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Sr. Mariangela Tassielli – Commento al Vangelo di domenica 15 Settembre 2024 per bambini/ragazzi

Domenica 15 Settembre 2024
Commento al brano del Vangelo di: Mc 8, 27-33

Quanto è lontano il mio Dio dal Dio di Gesù? Non vi sembri strana questa domanda. Me la faccio personalmente e oggi la rivolgo anche a voi. Quante volte quando pronuncio «Tu sei il Cristo», in quelle parole risuonano le logiche del Dio in cui crediamo e che Gesù ci ha rivelato?
Pietro, che per primo le pronuncia, è anche il primo a non comprenderle, e forse è anche normale che sia così.

Ci sono volte nella vita in cui abbiamo bisogno di dire: «Tu sei il Cristo, tu sei colui di cui ho bisogno per esistere, tu sei colui che dà senso a ciò che vivo, tu sei colui che appaga la mia attesa e rende possibile la mia speranza».

Lo diciamo, ma poi magari nulla cambia, e tutto va avanti come se quel Cristo in fin dei conti non esistesse se non a misura della mia volontà e dei miei desideri o bisogni.
Ci sono dei momenti nella vita in cui abbiamo bisogno di sapere che Dio c’è, perché la sua sarebbe un’assenza radicale, un vuoto prosciugante. Ma tutto resta legato al solo e mero bisogno.

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La fede però è altro.
credere per bisogno non serveNon serve proprio a nessuno: né a Dio, né agli altri, né ai nostri bisogni, che resterebbero comunque inappagati e rischierebbero di consumarci. Non siamo credenti solo perché riconosciamo una presenza che ci ha raggiunto.
Il cuore credente è proprio di colui che dopo aver riconosciuto si affida, non padroneggia, anzi per dirla tutta a volte non riesce neppure a sentire o a riconoscere, ma sa affidarsi. È un cuore credente chi pur non vedendo e non comprendendo segue, si lascia orientare, resta nel buio, attraversa il vuoto, vive l’attesa di Colui che ogni giorno, in modo nuovo, si rivela e opera.

Io lo so che queste parole sono strane, forse confuse, apparentemente lontane dalla concretezza della vita, ma sono ciò che viviamo, ciò che ha vissuto Pietro, ciò che denuncia Giacomo, ciò che annuncia Isaia.

Gesù è chiaro nei confronti di Pietro e di ogni discepolo: può credere in Dio solo colui che accetta di seguire, di stare dietro, di non anticipare Dio e il compiersi del suo regno.
Può vedere il compiersi della salvezza solo colui che si lascia lavorare da Dio, che si lascia affinare nello sguardo, nella coscienza, nella consapevolezza. Può riconoscere Dio all’opera nella novità, nell’inedito, nello scandaloso, nell’assurdo, solo colui che ogni giorno si lascia riempire dai suoi gesti e dalle sue parole.

Il servo di Jahvè di cui Isaia descrive l’identikit è proprio l’immagine di colui che si affida. La sua certezza è lapidaria e invidiabile: nonostante tutto il caos della sua vita, nonostante il dolore, l’emarginazione, l’incomprensione, la sofferenza sa che il Signore è dalla sua parte, gli rende giustizia, lo assiste, lo sostiene. È la fiducia certa in lui a renderlo non solo capace di reggere il colpo ma di prepararsi a incassarne di peggiori. La sua certezza non è altro: «lui mi assiste».
Ma da dove gli viene tale convinzione? Cosa permette alla fede di crescere a tal punto?
In Isaia c’è una chiara indicazione. Nel versetto che precede il brano di questa domenica leggiamo: «Il Signore Dio ogni mattino fa attento il mio orecchio perché io ascolti» (Is 50,5a).

Nutrirsi di lui, della sua parola e dei suoi gesti: è questo ciò che rende la nostra fede cristiana, ciò che rende colui in cui crediamo riconoscibile nelle scelte, nell’esercizio quotidiano della coscienza, nelle relazioni, nelle parole, nei silenzi, nel mettere tutto in gioco per il bene comune.

Dire «Tu sei il Cristo» non basta.
Forse dovremmo arrivare, o almeno aspirare, a quel momento in cui chi ci vive accanto ci dirà: «Tu sei il Cristo, sei la mia possibilità di vedere Dio all’opera, di incontrarlo. In te sperimento la pienezza dell’amore e della libertà».

Per gentile concessione di Sr. Mariangela, dal suo sito cantalavita.com

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