Sieger Köder nacque il 3 gennaio 1925 a Wasseralfingen, in Germania, dove terminò i suoi studi. Durante la seconda guerra mondiale fu mandato in Francia come soldato di frontiera, dove fu fatto prigioniero. Tornato dalla prigionia, frequentò la scuola dell’Accademia dell’arte di Stoccarda fino al 1951; quindi studiò filologia inglese all’università di Tubinga.
Dopo dodici anni d’insegnamento e di attività come artista, Köder intraprese gli studi teologici per il sacerdozio e, nel 1971, venne ordinato prete cattolico. Fino al 1995, padre Köder esercitò il suo ministero come parroco e visse gli ultimi anni della sua lunga vita – morirà nel 2015 – a Ellwangen, non lontano da Stoccarda.
Gli anni del suo ministero di prete furono fra i più prolifici come ispirazione per le opere d’arte: tra il Köder ministro e l’artista c’è piena sinergia. Usa le sue pitture come Gesù usava le sue parabole nel rivelare la profondità del messaggio cristiano attraverso le metafore, spargendo luce e colore sulla vita e sulla storia umana. L’arte di Köder è caricata pesantemente dell’esperienza personale vissuta nel periodo nazista e per il dramma della Shoà.
L’invito è quello di osservare l’opera ponendo uno sguardo attento ai colori che la pervadono e alla postura stessa dei personaggi, che sembrano formare due gruppi distinti: uno, superiore, che occupa uno spazio suo proprio nella luce piena emanata dalla divinità di Gesù, vero uomo e vero Dio come si recita con il Credo, la professione di fede di tutte le Chiese Cristiane, ed un secondo – inferiore – che si staglia in modo più netto nello spazio che gli compete, quello più in basso.
La differenza di colore data, più sfumata in alto e nettamente distinta invece per le figure in basso sta probabilmente a significare la diversità e pure la distanza di questi due luoghi che possono comunque interagire proprio per la mediazione di colui che, unico, può manifestare non solo il mistero di Dio ma pure la sua gloria. Si tratta di una rivelazione che non sarà mai piena e appagante il desiderio di conoscere il Signore Dio che come credenti senz’altro ci appartiene, dal momento che egli rimane sempre irraggiungibile per la nostra povera capacità di comprendere. È solo per un dono di grazia che i tre raggiungono la cima di quel monte, potendo così divenire spettatori di quell’incontro e testimoni di un dialogo peraltro non riportato avvenuto fra Gesù – Parola Incarnata – Elia che rappresenta la profezia e Mosè, fautore della Legge stessa: di che cosa avranno parlato? E se i nostri tre sentirono un qualche discorso, lo avranno compreso? I due mondi – divino e umano – se sono rimasti per secoli così distinti nella mente di uomini e donne dei diversi popoli che abitano questa nostra concretissima terra, con Gesù Figlio di Dio divenuto carne si sono avvicinati arricchendosi e richiamandosi a vicenda nell’amore di chi si dona continuamente e di chi lo riceve, offrendo – sul suo esempio – il proprio tempo con azioni di cura e servizio verso chi è nel bisogno.
La riflessione che segue, di p. Ermes Ronchi e Marina Marcolini, appare alquanto pertinente per la lettura di quest’opera:
«Gesù mostra un volto di sole perché ha un sole interiore e per dirci che Dio ha un cuore di luce. Ma quel volto di sole è anche il volto di ognuno di noi, di ogni uomo, perché tutti abbiamo un sole interiore, un tesoro di luce, che è la nostra immagine e somiglianza con Dio.
Tutta la vita spirituale altro non è che la fatica, ma gioiosa, di liberare tutta la luce sepolta in noi.
“Signore” Pietro prende la parola, “che bello essere qui!”, restiamo quassù insieme. L’entusiasmo di Pietro, la sua esclamazione stupita – “che bello!” – ci fanno capire che la fede, per essere viva e vera, deve discendere da un innamoramento, da uno stupore, da un “che bello!” gridato a pieno cuore. Come Pietro sul monte: che bello, con te, Signore!».
Nella tela proposta, oltre a ben distinguere i personaggi: Mosè, Elia e i tre apostoli a terra, impauriti ma pure spiazzati da tanto splendore per un Gesù effettivamente trasformatosi in un sole lucente, si intravvede una quarta figura nella luce che, partendo dalla sommità del triangolo formato da Pietro, Giacomo e Giovanni, si innalza per arrivare da Gesù: potrebbe forse rappresentare il volto di ognuno ed ognuna di noi, come ci suggerisce la breve citazione fatta? Non lo sappiamo ma crediamo sia bello e significativo questo aggancio, da associare inoltre alle parole poetiche di santa Teresa del Bambin Gesù:
Mia sola pace, mio solo gaudio,
mio solo Amore sei tu, Signore!
In Te, che alle madri creasti il cuore,
il più tenero dei Padri io ritrovo.
Gesù, mio solo Amore, Eterno Verbo,
più che materno è il cuor tuo per me.
Mi segui ad ogni istante, di me ti curi;
e quando ti chiamo, oh, tu non tardi!
Se poi talvolta nasconderti tu sembri,
accorrendo m’aiuti a ricercarti.
È solo a te, Gesù, che io m’afferro
e, correndo, fra le tue braccia affondo.
Mia sola pace, mio solo gaudio,
mio solo Amore sei tu, Signore!
(Il testo potrà venire letto da una sola voce; da ripetere invece in coro la frase in neretto)