Sorelle Povere di Santa Chiara – Commento al Vangelo di domenica 6 Febbraio 2022

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Chiamati

Dopo la solenne presentazione di Gesù nella sinagoga di Nazareth e il suo rifiuto (domenica scorsa), inizia il viaggio della Parola nell’opera lucana. Una Parola che, entrando nella vita dell’uomo, non lo lascia come lo ha trovato… Notiamo prima di tutto la strana collocazione della “vocazione” di Pietro e dei suoi compagni: l’evangelista Luca la situa proprio in questo punto del suo vangelo, anche se, da un punto di vista puramente cronologico, l’incontro di Gesù con i suoi primi discepoli doveva essere giù avvenuto (infatti in Lc 4,38-39 Gesù era entrato nella casa di Simone e ne aveva guarito la suocera… quindi si suppone che Gesù conoscesse già Pietro!).

Possiamo allora supporre che questo racconto non si riferisca semplicemente alla prima chiamata di Simone, Giacomo e Giovanni, ma a quella chiamata che avviene continuamente nella vita quotidiana di un discepolo, quando la Parola lo incontra in situazioni di fallimento o di crisi. Non dimentichiamo che un episodio piuttosto simile viene collocato dall’evangelista Giovanni al termine del suo vangelo (cfr. Gv 21), quando Pietro e alcuni altri discepoli tornano a pescare sul mare di Tiberiade dopo la crisi provocata dalla pasqua di Gesù; qui, in seguito ad un’altra notte di pesca infruttuosa, Gesù si rivela loro e chiama Pietro nuovamente a seguirlo: “Tu seguimi!” (Gv 21,22).

Quindi, tornando al vangelo di oggi, Luca potrebbe riferirsi allo stile con cui Gesù chiama e ri-chiama i suoi discepoli, in quella “chiamata permanente” ad andare sempre più in profondità nella relazione con il Signore (per viverla in rapporto ai fratelli!). La chiamata di Dio infatti non avviene una volta soltanto nella vita.

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Si rinnova ogni volta in cui la Parola di Dio ci raggiunge e noi accettiamo di fidarci di Lui. Gesù trova Simone e i suoi compagni mentre si stanno confrontando con la fatica e la delusione di “non aver preso nulla” dopo una nottata di duro lavoro sul lago di Galilea. Certo, nel loro mestiere di pescatori, chissà quante volte sarà accaduto a Simone e agli altri di ritrovarsi a reti vuote! Lo stesso accade a noi quando sperimentiamo che il nostro impegno non ci fa trovare ciò che ci fa vivere: cerchiamo, ma non troviamo…

Ed eppure questi uomini non sono inerti di fronte al loro insuccesso: accanto alle loro barche accostate a riva, “i pescatori erano scesi e lavavano le reti”. Non hanno abbandonato il luogo della loro fatica (il lago), né gli strumenti della loro ricerca (le reti), ma stanno preparandoli per tornare a pescare; e così stanno predisponendo se stessi per ricominciare. Sanno che pescare chiede la fatica di una fedeltà quotidiana che sempre si rimette in gioco là dove ha sperimentato il fallimento. Qui li trova Gesù.

Potremmo dire che questa è la “situazione ottimale” perché avvenga l’incontro con Lui! Nella quotidiana ricerca di ciò che ci fa vivere, sul crinale delle nostre attese (spesso deluse), nell’apertura invincibile del nostro cuore al futuro, proprio lì arriva il Signore. In questo brano potremmo riconoscere tre “chiamate” che Gesù rivolge a Pietro, o meglio una chiamata a tre livelli, sempre più profondi.

Inizialmente Gesù, circondato da folle affamate di ascoltare la sua parola, sale sulla barca di Simone e “lo prega di scostarsi un poco da terra” per “insegnare dalla barca”. La barca di Simone, che non era servita a raccogliere pesce, appare a Gesù come il luogo ideale dal quale annunciare la Parola. Il Signore Gesù chiama Pietro a spostare lo sguardo dalle sue reti e dalla sua barca vuota, alle folle bisognose di una Parola che le faccia vivere. E Pietro non oppone alcuna resistenza alla richiesta di Gesù. Così la sua disponibilità all’invito del Maestro trasforma la barca del suo insuccesso nel luogo dal quale la Parola può “trarre” le folle alla vita.

Non conosciamo il contenuto dell’insegnamento di Gesù alla folla, ma l’evangelista annota che si tratta di una Parola di Dio (“la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio”): la parola di Gesù è Parola di Dio, in Lui Dio rivolge una parola all’uomo, una Parola che fa vivere. Gesù qui è il primo “pescatore di uomini”.

Tuttavia Simone ancora non sa che Gesù sta per chiamarlo a fare ciò che Lui sta facendo, a mettere la sua vita a disposizione di Gesù perché Lui continui attraverso Pietro a “trarre uomini alla vita”. Ed eppure la prima disponibilità di Simone alla parola del Maestro lo apre fin d’ora a quel cammino di affidamento di cui è intessuta la vita del discepolo.

