I nostri occhi vedono la presenza del Signore
Che cosa contempliamo nel Natale? Che cosa celebriamo in questo giorno santo?
Nella prima lettura il profeta Isaia apre uno scorcio felice: sentinelle che alzano la voce per esultare, messaggeri di pace che annunciano salvezza, antiche rovine ricostruite, canti di gioia e confini estremi raggiunti da Dio. Nella seconda lettura l’autore della Lettera agli Ebrei non ci gira attorno: «Dio in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del figlio».
Ma chi è davvero «il figlio» e che cosa possiamo vedere quando guardiamo a lui? Quando lo ascoltiamo? Quando riusciamo a vedere i suoi gesti?
L’evangelista Giovanni diversamente da Luca o da Matteo non ci racconta gli eventi della nascita e dell’infanzia di Gesù. Qui non c’è Maria e Giuseppe, non c’è Elisabetta e Zaccaria. In Giovanni non ci sono i magi e neppure i pastori. È come se in questo giorno davvero santo, l’evangelista ci spingesse un po’ più in là. È come se si avvicinasse a noi, fermi davanti al presepe, e ci dicesse: «Avanti, non è questo il Natale… non finisce qui. Basta con quegli occhi languidi e con quello spirito tenero la cui scadenza è il 26 dicembre. Vai oltre, vai dentro! Spingiti all’origine di ogni cosa. Cerca di capire il perché di quella grotta, di quella mangiatoia, di quell’evento, di quella nascita!».
Ogni pagina del Vangelo di Giovanni instancabilmente sembra ripeterci la stessa cosa: «Dio è luce. La luce vera. La luce contro cui le tenebre non smetteranno di combattere. La luce che non si stancherà di illuminare. La luce capace di trasformarci in luce». Dio è la luce che sceglie di entrare nelle tenebre, di penetrare gli abissi, di abitare la notte. Non c’è oscurità che lo possa allontanare. Dio è luce che penetra la storia, facendosi storia. Ma a noi tutto questo non basta ancora. Noi abbiamo bisogno di concretezza. Ci serve qualcuno che ci dica: «Amica, amico, guarda che qui non c’è poesia. È tutto vero! E di fronte hai un Dio in carne e ossa».
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Già… di fronte a noi c’è un Dio in carne ossa. Perché per quanta poesia possa esserci nel prologo di Giovanni, quel primo capitolo non è altro se non una delle più belle e straordinarie premesse: Vangelo è l’essersi fatto carne di Dio. La più bella notizia è poter seguire il Dio che ci ha talmente amato da lasciare i cieli per sposare la terra, per farsi noi, per essere come noi a tal punto da aprirci alla possibilità di diventare come lui, diventare Dio. Lui non viene per chiedere, per prendere, per assicurarsi che tutto vada come voluto e sperato. Lui viene per aprirci definitivamente all’incontro con la luce, con l’amore.
Si carica in modo totale della nostra povera e fragile umanità perché ognuno di noi, nessuno escluso, possa sentirsi attraversato dalla grazia, da quel dono gratuito e immeritato di pienezza.
Quel Bambino che oggi contempliamo è la luce che fin dalla notte dei tempi abita gli universi e attraversa il tempo. Quel Bambino è l’Onnipotente Parola che ha creato il mondo. Quel Bambino è il Dio crocifisso che non tratterrà la sua vita pur di darci vita in abbondanza.
Leggi la preghiera per questa domenica.
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FONTE – Sr. Mariangela, sul sito cantalavita.com
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