Giobbe e la suocera di Simone; Giobbe e i tanti guariti che hanno incontrato Gesù di Nazaret: sembrano mondi inavvicinabili, sembrano differenti esperienze di Dio. Da una parte il giusto che non ha raccolto il frutto atteso (salute, prosperità, famiglia, ricchezza…), non più almeno, o così sembrerebbe; e dall’altra donne e uomini quasi anonimi che ricevono da Gesù a larghe mani. A volte senza neppure chiedere. Forse senza meritare (almeno rispetto alle nostre logiche).
E ancora: da una parte Giobbe, l’uomo ferito da un Dio che sembra aver tradito ogni attesa, rinnegato ogni promessa, spento ogni speranza; dall’altra donne e uomini toccati, raggiunti, liberati oltre ogni richiesta e certamente oltre ogni immaginazione. È con questa forte contrapposizione che la Prima lettura e il Vangelo ci raggiungono in questa V domenica del Tempo Ordinario.
E poi tra l’una e l’altra lettura, con straordinario entusiasmo e passione, spicca la voce dell’apostolo Paolo: «Tutto io faccio per il Vangelo. Mi sono fatto debole per i deboli… mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno». Annunciare il Vangelo per Paolo non è un vanto, ma una necessità. È fuoco. È obbligo. È spinta.
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Annunciare Vangelo è dire che Gesù di Nazaret è storia, e si fa storia nella vita di tutti; è salvezza che chiunque può ricevere; è Dio presente nelle ferite, nel peccato, nelle solitudini, nell’amarezza, nel non-senso.
E sì, se lo hai scoperto non puoi che far riecheggiare ovunque questa certezza. E no, se lo hai scoperto non puoi consentire che esista anche solo una persona sulla terra che non lo sappia.
Quanti Paolo servirebbero oggi! Donne e uomini salvati, amati, perdonati, liberati che riescono a farsi liberazione, perdono, amore.
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Paolo ha ricevuto Vangelo e si è fatto Vangelo. Simone e gli altri che erano con Gesù, cercano il maestro, hanno bisogno che sia lui a portare salvezza, perché ancora non sono stati raggiunti dalla risurrezione, non hanno sperimentato la morte, non hanno ancora visto accadere il Regno nella loro vita. Anche loro, come tutti gli altri, sono ancora solo donne e uomini che cercano il maestro per sentirsi raggiungere dalla vita, per sentirla scorrere, per lasciarsi sorprendere dalla novità.
Qual è la differenza tra il prima e il dopo?
Qual è la differenza tra Giobbe e la suocera di Simone, i malati e indemoniati guariti, Paolo?
Dove sta il segreto della speranza?
Che cosa la rende possibile?
Vorremmo poter dire di sapere che cosa rispondere, ed essere certi che sia la risposta giusta. Ma di fatto lo siamo.
Tra il prima e il dopo c’è il Vangelo che è Gesù di Nazaret, cioè il regno dei cieli fatto realtà e non più attesa.
Giobbe non ha ancora visto. La fede di Giobbe è ancora figlia di sforzi, meriti ed equilibri. La fede di Giobbe, del giusto e pio Giobbe, non è ancora incontro. Come non è incontro la fede di quegli amici che condanneranno le sue bestemmie, la sua disperazione, le sue urla contro il cielo.
Ma per ogni Giobbe, da Gesù in avanti, non c’è più nessun segreto per la speranza: ogni Giobbe sa che la sofferenza, la malattia, la morte, la disperazione possono diventare casa che Dio viene ad abitare per liberarci, per riconsegnarci alla vita, per permetterci di risorgere, ancora e sempre.
Per gentile concessione di Sr. Mariangela, dal suo sito cantalavita.com