L’evangelista Marco come sempre non si smentisce: breve, lapidario e decisamente poco diplomatico. Quei pochi versetti del primo capitolo sembrano più gentili verso lo spirito impuro che verso coloro che circondano Gesù di Nazaret. In realtà a tutti sembra chiaro che quell’uomo ha una certa autorità. Quello che dice, forse come lo dice, sembra diverso. Quello che fa però inquieta. Quell’uomo a Cafarnao insegna qualcosa di nuovo, in modo nuovo, e lo fa con autorità. Marco lo ripete per ben due volte in pochi versetti.
Lo confesso: mi sarebbe piaciuto essere lì in quella sinagoga ad ascoltare. Mi sarebbe piaciuto guardare in volto quel maestro e chi lo circondava. Mi sarebbe piaciuto essere raggiunta dalle sue parole e dal suo sguardo. Sembra proprio che questo maestro scuota, anche se ciò che succede qui in sinagoga è solo l’inizio; tutto sembra puntare su altro: sulla novità di una parola, su un inatteso maestro, su opere straordinarie che interrogano ma di cui nessuno sa darsi ragione. È davvero solo l’inizio. Poi seguiranno, nello stesso giorno, miracoli, guarigioni… e la gente inizierà a seguirlo. In verità forse più per le opere straordinarie che per l’autorità delle sue parole.
Dio aveva promesso un unto, un Cristo salvatore… E in qualche modo la prima lettura ci fa ascoltare proprio la promessa strappata da Mosè a Dio: lui avrebbe mandato un profeta per il suo popolo, lui si sarebbe fatto presente non più con opere straordinarie e potenti, ma nella forza penetrante della parola affidata al profeta. Non più faccia a faccia a rischio vita, non più con temibili colonne di fuoco. Ma con la parola divina affidata a parole umane.
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Dio lo promette, realizza per secoli questa promessa, ma poi va oltre: e sceglie di farsi presenza prossima proprio nella carne, assumendo la carne. Dio ritorna a farsi incontro, faccia a faccia, e questa volta non solo con pochissimi amici eletti. Dio solleva l’umanità allo status di amici, e come ad amici parla faccia a faccia, realizza l’incontro, genera prossimità. E lo fa nel figlio, in quel Gesù di Nazaret che a quanto pare solo gli spiriti impuri riescono a riconoscere fino in fondo.
Dove sta la novità di Dio che Gesù rende visibile e manifesta?
Gesù chiama incontrando. Parla guardando. Guarisce toccando. Dall’incarnazione in poi non più i lontani e inafferrabili cieli sono la casa di Dio, ma la storia, il tempo, lo spazio, il limite lo rivelano.
Quel sabato, proprio un sabato, circondato da nuovi amici-discepoli, Gesù di Nazaret squarcia nuovamente i cieli e realizza la promessa di Dio: colui che manderò parlerà in mio nome, aveva detto Dio a Mosè. Ma si sa, la parola divina, quella di Dio, non è fatta d’aria, ma di potenza: realizza ciò che dice. Quello che Dio ha promesso nei secoli si è fatto realtà e pienezza in Gesù come mai ci saremmo immaginati: allo straordinario braccio potente Dio ha preferito l’ordinaria presenza fisica di chi entra in una casa, di chi chiama, di chi tocca, di chi ama.
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A noi, se vogliamo riconoscerlo, spetta un lavorìo costante su noi stessi, per non correre il rischio che spiriti impuri e malvagi lo riconoscano prima e meglio.
In Gesù, siamo onesti, Dio non ha reso le cose più semplici. Perché noi essere umani abbiamo bisogno più di un Dio che salva, che di un Dio che ama. La salvezza è una conquista raggiungibile con opportuno sforzo. L’amore invece è un dono fatto di scoperta, ricerca, abbandono, libertà, totalità. Dio, in Gesù, ha scelto la seconda delle vie, l’amore, perché non ci ha voluto servi, ma amici, addirittura figli, e figli liberi. Ma, con Gesù, Lui ha reso per noi le cose molto più sfidanti e interessanti.
Non dobbiamo scegliere. Noi possiamo scegliere.
Non dobbiamo seguirlo. Noi possiamo seguirlo.
Non dobbiamo averne paura. Noi possiamo semplicemente amarlo.
Per gentile concessione di Sr. Mariangela, dal suo sito cantalavita.com