Ora, avendo acconsentito alla prima chiamata di Gesù, avendo ascoltato e obbedito alla parola di Lui, Pietro si trova di fronte alla Parola che Gesù sta rivolgendo alle folle. Anche lui uditore di una Parola che fa vivere. E Pietro si sarà lasciato toccare da questa Parola, se subito dopo avrà il coraggio di affidarsi ad essa, al di là di ogni logica evidenza: “sulla tua parola, getterò le reti”. Ora “quando ebbe finito di parlare”, Gesù rivolge “la parola di Dio” a Simone. Possiamo pensare che quella Parola rivolta a tutti, assuma un accento tutto particolare per Simone e i suoi compagni, sia ora declinata in modo personale per loro: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”.

La Parola di Dio raggiunge tutti, ma sta a ciascuno di noi cogliere la chiamata personale che contiene. E si tratta di una chiamata personale (“Prendi il largo”) e al tempo stesso comunitaria (“e gettate le vostre reti per la pesca”). Quando Dio chiama qualcuno, è per legare la sua vita a quella di altri. Anche qui Pietro offre la sua disponibilità, non permette alle sue obiezioni di prevalere sulla Parola di Gesù. Pietro infatti, pur presentando a Gesù la realtà del loro fallimento (“Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”), si affida alla Parola di Gesù più che alla logica della sua esperienza e dell’evidenza (non si pesca di giorno…).

Sì, c’è nell’uomo, in ciascuno di noi, la fede di Pietro capace di lasciarsi condurre oltre l’evidenza e l’esperienza delle cose della vita. Una fede che osa scommettere su ciò che ancora non c’è, pronta a giocarsi secondo quello che Gesù vede possibile, mentre rimane ancora invisibile ai nostri occhi. C’è in noi una fede che vede l’invisibile (cfr. Rm 4,17 e Eb 11,27)!

Ed ecco che questa fede mette in movimento non solo Pietro, ma tutti i compagni della sua barca (“Fecero così e presero una quantità enorme di pesci”) fino a coinvolgere anche gli altri della barca vicina (“fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli). Le reti piene di cui Pietro e gli altri fanno esperienza sono la conseguenza diretta dell’aver obbedito alla parola di Gesù. C’è sempre un dono di Dio pronto a riempire la barca della nostra vita, ma che rimane sconosciuto finché non ci affidiamo a Lui.

La parola di Gesù invitava Pietro a “prendere il largo” (secondo la traduzione della CEI), ma letteralmente ad “andare nel profondo”, a cercare la vita non sulla superficie delle cose, ma nella profondità degli eventi, delle relazioni, delle situazioni che la vita pone. “Mare profondo è la relazione con Te”, scriveva in modo lapidario il beato Christophe Lebreton, monaco trappista martire in Algeria. Sì, le profondità del mare nelle quali Pietro getta le reti sono la “profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio” (Rm 11,33) dalle quali Pietro trae Vita abbondante, la Vita di Dio.

Ed ecco che qui la chiamata di Pietro si fa ancora più profonda. L’aver attinto dalle “profondità” del mare tanta abbondanza, mette in luce la smisurata piccolezza di Pietro, la sua fragilità, il suo peccato. C’è una sproporzione che getta l’uomo a terra, nel riconoscimento di essere “poco più di un nulla” (cfr. Sal 8) e che chiede di mettere ancora più distanza fra Dio/Santo e l’uomo/peccatore: “Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore”. Ma Dio non ci misura mai a partire dalla distanza in cui ci pone il nostro peccato, la nostra sproporzione.

Là dove l’uomo dice: “allontanati da me” (come Pietro nel Vangelo), Dio dice: “segui me” (come fa Gesù nel racconto della vocazione di Pietro in Mc 1,17). Là dove l’uomo dice: “sono un peccatore” (come Pietro, Isaia e Paolo), Dio dice: “sarai pescatore di uomini…” sarai “altro”, cioè pone l’inizio di una identità che non si misura sul limite e sul peccato, ma sulla promessa di Dio.

Dio così chiama Pietro ad assumere uno sguardo nuovo sul suo peccato. Non è l’ostacolo per la relazione con Dio, ma il “punto di partenza” da cui sempre possiamo ripartire per una relazione nuova con Lui, una relazione dove la consapevolezza della nostra fragilità non ci allontana, ma ci fa riconoscere il nostro bisogno di affidarci sempre più a Lui in un cammino di sequela. E Pietro ne farà concretamente esperienza in molti momenti di svolta della sua vita (di fronte agli annunci della passione, prima della Pasqua, durante il processo di Gesù…)!

Questa chiamata a non temere l’abisso del suo peccato inoltre si apre per Pietro a un orizzonte ancora più vasto: i fratelli. Gesù lo invia ai fratelli proprio a partire dal riconoscimento della propria debolezza perché risplenda in lui quella parola di Paolo: “mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze perché dimori in me la potenza di Cristo” (cfr. 2Cor 12,9-10). Gesù ha “pescato” Pietro dall’abisso della sua debolezza. Ora Pietro è pronto ad andare ai fratelli per lasciare che Cristo, in lui, li tragga alla medesima Vita.

Commento a cura delle Clarisse di S. Gata Feltria