sr. Piera Cori – Commento al Vangelo del 14 Marzo 2021 per bambini

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Buongiorno, ragazzi, e buona domenica!

Vi ricordate il Vangelo di domenica scorsa? Il brano terminava con una dichiarazione solenne nella quale Gesù afferma che Lui è il nuovo tempio.

Il tempio, lo sappiamo, è il luogo per pregare, per incontrare Dio. Gesù ci dice che lui è la persona attraverso la quale possiamo incontrare davvero Dio.

Oggi ci vuole mostrare come e quindi, insieme a lui, facciamo un ulteriore passo avanti. La fede ragazzi è un vero e proprio percorso, un vero e proprio cammino.

In che senso? Voi direte: i vangeli sono sempre quelli, non cambiano! È vero! Ma… cambiamo noi, cambiamo sotto tanti punti di vista: di crescita, di gusti, di interessi, ciò che non ci incuriosiva prima magari ci interessa adesso ecc… anche le cose intorno a noi si modificano, cambiano, lo capiamo benissimo in questo tempo di pandemia, non è vero?

Oggi dobbiamo credere che questa è la Parola giusta che il Signore ci offre per orientare il nostro cammino. Il brano è preso dal vangelo di Giovanni e inizia con una frase che va un pochino chiarita. Si riferisce infatti ad un episodio successo al popolo di Israele durante il viaggio verso la terra promessa. Ma andiamo per ordine e incominciamo a leggere l’inizio di questo brano: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

Giovanni fa un paragone importante: Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così…. L’episodio a cui si riferisce Giovanni è un fatto accaduto secoli prima al popolo di Israele in cammino nel deserto. Il deserto è un luogo davvero difficile per camminare e per viverci. È un luogo inospitale. La vita, lì, è messa a dura prova e per questo motivo, ogni tanto, il popolo si lamenta con Mosè al punto tale da rimpiangere la schiavitù dell’Egitto. La rimpiange così tanto da dimenticare tutto quello che il Signore ha fatto per questo popolo. Lo dimenticano così tanto da voler tornare persino indietro. Dio li ha liberati e loro vogliono tornare ad essere schiavi.

Però, ad ogni mancanza di fiducia nel Signore, segue una prova, e questa volta la prova è data dalla presenza nel deserto di serpenti velenosi che uccidono coloro che vengono morsi. Il popolo non sa come fare, la sofferenza è grande e, allora, invoca l’aiuto del Signore.

Dio parla a Mosè e gli comanda di costruire un serpente di bronzo e di metterlo su un’asta bene in alto in modo che sia visibile a tutte le persone. Le persone che venivano morse dai serpenti velenosi se guardavano verso il serpente di bronzo, segno di Dio, del suo perdono e del suo amore, venivano sanate. Quel serpente è la “medicina” con cui Dio guarisce il suo popolo. È un segno di salvezza.

L’evangelista ci fa capire che con Gesù è arrivato il momento definitivo del perdono e dell’amore di Dio che si mostra proprio attraverso la persona di Gesù, segno concreto della misericordia del Padre.

Giovanni, infatti, terminando il paragone con il quale ha iniziato questa pagina, dice: “così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”.

Ecco perché Gesù viene innalzato. È come una necessità. A noi il termine innalzare fa pensare a qualcosa di bello. Se tu innalzi un oggetto è perché lo vuoi mostrare a tutti. Una squadra, quando vince una coppa, la tiene bene in alto in modo da mostrarla a tutti. Innalzare qualcuno significa dargli importanza, dargli gloria. Giovanni intende proprio questo quando usa questo termine.
E quando è il momento in cui Gesù viene innalzato?

Quando muore sulla croce. Per l’evangelista, la croce di Gesù è come un trono di Gloria. È come il trono di un re! Anche san Paolo è convinto di questo, tant’è vero che nelle sue lettere afferma che come cristiani non possiamo gloriarci di nessuna cosa se non della Croce di Cristo, perché lui è la nostra vita e resurrezione e per mezzo del suo innalzamento noi siamo salvati e liberati.

I primi cristiani erano così convinti di questa verità che amavano raffigurare nei mosaici delle prime Chiese basiliche, la croce come albero fiorito, come vite feconda. Albero dal quale viene la vita, la salvezza.

Certo non possiamo mai dimenticare che la croce è un patibolo di morte, un vero supplizio, ma è proprio attraverso questo patibolo che Gesù ci mostra come ci ha amato fino all’estremo delle forze, fino alla fine. Gesù sulla croce moriva solo e abbandonato, ma nella sua morte ci narrava che l’amore più grande consiste nel “dare la vita per gli amici”. E noi siamo suoi amici se accogliamo la sua luce e viviamo in essa. Questa accoglienza ci porta a fare e a vivere gli stessi atteggiamenti di Gesù. Per questo oggi e nei giorni a venire, quando guardiamo il crocefisso, guardiamolo pensando all’amore infinito di Dio per noi. Rivolgiamogli una preghiera per ciò che stiamo vivendo, per le persone care, per quelli che soffrono. Chiediamo al Crocefisso di insegnarci a vivere la nostra vita nella luce dell’amore proprio come lui ci insegna, e di donarlo ai fratelli.
Buona domenica!

Commento a cura di Piera Cori per il sito omelie.org