi del Quarto Vangelo, ne è ancora più convinta che al tempo dei Padri.
Se si legge il brano di Giovanni unicamente in una chiave spicciola, quasi di ultime disposizioni testamentarie, esso risulta – è stato detto – «un pesce fuor d’acqua» e anzi una dissonanza nel contesto in cui si trova. Per Giovanni, il momento della morte è il momento della glorificazione di Gesù, del compimento definitivo delle Scritture e di tutte le cose. Ogni frase e ogni parola in quel contesto ha un significato anche simbolico e allude al compimento delle Scritture.
Dato questo contesto, è più una forzatura del testo il non vedervi che un significato privato e personale, che il vedervi, con l’esegesi tradizionale, anche un significato più universale ed ecclesiale, legato, in qualche modo, alla figura della « donna » di Genesi 3, 15 e di Apocalisse 12. Questo significato ecclesiale è che il discepolo non rappresenta qui solo Giovanni, ma il discepolo di Gesù in quanto tale, cioè tutti i discepoli. Essi sono dati a Maria da Gesù morente come suoi figli, allo stesso modo che Maria è data ad essi come loro madre.
Le parole di Gesù a volte descrivono qualcosa che è già presente, cioè rivelano ciò che esiste; a volte invece creano e fanno esistere ciò che esprimono. A questo secondo ordine appartengono le parole di Gesù morente a Maria e a Giovanni. Dicendo: “Questo è il mio corpo”, Gesù rendeva il pane suo corpo; così – fatte le debite proporzioni – dicendo: “Ecco tua madre”, ed “Ecco tuo figlio”, Gesù costituisce Maria madre di Giovanni e Giovanni figlio di Maria. Gesù non si è limitato a proclamare la nuova maternità di Maria, ma l’ha istituita. Essa dunque non viene da Maria, ma dalla Parola di Dio; non si basa sul merito, ma sulla grazia.
Sotto la croce, Maria ci appare dunque come la figlia di Sion che, dopo il lutto e la perdita dei suoi figli, riceve da Dio una nuova figliolanza, più numerosa di prima, non secondo la carne, ma secondo lo Spirito. Un Salmo, che la liturgia applica a Maria, dice: “Ecco, Palestina, Tiro ed Etiopia: tutti là sono nati. Si dirà di Sion: « L’uno e l’altro è nato in essa… ». Il Signore scriverà nel libro dei popoli: « Là costui è nato » (Sal 87, 2 s). È vero: tutti là siamo nati! Si dirà anche di Maria, la nuova Sion: l’uno e l’altro è nato in essa. Di me, di te, di ognuno, anche di chi non lo sa ancora, nel libro di Dio, è scritto : « Là costui è nato ».
Ma non siamo stati noi « rigenerati dalla Parola di Dio viva ed eterna » (cf 1 Pt 1, 23)?; non siamo « nati da Dio » (Gv 1, 13) e rinati « dall’acqua e dallo Spirito » (Gv 3, 5)? È verissimo, ma ciò non toglie che, in un senso diverso, subordinato e strumentale, siamo nati anche dalla fede e dalla sofferenza di Maria. Se Paolo, che è un servo e un apostolo di Cristo, può dire ai suoi fedeli: “Sono io che vi ho generato in Cristo, mediante il Vangelo” (1 Cor 4, 15), quanto più può dirlo Maria, che ne è la madre! Chi più di lei può far sue le parole dell’Apostolo: “Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore” (Gal 4, 19)? Ella ci partorisce « di nuovo » sotto la croce, perché ci ha già partorito una prima volta, non nel dolore, ma nella gioia, quando ha dato al mondo proprio quella « Parola viva ed eterna », che è Cristo, nella quale siamo rigenerati.
La sintesi mariana del Concilio Vaticano II
La dottrina tradizionale cattolica di Maria Madre dei cristiani ha ricevuto una nuova formulazione nella costituzione sulla Chiesa del Concilio Vaticano II. Nella Lumen gentium leggiamo:
Concependo Cristo, generandolo, nutrendolo, presentandolo al Padre nel tempio, soffrendo col Figlio suo morente in croce, ella cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo ella è diventata per noi madre nell’ordine della grazia .
Il Concilio stesso si preoccupa di precisare il senso di questa maternità di Maria. Dice:
La funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce quest’unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l’efficacia. Ogni salutare influsso della beata Vergine verso gli uomini non nasce da una necessità oggettiva, ma da una disposizione puramente gratuita di Dio, e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo; pertanto si fonda sulla mediazione di questi, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia, e non impedisce minimamente l’unione immediata dei credenti con Cristo, anzi la facilita .
