Quanto è consolante la prima lettura! «Il Signore preparerà per tutti i popoli un banchetto di cibi succulenti e vini raffinati. Il Signore strapperà la coltre distesa sulle nazioni. Il Signore eliminerà la morte, asciugherà le lacrime su ogni volto. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato!». Quanto è straordinario questo annuncio di pace. E lo è ancor più oggi.
Mentre grandi porzioni di umanità sono ferite da conflitti sempre più violenti e cruenti, lo scrittore sacro ci svela il volto del Dio dei popoli, del Padre generatore delle nazioni, di Colui che nella sua casa non fa distinzioni, non impone confini, non chiede oboli, non preferisce lingue, o tradizioni, o culture…
Il Dio in cui abbiamo sperato, il Dio in cui continuiamo a sperare, il Dio che in Gesù abbiamo potuto conoscere faccia a faccia apre il suo Regno ai popoli, alle genti, a chiunque voglia accogliere il dono e la sua potenza. Lo dice Isaia, profeta impastato di universalità, lo ripete Paolo, apostolo di Gesù Cristo per le genti: «Il mio Dio colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza, in Cristo Gesù». In Paolo riecheggia la forza dell’annuncio di Gesù, riecheggia la forza dirompente di un Regno che non ha e non vuole avere confini, riecheggia la magnificenza di un dono la cui potenza non è potere ma generatività. Perché il regno dei cieli investe la vita di chi a lui si apre, penetra la storia del mondo e dischiude alla vita che, potente e fragile, germoglia anche nella morte.
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È questa la speranza che il Regno custodisce, ed è la speranza che tutti noi, credenti, siamo chiamati a comprendere, a far nostra; speranza di cui divenire strumento.
Dovremmo essere come quei servi della parabola, sempre in movimento, perché briciole, scintille, fasci di quella speranza arrivino sempre più oltre, sempre più lontano: dove la vita non riesce ad attecchire, dove il mio è sempre più importante del nostro, dove il dono non trova mai casa, dove quello che tu sei e che pensi non conta. Dovremmo essere servi di quel regno e di quella speranza costi quel che costi.
Il banchetto è pronto. Ed è ricco. Ed è per noi. Ma non per noi appartenenti a una determinata categoria, a una determinata religione, a una determinata Chiesa. Il banchetto di Dio, la sua salvezza, il suo dono è pronto per noi, per noi tutte e tutti. Davvero nessuno escluso. E Dio stesso si è fatto cibo che nutre la speranza, pane che dà forza al cuore, acqua che disseta ogni devastante arsura.
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E noi siamo ogni giorno, al contempo, servi mandati e amici invitati: siamo chiamati a partecipare intimamente alla vita di Dio, al suo dono. E se accogliamo l’invito e viviamo quell’intimità non possiamo stare fermi, non possiamo ignorare quell’amore che vuole irradiarsi, lasciarsi prendere, raggiungere.
Ma se tutto questo è il dono, ed è immenso, ed è gratuito; perché un vestito non indossato è così potente da sbarrare le porte del Regno?
L’abito nuziale è il tuo sì. È il mio sì consapevole; è il mio scegliere di non navigare a vista lasciando che le cose accadano; è il mio fidarmi. È decidere di investire quello che ho su una voce, un progetto, un orizzonte, una chiamata.
Indossare l’abito nuziale è mettermi in gioco, investendo qualcosa di me stessa. Non indossarlo è mangiare a scrocco alla mensa di Dio, come se il suo dono fosse un atto dovuto, una sorta di pacco da cui tirar fuori casualmente qualcosa.
Il regno di Dio è un banchetto pronto e a mia disposizione. Io posso prendere, ma accogliendo e condividendo; non strappando né sprecando.
Per gentile concessione di Sr. Mariangela, dal suo sito cantalavita.com