«Non fate della casa del Padre mio un mercato!».
È forse la frase più iconica del brano di Vangelo che la III domenica di Quaresima ci offre. Frase che – unita all’immagine di Gesù che fende aria e cose a suon di frusta e che rovescia banchi e getta a terra denaro – ci mette decisamente spalle al muro. La tentazione è quella di prendere questo atteggiamento del Maestro e di traslarlo a oggi applicandolo ovviamente a chi della Chiesa, o del Vangelo, fa mercato. E ne potremmo davvero dire molte in merito. Ma oggi questa applicazione voglio definirla tentazione, appunto.
Vi chiedo invece di concentrarvi non su ciò che accade fuori di noi, ma su ciò che accade dentro di noi.
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Partiamo da una certezza: siamo il tempio di Dio, siamo il luogo per eccellenza in cui la relazione con Dio accade, siamo quel tempo e quello spazio che può accogliere e riconoscere il donarsi di Dio, siamo a sua immagine, a immagine della sua vita (non della sua onnipotenza!), immagine della sua prossimità, della sua pluralità. Siamo il tempio di Dio, e lo Spirito di Dio vive in noi, siamo il suo corpo, siamo quelle pietre vive che quotidianamente costruiscono il suo Regno, regno di pace e di giustizia, di misericordia e tenerezza, di beatitudine e partecipazione.
Ora, applichiamo questa certezza, che è al contempo dono e chiamata, al Vangelo di oggi.
Quel tempio siamo noi: di che cosa ci siamo riempiti? Di che cosa ci stiamo svuotando? A che cosa stiamo dando valore? Cosa Gesù di Nazaret oggi rovescerebbe nella nostra vita?
Dio, presente sul Sinai, pronuncia parole di liberazione. E parte da una storia di liberazione. Ricorda al popolo un’esperienza di liberazione. Così, il tempio in cui Gesù entra a Gerusalemme non è altro, o meglio, non dovrebbe essere altro se non memoria vivente del Dio presente che libera, del Dio che continua a pronunciare parole di benedizione, di liberazione, di creazione. E sappiamo che la parola di Dio è parola che crea, che fa accadere la vita, che realizza ciò che pronuncia.
Il tempio che Dio vuole abitare, quello non fatto da muri ma da carne, da storie, da incroci (e scontri) di vite, diventa proprio per la sua presenza luogo e spazio in cui la liberazione è un evento continuo, che lui non si stanca di generare.
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La domanda è: lo vogliamo davvero? Vogliamo essere donne e uomini autenticamente liberati? Donne e uomini capaci di liberare? Vogliamo essere tempio in cui la vita accade?
Le dieci parole che Dio pronuncia sono cammino di liberazione. Colui che ha liberato il suo popolo, desidera per il suo popolo la vita autentica, la pienezza di una relazione che non ricada in nuove forme di schiavitù, che non si leghi a nuove idolatrie, che non patteggi con la morte, che non si prostri né prostri altri. Se avete la possibilità di leggere o ascoltare la Prima lettura nella forma lunga scoprirete che al cosiddetto terzo comandamento vengono riservati ben quattro versetti: «Ricordati del giorno di sabato…».
Lo dice a noi, e lo dice a me con particolare forza: «Ricordati di santificare il tempo, ricordati che non sei onnipotente, ricordati che hai un limite, ricordati che devi fermarti perché la storia non ti appartiene, ricordati di non legarti alla schiavitù dell’efficienza, del tutto in ordine, del tu e io. Ricordati di santificare il giorno in cui io porto a compimento la creazione, la rendo nuova, e non lo faccio con la forza della parola creatrice, ma con il silenzio e l’impotenza della croce. Ricordati di fermarti, almeno nel giorno della salvezza, e rimettermi al centro della tua vita e del compiersi di tutta la storia umana e universale».
Gesù, oggi, entrando nella nostra vita, con la Parola, con l’Eucaristia, con la vita di chi ci sta accanto non vorrebbe trovarci se non così: non pieni di valute da scambiare, ma preoccupati solo di ricordare chi è colui che muove il mondo e dà luce alla nostra intelligenza, e prospettive alle nostre energie…
Non abbiamo bisogno di altri segni: Cristo crocifisso e risorto è sufficientemente scandaloso per convincerci.
Per gentile concessione di Sr. Mariangela, dal suo sito cantalavita.com