La novità più grande di questa trattazione sulla Madonna consiste, come si sa, proprio nel posto in cui essa è inserita, e cioè nella trattazione sulla Chiesa. Con ciò il Concilio – non senza sofferenze e lacerazioni, attuava un profondo rinnovamento della mariologia, rispetto a quella degli ultimi secoli. Il discorso su Maria non è più a se stante, come se ella occupasse una posizione intermedia tra Cristo e la Chiesa, ma ricondotto nell’ambito della Chiesa, come era stato all’epoca dei Padri.
Maria è vista, come diceva sant’Agostino, come il membro più eccellente della Chiesa, ma un membro di essa, non al di fuori o al di sopra di essa:
Santa è Maria, beata è Maria, ma più importante è la Chiesa che non la Vergine Maria. Perché? Perché Maria è una parte della Chiesa, un membro santo, eccellente, superiore a tutti gli altri, ma tuttavia un membro di tutto il corpo. Se è un membro di tutto il corpo senza dubbio più importante d’un membro è il corpo .
Questo è il caso teologico più evidente della verità dell’assioma, caro a papa Francesco, che “il tutto è superiore alla parte”. Questo assioma non si realizza nella Trinità perché in essa, grazie alla pericoresi, in ogni parte, o persona, c’è già il tutto. Si realizza invece nella Chiesa.
Subito dopo il Concilio, Paolo VI sviluppò ulteriormente l’idea della maternità di Maria verso i credenti, attribuendo a lei, esplicitamente e solennemente, il titolo di “Madre della Chiesa”:
A gloria dunque della Vergine e a nostro conforto, Noi proclamiamo Maria Santissima “Madre della Chiesa”, cioè di tutto il popolo di Dio, tanto dei fedeli come dei Pastori, che la chiamano Madre amorosissima; e vogliamo che con tale titolo soavissimo d’ora innanzi la Vergine venga ancor più onorata ed invocata da tutto il popolo cristiano .
« E da quel momento il discepolo la prese con sé »
È giunto però il momento di passare dalla contemplazione di un titolo di Maria alla sua imitazione pratica; di considerare, cioè, Maria nel suo aspetto di figura e specchio della Chiesa. L’applicazione è semplice: dobbiamo imitare Giovanni, prendendo Maria con noi nella nostra vita spirituale. Tutto qui.
«E il discepolo la prese con sé (eis ta ídia)». Si pensa troppo poco a ciò che questa breve frase contiene. Dietro di essa c’è una notizia di portata enorme e storicamente sicura, perché data dalla persona stessa interessata. Maria passò gli ultimi anni della vita con Giovanni. Ciò che si legge nel Quarto Vangelo, a proposito di Maria a Cana di Galilea e sotto la croce, fu scritto da uno che viveva sotto lo stesso tetto con Maria, poiché è impossibile non ammettere un rapporto stretto, se non l’identità, tra «il discepolo che Gesù amava» e l’autore del Quarto Vangelo. La frase: « E il Verbo si fece carne », fu scritta da uno che viveva sotto lo stesso tetto con colei, nel cui seno questo miracolo si era compiuto, o almeno da uno che l’aveva conosciuta e frequentata.
Chi può dire cosa significò, per il discepolo che Gesù amava, avere con sé, in casa, giorno e notte, Maria? Pregare con lei, con lei consumare i pasti, averla davanti come ascoltatrice quando parlava ai suoi fedeli, celebrare con lei il mistero del Signore? È pensabile che Maria sia vissuta nella cerchia del discepolo che Gesù amava, senza che abbia avuto alcun influsso nel lento lavorio di riflessione e di approfondimento che portò alla redazione del Quarto Vangelo? Nell’antichità Origene ha intuito il segreto che c’è sotto questo fatto, al quale gli studiosi e i critici del Quarto Vangelo e i ricercatori delle sue fonti non prestano, di solito, alcuna attenzione. Egli scrive:
Primizia dei Vangeli è quello di Giovanni, il cui senso profondo non può cogliere chi non abbia poggiato il capo sul petto di Gesù e non abbia ricevuto da lui Maria, come sua propria madre .
