Sr. Mariangela Tassielli – Commento al Vangelo di domenica 8 Ottobre 2023 per bambini/ragazzi

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Quando vivevo il mio impegno pastorale con i giovani, una delle cose che ripetevo spesso era: «Dio punta su di te. Nelle scelte che fai lui sta con il fiato sospeso, incrocia le dita e spera con tutto se stesso che tu possa fare quelle giuste». Magari mi direte che è un’immagine banale, eppure tutte le volte che sono a un bivio (anche un bivio tosto), io Dio me lo sento addosso proprio così: con il fiato sospeso e le dita incrociate, come chi rispettando la mia libertà crede profondamente che in me ho quanto basta per non mollare, per non scegliere il più facile ma ingiusto, per puntare sul bene.

Ora, leggete il brano di Isaia che troviamo nella prima lettura: il canto d’amore per la vigna non dice forse questo? Il dolore devastante di un amore tradito non racconta forse le infinite volte in cui la fiducia, l’attesa, la cura, la tenerezza si sono fatte compagne di un cammino?

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La vigna… sempre lei, presenza stabile di queste ultime domeniche, non fa altro che spingerci in profondità. La vigna è il Regno, ci siamo detti domenica scorsa. La vigna per Isaia è Israele, popolo dell’Alleanza, popolo scelto, amato, liberato. Popolo che Dio ha legato a sé e di cui ha ascoltato la voce.

La vigna: tanto preziosa – per il Creatore e Signore degli universi – da riuscire con la sua durezza di cuore, sterilità nel bene, resistenza alla voce di quel divino amante a provocare tutta la sua devastante rabbia. Così almeno sceglie lo scrittore biblico di descriverci la profonda amarezza di Dio. Isaia sembra dare voce in modo inoppugnabile alla scelta del Signore verso Israele-vigna: «toglierò la sua siepe e demolirò il muro di cinta (la protezione), verrà calpestata e la renderò deserto (terra sterile, di nessuno), alle nubi comanderò di non mandarvi acqua». Dio sembra volgere le spalle a colui che ha scelto e reso sacro. Ma è davvero così che finisce?

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Spostiamoci al Vangelo. La parabola che Gesù racconta sono le parole del profeta Isaia, e i capi dei sacerdoti, con cui Gesù sta parlando, lo sanno bene. La parabola questa volta non è un’invenzione narrativa, non nella prima parte, almeno. Gesù sta citando i profeti, e i capi sanno benissimo dove sta puntando. Infatti alla fine della narrazione, quando Gesù chiede loro: «Quando verrà il padrone che cosa farà?». La risposta dei capi è coerente con la fine della prima lettura: «Quei malvagi, li farà morire miseramente…».

Ma Gesù va oltre. A lui interessa aprire lo scrigno del Regno. Se Isaia, qualche capitolo dopo, dà voce a un Dio che nelle tenebre di un’umanità decaduta invia la luce della salvezza – l’Emmanuele (capitolo 9) –, qui è Gesù a spostare il baricentro. Il Figlio inaugura la pienezza del Regno e mostra l’impossibile; colui che viene scartato, il figlio ucciso, respinto, non accolto, non è più causa di morte e di punizione, ma di riscatto: è la pietra d’angolo che può tenerci saldamente uniti a colui che ci ha creati perché amati, Dio.

Se questa non è una meraviglia, di che cosa abbiamo ancora bisogno?

Il regno di Dio è per chi non misura, ce lo ripetiamo ancora una volta. Il Regno è acqua irrefrenabilmente zampillante, è vita in costante fase di germinazione e gemmazione, perché il Regno è attraversato dallo Spirito di Dio, eterna novità.

La chiamata è per noi: accogliere il Figlio per rendere vivo, presente, generativo il Regno anche ora, anche qui.

Per gentile concessione di Sr. Mariangela, dal suo sito cantalavita.com

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