È possibile che alcuni tra noi siano chiamati a essere Giovanni Battista, voci di salvezza nei deserti di morte, vie verso la vita, spie luminose di un bene che si compie. Ma è anche possibile che ad altri tra noi sia mandato Giovanni, un precursore di salvezza, una scintilla che ci faccia sperare nella luce, una goccia che ci consenta di ricominciare a credere che la sorgente esiste.
Ognuna, ognuno di noi può essere da una parte o dall’altra, può essere il Giovanni che grida, ma può essere anche chi di Giovanni ha bisogno. Nell’uno o nell’altro caso c’è però una verità che oggi si offre a noi, e la seconda domenica di Avvento instancabilmente ce la mette davanti: il Signore Dio, il nostro Creatore e redentore, ci dona salvezza. L’ha preparata per noi fin dalla fondazione del mondo e la compie in modo definitivo in Gesù suo Figlio. È in lui che ci dona il suo Spirito, in lui ci rende partecipi della sua vita.
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Ma diciamocelo con grande onestà: non è facile crederlo, abbiamo bisogno di essere convinti. Questa cosa è talmente grande da sembrare più una straordinaria immagine biblica che non una verità a cui credere e aderire.
È difficile credere che il primo e più grande obiettivo di Dio sia la nostra salvezza. Difficile credere che muova la storia in funzione di questo. Difficile, se non impossibile, credere che il senso stesso dell’avventura umana di Gesù sia stato questo.
È difficile per noi crederlo, esattamente come lo era per Israele quando Isaia, il profeta dell’universalità, in uno dei momenti più difficili della storia dell’antico popolo, predicava una salvezza per tutti i popoli (anche per quei popoli che avevano deportato Israele, che lo avevano tenuto in esilio); una salvezza che avrebbe paradossalmente consolato il popolo ferito; una salvezza che sarebbe dovuta sgorgare proprio da ciò che era stato guarito, da quella storia che aveva sperimentato la liberazione dopo la prigionia.
Dio continua a parlare al cuore di Gerusalemme e chiede ai Giovanni di tutti i tempi di farsi precursori di un Salvatore che continua ad avere a cuore la salvezza di tutti i popoli.
Il Creatore continua a consolare i suoi figli e chiede ai Giovanni di tutti i tempi di gridare nei deserti di ogni storia, lì dove i cuori sono troppo duri per volere ascoltare, dove la vita è brulla come la terra arida per desiderare novità, dove tutto, tutti, tutte hanno smesso di credere, di sperare, di desiderare, di costruire.
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Il Redentore però non molla, non si arrende alla nostra resa, non demorde e continua a credere in noi, nella possibilità che il nostro cuore ricominci a battere se sfiorato dal bene, che i nostri occhi riconoscano ancora ciò che è giusto, che la nostra coscienza si svegli se interpellata dalla bontà, che le nostre mani si muovano se accarezzate dalla gratuità, che i nostri piedi si schiodino se sospinti dalla tenerezza. E se ci sembra che i suoi tempi siano “biblici”, se nei momenti più duri e faticosi non possiamo fare a meno di pensare che lui «sia lento nel compiere le sue promesse» (cfr. 2Pt 3,8-10) allora ricordiamo quanto l’apostolo Pietro scrive (nella seconda lettura): «Il Signore non ritarda… è invece magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda».
Dio, in poche parole, ci dà tempo e possibilità per incontrarlo; tempo e possibilità per riuscire ad ascoltare chi in nome suo continua a urlare del deserto, nel cuore, nel tempo, nelle più svariate occasioni: «Ecco il Signore viene!». Per te, per me. Per noi.
Per gentile concessione di Sr. Mariangela, dal suo sito cantalavita.com