Ora ci domandiamo: cosa può significare concretamente per noi prendere Maria nella nostra casa? Qui, credo, si inserisce il nucleo sobrio e sano della spiritualità Monfortana dell’affidamento a Maria, caro, tra gli altri, a san Giovanni Paolo II che da esso trasse il motto del suo stemma “Totus tuus”. Esso consiste nel « fare tutte le proprie azioni per mezzo di Maria, con Maria, in Maria e per Maria, per poterle compiere in maniera più perfetta per mezzo di Gesù, con Gesù, in Gesù e per Gesù ». Scrive san Luigi Grignon de Monfort:
«Dobbiamo abbandonarci allo spirito di Maria per essere mossi e guidati secondo il suo volere. Dobbiamo metterci e restare fra le sue mani verginali come uno strumento tra le mani di un operaio, come un liuto tra le mani di un abile suonatore. Dobbiamo perderci e abbandonarci in lei come una pietra che si getta nel mare. È possibile fare tutto ciò semplicemente e in un istante, con una sola occhiata interiore o un lieve movimento della volontà, o anche con qualche breve parola » .
Qualcuno ha obiettato che in questo modo si usurpa il posto dello Spirito Santo nella vita cristiana, dal momento che è dallo Spirito Santo che ci dobbiamo « lasciare condurre » (cf Gal 5, 18), lui che dobbiamo lasciare operare e pregare in noi (cf Rm 8, 26 s), per assimilarci a Cristo. Non è scritto forse che il cristiano deve fare ogni cosa «nello Spirito Santo »? L’inconveniente di attribuire, almeno di fatto, tacitamente, a Maria le funzioni proprie dello Spirito Santo nella vita cristiana è stato riconosciuto come presente in certe forme di devozione mariana anteriori al Concilio . Esso era dovuto alla mancanza di una chiara e operante coscienza del posto dello Spirito Santo nella Chiesa.
Lo svilupparsi di un forte senso della Pneumatologia non porta però minimamente alla necessità di rifiutare questa spiritualità dell’affidamento a Maria, ma solo ne chiarisce la natura. Maria è precisamente uno dei mezzi privilegiati attraverso cui lo Spirito Santo può guidare le anime e condurle alla somiglianza con Cristo, proprio perché Maria fa parte della Parola di Dio ed è essa stessa una parola di Dio in azione. In questo Grignion de Monfort anticipa i tempi quando scrive:
Lo Spirito Santo, che è sterile in Dio, cioè non da origine ad un altra persona divina, è divenuto fecondo per mezzo di Maria da lui sposata. Con lei, in lei e da lei egli ha realizzato il suo capolavoro, che è un Dio fatto uomo, e tutti i giorni, sino alla fine del mondo, dà vita ai predestinati e ai membri del corpo di questo Capo adorabile. Perciò, quanto più lo Spirito Santo trova Maria, sua cara e indissolubile Sposa, in un’anima, tanto più diviene operoso e potente per formare Gesù Cristo in quest’anima e quest’anima in Gesù Cristo.
La frase « ad Jesum per Mariam », a Gesù attraverso Maria, è accettabile solo se intesa nel senso che lo Spirito Santo ci guida a Gesù servendosi di Maria. La mediazione creata di Maria, tra noi e Gesù, ritrova tutta la sua validità, se compresa quale mezzo della mediazione increata che è lo Spirito Santo.
Ricorriamo, per capire, a una analogia, per così dire, dal basso. Paolo esorta i suoi fedeli a guardare ciò che fa lui e a fare anch’essi come vedono fare lui: “Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare” (Fil 4, 9). Ora è certo che Paolo non intende mettersi al posto dello Spirito Santo. Semplicemente pensa che imitarlo significa assecondare lo Spirito, dal momento che pensa di avere anche lui lo Spirito di Dio (cf 1 Cor 7, 40). Questo vale a fortiori per Maria e spiega il senso del programma di « fare tutto con Maria e come Maria ». Ella può dire davvero come Paolo e più di Paolo: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (1 Cor 11, 1). Ella è nostro modello e maestra proprio perché perfetta discepola e imitatrice di Cristo.
Questo significa, in senso spirituale, prendere Maria con sé: prenderla come compagna e consigliera, sapendo che essa conosce, meglio di noi, quali sono i desideri di Dio a nostro riguardo. Se si impara a consultare ed ascoltare in ogni cosa Maria, essa diventa davvero, per noi, la maestra impareggiabile nelle vie di Dio, che insegna dentro, senza strepito di parole. Non si tratta di un’astratta possibilità, ma di una realtà di fatto, sperimentata, oggi come in passato, da innumerevoli anime
« Il coraggio che hai avuto… »
Prima di concludere la nostra contemplazione di Maria nel mistero pasquale, presso la croce, vorrei che dedicassimo ancora un pensiero a lei come modello di fede e di speranza. Viene un’ora nella vita, in cui ci occorre una fede e una speranza come quella di Maria. È quando Dio sembra non ascoltare più le nostre preghiere, quando si direbbe che smentisca se stesso e le sue promesse, quando ci fa passare di sconfitta in sconfitta e le potenze delle tenebre sembrano trionfare su tutti i fronti intorno a noi; quando si fa buio dentro di noi, come si fece buio, quel giorno, « su tutta la terra » (Mt 27, 45). Quando arriva per te quest’ora, ricordati della fede di Maria e grida anche tu, come hanno fatto altri: « Padre mio, non ti comprendo più, ma mi fido di te! ».
