Vita… moltiplicata!
Il Signore Gesù in questa domenica associa i suoi discepoli al dono di sé che sta per vivere nella Sua pasqua. La liturgia, nella festa del Corpo e Sangue di Gesù, ci mostra come la logica del Suo donarsi si prolunghi nel Suo Corpo ecclesiale, che oggi siamo noi.
Il vangelo ci presenta Gesù insieme ai suoi discepoli alle prese con l’“insaziabile” bisogno di vita delle folle. A loro Gesù aveva mandato i Dodici “per annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi” (cf. Lc 9,2); ma ecco che oggi le troviamo sulle tracce di Gesù, là dove Lui si sta prendendo cura della fatica degli apostoli (“li prese con sé e si ritirò in disparte”, Lc 9,10).
Allora Gesù “accoglie” le folle e continua a fare ciò che poco prima avevano fatto i suoi discepoli: “prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure”. Il bisogno di queste folle anonime è subito raccolto da Gesù. Per Lui non sembra esserci alcuna contraddizione fra il riposarsi “in disparte” e l’occuparsi di chi ha bisogno di Lui. Quante volte pensiamo che per riprendere a donarci occorrono tempi e spazi dove non deve entrare l’altro con le sue esigenze!
Il tempo del riposo non è mai per Gesù sospensione di relazione con l’altro e il suo bisogno di vita!
Gesù si lascia interpellare da questi uomini e donne “in ricerca” e spende energie e tempo per loro. E’ tanto impegnato con loro, da non accorgersi né dell’ora tarda, né del luogo inospitale nel quale si trovano (“Il giorno cominciava a declinare… siamo in una zona deserta”).
Il tempo e lo spazio diventano marginali quando l’altro è al centro della nostra attenzione.
Così non è per i discepoli. Infatti loro sono evidentemente preoccupati sia che si stia facendo troppo tardi per allontanarsi di lì al buio, sia del luogo deserto che non offre possibilità di “cibo” e “alloggio” (solo Luca annota questa preoccupazione dei discepoli rispetto agli altri sinottici). Tempo e spazio sono elementi “contrari”a che la folla continui a rimanere con Gesù.
I discepoli si affrettano a prendere le distanze dalla relazione di attenzione che Gesù ha instaurato con la folla. Con la loro proposta di lasciar partire quelle persone, che sembra dettata da preoccupazione per loro, i Dodici in realtà lestanno rimandando ad un altro luogo e alla responsabilità di altri: “…perché vadano nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo”. Ci penseranno altri a costoro, noi non possiamo occuparcene! Le parole dei discepoli proclamano chiaramente non tanto il loro disinteresse per le folle, quanto la loro mancata adesione all’accoglienza che Gesù sta riservando loro. In questosembra che i Dodici abbiano “smesso di seguire” il loro maestro.
Ed eppure proprio quel tempo (“il giorno cominciava a declinare”) e quel luogo (“in una zona deserta”) sono l’ora opportuna perché il Signore Gesù doni“cibo” e “alloggio” per il bisogno dell’uomo.
Si tratta infatti di un contesto molto simile a quello in cui si verranno a trovare i due discepoli lungo la via verso Emmaus quando, dopo aver ascoltato il Risorto “conversare con loro aprendo le Scritture” (Lc 24,32), giungono ad un punto nevralgico del loro cammino. Percepiscono che è necessario approfondire la relazione con quel misterioso pellegrino nell’intimità di un alloggio e di un pasto condiviso: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto” (Lc 24,29).
Là il Risorto, a tavola con loro, compirà i medesimi gesti (“prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” Lc 24,30) facendosi riconoscere come Colui che dona la Vita.
Ed ecco che nel brano odierno Gesù pone davanti ai discepoli una chiamata inaspettata: “Voi stessi date loro da mangiare”. Gesù li invita a cambiare atteggiamento rispetto alla folla, ad assumere su di sé il loro bisogno, a coinvolgersi con loro, a scoprire in se stessi quelle risorse che, poste nelle mani di Gesù, possono rispondere alla necessità di quei fratelli.
E’ molto importante la sproporzione fra il bisogno della folla e il poco a disposizione dei discepoli (“non abbiamo che cinque pani e due pesci… per tutta questa gente”). Perché insegna a considerare il poco che abbiamo dal giusto punto di vista. I discepoli guardano alla situazione a partire da ciò che non hanno (“non abbiamo…”), mentre dovrebbero sapere che proprio quei “cinque pani e due pesci”, consegnati a Gesù, sono sufficienti per rendere possibile l’impossibile! Ciò che fa la differenza è proprio la presenza di Gesù che accoglie e benedice la loro piccola offerta facendone un dono sufficiente per “sfamare una folla così grande”.
