Sr. Mariangela Tassielli – Commento al Vangelo di domenica 29 Ottobre 2023 per bambini/ragazzi

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C’è qualcosa attorno cui ruota la nostra fede? C’è una sorta di perno? Di àncora? Di punto di non ritorno?

Interrogato dai farisei, che però volevano metterlo alla prova, Gesù risponde senza troppi mezzi termini: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente». E come se non bastasse, tanto per essere ancora più radicali: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». E se poi ci fosse rimasto ancora qualche dubbio in merito, come dimenticare quello che Gesù stesso ha definito il più grande dei comandamenti: «Amatevi come io vi ho amato», stabilendo così la misura stessa dell’amore, l’infinito.

Il Vangelo di questa trentesima domenica del Tempo Ordinario arriva dritto al punto e la prima lettura, dal libro dell’Esodo, ne puntualizza oltre misura i confini, semmai confini possa avere l’amore.

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Amare Dio è stare dalla parte del debole, perché è avere il suo stesso cuore, muoversi al suo stesso ritmo, diffondere la sua stessa vita, diventare il suo stesso orecchio che ascolta, essere le sue stesse mani che curano. Amare Dio non è certamente infiocchettarlo nei riti e nella puntualità con cui si adempiono i precetti. È ben di più. È essere sua immagine e somiglianza nel mondo, anche e soprattutto in un mondo sferzato o, peggio, governato a suon di ingiustizie, anche planetarie.

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La voce di Dio che lo scrittore sacro fa udire attraverso il libro dell’Esodo è inequivocabile: quel comandamento dell’amore si fa storia, concretezza, scelte nel: «non molesterai il forestiero né lo opprimerai; non maltratterai la vedova e l’orfano, non ti comporterai da usuraio con l’indigente a cui presti qualcosa, non prenderai il pegno a colui che ha solo quello per vivere».

Colui che segue Dio, ama Dio. E amare Dio significa darsi a una carità vivace e creativa, che pur nella fatica del comprendere e del discernere, del decidere e dell’attuare sa generare e percorrere vie di incontro, vie di vita. Ripeto: amare Dio significa darsi a una carità vivace e creativa. Diversamente quelle che facciamo sono storielle. Nulla di diverso rispetto a chi andava da Gesù per metterlo alla prova: buoni a mettere alla prova Dio, ma non noi stessi.

Ma darsi a una carità creativa e vivace significa prendere a due mani il coraggio e reinventarsi. Anzi no. Non a due mani, ma almeno a quattro mani. Perché? Perché non ci si può reinventare da soli. Non si può pensare di darsi a una carità vivace e creativa da soli; rischiamo di restare intrappolati nei nostri circoli viziosi fatti di domande, intenzioni, giustificazioni, autocompiacimento o sensi di colpa.

La determinazione della speranza e l’operosità della fede – di cui l’apostolo Paolo parlava in una lettura fatta qualche domenica fa, associandole alla fatica della carità – sono vive in noi nella misura in cui non le trasformiamo in giustificazione delle nostre non scelte a favore del Regno e quindi di quella missione che il Signore ci affida ovunque viviamo e lavoriamo, ma nella misura in cui generano amore, cioè generano comunità che vivono e diffondo amore: cura, attenzione, delicatezza, premura, ascolto, condivisione… e tutto quel bene che con la nostra mente neppure possiamo immaginare, ma di cui saremmo capaci solo per il fatto di essere fatti a immagine e somiglianza di Dio.

«Amerai!». È l’indicazione concisa e diretta che va giusto al punto.
«Amerai!». È ciò che potrebbe davvero cambiare il volto delle nostre società.
«Amerai!»…
Quando smetteremo di credere che sia solo utopia?

Per gentile concessione di Sr. Mariangela, dal suo sito cantalavita.com

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