Forse Dio ci sta chiedendo proprio ora di sacrificargli, come Abramo, il nostro « Isacco », cioè la persona, o la cosa, il progetto, la fondazione, o l’ufficio, che ci è caro, che Dio stesso un giorno ci ha affidato, e per il quale abbiamo lavorato tutta la vita. Questa è l’occasione che Dio ci offre per mostrargli che egli ci è più caro di tutto, anche dei suoi doni, anche del lavoro che facciamo per lui.
Ad Abramo Dio disse: “Diventerai padre di una moltitudine di nazioni” (Gen 17, 5). E dopo il sacrificio di Isacco: “Perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo figlio,il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza…Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra perché tu hai obbedito alla mia voce”(Gen 22,16-18) Lo stesso, e molto di più, dice ora a Maria. “Madre di molti popoli ti renderò, madre della mia Chiesa! Nel tuo nome saranno benedette tutte le stirpi della terra. Tutte le generazioni ti chiameranno beata”.
Uno dei padri della Riforma, Calvino, commentando Genesi 12,3, dice che “Abramo non sarà soltanto esempio e patrono, ma causa di benedizione” . Questo potrebbe rendere comprensibile a accettabile da tutti i cristiani l’affermazione di sant’Ireneo: “Come Eva, disobbedendo, divenne causa di morte per sé e per tutto il genere umano, così Maria, obbedendo, divenne causa di salvezza (causa salutis) per sé e per tutto il genere umano” . Come Abramo, Maria non è soltanto esempio, ma anche causa di salvezza, anche se, s’intende, di natura strumentale, frutto della grazia, non del merito.
È scritto che quando Giuditta tornò tra i suoi, dopo aver messo a repentaglio la propria vita per il suo popolo, gli abitanti della città le corsero incontro e il sommo sacerdote la benedisse dicendo: “Benedetta tu, figlia, davanti al Dio altissimo più di tutte le donne che vivono sulla terra… Il coraggio che hai avuto non cadrà dal cuore degli uomini” (Gdt 13, 18 s). Le stesse parole noi rivolgiamo a Maria: “Benedetta tu fra le donne! Il coraggio che hai avuto non cadrà mai dal cuore e dal ricordo della Chiesa!”.
Riassumiamo tutta la partecipazione di Maria al mistero pasquale, applicando a lei, con le dovute differenze, le parole con le quali san Paolo ha riassunto il mistero pasquale di Cristo:
Maria, pur essendo la Madre di Dio, non considerò un tesoro geloso
questo suo rapporto unico con Dio,
ma spogliò se stessa di ogni pretesa, assumendo il nome di serva
e apparendo all’esterno simile a ogni altra donna.
Visse nell’umiltà e nel nascondimento,
obbedendo a Dio, fino ad accettare la morte del Figlio,
e la morte di croce.
Per questo Dio l’ha esaltata e le ha dato il nome
che, dopo quello di Gesù,
è al di sopra di ogni altro nome,
perché nel nome di Maria ogni capo si chini,
nel cielo, sulla terra e sottoterra,
e ogni lingua proclami
che Maria è la Madre del Signore,
a gloria di Dio Padre. Amen!
1.S. Agostino, La santa verginità, 5-6 (PL 40, 399).
2.S. Ireneo, Adversus haereses, III, 22, 4.
3.Lumen gentium, 61.
4.Ib. 60.
5.S. Agostino, Discorsi, 72 A, 7 (Miscellanea Agostiniana, I, p. 163).
6.S. Paolo VI, Discorso di chiusura del terzo periodo del Concilio (AAS, 56, 1964, p. 1016).
7.Origene, Commento al vangelo di Giovanni, I,6,23 (SCh 120, pp. 70-72).
8.S. L. Grignion de Montfort, Trattato della vera devozione a Maria, nr. 257-259 (in Oeuvres complètes, Parigi 1966, pp. 660 s.)
9.Cf. H. Mühlen Una mystica persona, trad. ital. Città Nuova, Roma 1968, pp.575 ss.
10.Trattato, cit. nr. 20.
11.Calvino, Le livre de la Génèse, I, Ginevra 1961, p. 195 ; cf. anche G. von Rad, Genesi, Paideia, Brescia 1978, p. 204.
12.S. Ireneo, Adversus Haereses, III, 22,4 (SCh 211, p. 441).