Era accaduto molte volte nell’Antico Testamento: l’offerta del poco a disposizione aveva moltiplicato il dono per la vita di tutti (nell’incontro di Elia con la vedova di Sareptacfr. 1Re 17,8-16; o con Eliseo e la vedova del profeta cfr. 2Re 4,1-7).
Ma perché questo avvenga è necessario affidare a Dio “in pura perdita” il poco che abbiamo e che siamo. Per questo tutte le azioni successive coinvolgono i discepoli. Gesù non fa nulla senza di loro. Gesù non può continuare a moltiplicare la vita senza l’offerta del nostro piccolo sì.
Prima di tutto Gesù invita i discepoli a dividere in piccoli gruppi la folla immensa che si trova di fronte a loro. Quando ci si confronta con la folla innumerevole e senza volto, tutto sembra superiore alle nostre forze. Mentre Gesù li chiama a porsi in relazione con “gruppi di cinquanta circa”, cioè ad assumere la responsabilità di quella gente guardandola come una piccola “comunità” di cui prendersi cura (come accade con Mosè quando istituisce i 70 anziani per condividere la guida del popolo di Israele in Es 18,13-27).
Poi Gesù accoglie dalle mani dei discepoli il poco che hanno: “egli prese i cinque pani e i due pesci, alzati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla”.
Prendere, benedire, spezzare, donare. Sono i medesimi gesti che Gesù compirà nell’ultima cena con i suoi discepoli, anticipo simbolico-rituale della sua donazione sulla croce (cf. Lc 22,19; Mc 14,22; Mt 26,26), quelli che lo faranno riconoscere dai discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,30), quelli che S. Paolo ha ricevuto come memoriale del Signore (cf. 1Cor 11,23-24).
Nelle mani di Gesù “i cinque pani e i due pesci” ritrovano il loro significato: sono il dono che viene dalla terra e dal mare (cioè da tutta la creazione) segno della cura di Dio per l’uomo, dati per essere condivisi perché tutti abbiano la vita.
Gesù “alzando gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò…”: la benedizione introduce normalmente ogni pasto ebraico, così come ogni azione significativa che il pio israelita riferisce a Dio. Infatti la benedizione, accompagnata dallo sguardo elevato verso il cielo, pone in relazione la terra con il cielo, la nostra povertà con Colui che ci ha creati “poveri, bisognosi” e dal quale riceviamo tutto come un dono. La benedizione ci pone in quello “spazio” in cui l’offerta della nostra povertà si apre all’infinita possibilità di Dio, riconoscendo Lui presente e operante nel poco che offriamo.
I pani e i pesci sono spezzati perché non si possono mangiare per “intero”. E’ sempre necessario accostarsi al dono ricevendo quella piccola porzione sufficiente per la nostra fame, ma che lascia spazio alla fame dell’altro.
Gesù “prepara” la mensa che fa vivere. Come non pensare al pesce e al pane di Gv 21,9 dove il Risorto prepara sulla spiaggia una mensa per i suoi discepoli sfiniti dopo una notte di pesca infruttuosa? Ma anche qui come là, Gesù chiede il coinvolgimento degli apostoli: “li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla” (Lc 9,16); “portate un po’ del pesce che avete preso ora” (Gv 21,10).
Ora quei pani e quei pesci, che Gesù ha preparato benedicendoli e spezzandoli, tornano nelle mani dei discepoli. E’ loro la responsabilità di distribuirli alla folla. Senza le loro mani che donano ciò che hanno ricevuto dalle mani di Gesù non sarà possibile sfamare la folla. Ciò che stupisce è che sono gli stessi pani e gli stessi pesci di prima, sproporzionati rispetto al numero delle persone presenti. Il testo non dice che il numero di quei pani e di quei pesci sia miracolosamente aumentato! Il miracolo non è la “moltiplicazione” del pane e del pesce, ma consiste nel fatto che proprio quei pani e quei pesci bastano a sfamare tutta la folla!
Quei pani e quei pesci sono gli stessi e al tempo stesso non sono più gli stessi di prima.
Infatti, proprio per il fatto che sono passati dalle mani dei discepoli a quelle di Gesù per poi tornare alle mani dei discepoli sono diventati dono. E il dono è sempre abbastanza per chi lo riceve. Anzi, dopo aver “saziato” colui che lo riceve, rimane come “nuova possibilità di vita” per coloro che lo hanno offerto e distribuito. Infatti rimangono “dodici ceste”. Una cesta per ciascun apostolo perché quell’offerta di vita possa continuare altrove.
Questa è l’eucarestia: vita “moltiplicata” a partire dai doni che offriamo perché, per le mani di Gesù, sia saziata la fame di tutti i fratelli.
Commento a cura delle Clarisse di S. Gata Feltrie