In un momento così particolare per la vita del mondo, credo che le letture che la VI domenica del Tempo Ordinario ci propone siano l’ennesima possibilità per un confronto autentico e profondo con la nostra vita e le nostre scelte, con quello a cui aspiriamo e i nostri atteggiamenti reali. Ascoltiamo la Prima lettura e viene fuori un mondo, alcune regole e determinati comportamenti. Ed è ciò che crediamo essere parola di Dio. E lo è realmente. Poi però ascoltiamo il Vangelo e ci sembra di vedere atteggiamenti opposti. Se ciò che è scritto nel Levitico è Legge di Dio, allora nel Vangelo dobbiamo fare i conti con un po’ di problemi, forse anche gravi.
Gesù è un maestro itinerante. Lo abbiamo visto a Cafarnao in sinagoga, in alcune case, tra la gente, da solo… e poi lo abbiamo visto anche allontanarsi dalla gente, da chi lo cercava, da chi aveva bisogno della sua potenza. Unico suo obiettivo: predicare il Regno e liberare dal male. E proprio nel suo andare incontra un lebbroso che gli si avvicina. E già qui, stando a Mosè un lebbroso non si sarebbe dovuto avvicinare. Anzi!
Il testo biblico ci dice che il lebbroso parlò a Gesù cadendo sulle sue ginocchia. La Legge di Dio proibisce chiaramente questo atteggiamento. Il lebbroso non avrebbe dovuto avvicinarsi, e Gesù avrebbe dovuto tenere le distanze. Ma ci sembra di vederlo quell’uomo… la malattia, la solitudine, l’essere escluso da una comunità lo hanno stremato, hanno reso le sue ginocchia deboli: è un uomo spezzato dalla vita e, diciamolo pure, dalla Legge. Non ha più nulla da perdere.
- Pubblicità -
E forse è un po’ così anche la vita: quando ti accorgi di non avere più nulla da perdere lotti con tutte le tue forze perché quell’ultima scintilla di speranza non si spenga.
Per questo quell’uomo malato di lebbra riesce persino a disobbedire: sa che la legge non lo salverà comunque, sa che la sua comunità non lo accoglierà, sa che nulla se non Dio potrà liberarlo e riconsegnarlo alla vita. E quel maestro sembra un profeta, uno mandato da Dio. Quell’uomo malato di lebbra sa riconoscere in Gesù qualcosa di straordinario e gli dice: «Se vuoi…». Lui può, Gesù può, e quell’uomo malato sembra non avere dubbi.
E infatti quel maestro agisce da Dio: fa vincere la compassione, non si appella alla Legge, non contrappone giustizia e bontà, non pensa alle conseguenze di un tocco impuro. Quell’uomo malato di lebbra è un impuro, la Legge è chiara; è un impuro che toccando può rendere impuri. E Gesù, maestro itinerante, di certo non lo ignora. Ma ne ebbe compassione, ed è quello a guidare le sue scelte. Gesù lo tocca, con la relazione riattiva un passaggio di vita, e la morte fa un passo indietro: la lebbra scompare.
- Pubblicità -
È legittimo a questo punto chiedersi: Levitico o Vangelo? Tagliamo fuori la gente in nome dell’intoccabile Legge di Dio o riattiviamo canali di vita in nome della compassione, pur correndo il rischio di infangarci?
Ma qui non esiste contrapposizione, solo rivelazione: Gesù di Nazaret, come mai nessuno prima, svela, rivela, rende visibile Dio.
Il Vangelo che oggi la liturgia ci propone è a tratti buffo. Ma perché dopo aver purificato quell’uomo malato di lebbra Gesù si sdegna con lui e gli proibisce di parlare? Oggi le parole di quell’uomo sarebbero state una testimonianza strappa like, il suo racconto se fosse diventato un libro sarebbe stato un bestseller e se fosse stato un video sarebbe divenuto virale.
Ma forse al Vangelo non serve questo. Non servono seguaci cercasegni. Ciò che fa la differenza è la capacità di sentire la vita di Dio scorrerci dentro (in qualunque situazione), di ringraziare e di sentirci parte di una comunità di cercatori. Per questo Gesù chiede a quell’uomo non più malato di lebbra di andare dal sacerdote: perché solo lui avrebbe potuto riaprirlo alla comunità; e dalla comunità scorre la vita.
Per gentile concessione di Sr. Mariangela, dal suo sito cantalavita.com