Sette pilastri dell’educazione secondo J. M. Bergoglio

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La sfida educativa è al centro dello sguardo dell’attuale Pontefice da sempre. E si possono individuare sette colonne del suo pensiero educativo così come si è formato durante il suo ministero episcopale a Buenos Aires fino all’elezione al pontificato.

  1. Educare è integrare. L’arcivescovo Bergoglio inquadra l’educazione sempre all’interno di una visione ampia della società, come un contesto vitale di incontro e di assunzione di impegni comuni per la costruzione della comunità civile. Educare, dunque, significa costruire una nazione e l’educazione non è un fatto esclusivamente individuale, ma popolare.
  2. Accogliere e celebrare le diversità. Un altro elemento centrale per la costruzione sociale è l’accoglienza delle diversità. Le differenze vanno considerate come «sfide» positive, risorse, non problemi, da valorizzare per il bene di tutti, per la costruzione di una società e di un futuro insieme come popolo.
  3. Affrontare il cambiamento antropologico. Francesco sa perfettamente che le sfide educative oggi non sono più quelle di una volta ma non si può assumere l’atteggiamento dello struzzo e fare «come se» il mondo fosse diverso. Paolo VI, tanto stimato da Francesco, aveva scritto che evangelizzare significa «portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità che si trasformano»; altrimenti, egli proseguiva, l’evangelizzazione rischia di trasformarsi in una decorazione, in una verniciatura superficiale.
  4. L’inquietudine come motore educativo. Bergoglio afferma che l’unico modo per riguadagnare l’eredità dei padri è la libertà: ciò che ricevo è mio solamente se attraversa la mia libertà. E non c’è libertà se non c’è l’inquietudine. Per Bergoglio, la maturità dunque non coincide con l’adattamento e educare non consiste nell’ “adattare” i ragazzi.
  5. Una pedagogia della domanda. In un discorso di Bergoglio alle scuole cattoliche, egli dichiara: «Le nostre scuole non devono affatto aspirare a formare un esercito egemonico di cristiani che conosceranno tutte le risposte, ma devono essere il luogo dove vengono accolte tutte le domande». Anche perché: «La verità di Dio è inesauribile, è un oceano di cui a stento vediamo la sponda».
  6. Non maltrattare i limiti. Bisogna avere la consapevolezza e l’accoglienza dei limiti. Nel 2003, Bergoglio affermava l’esigenza di «creare a partire da ciò che esiste», e dunque senza idealismi. «Ma questo comporta – scriveva – che si sia capaci di riconoscere le differenze, i saperi preesistenti, le aspettative e finanche i limiti dei nostri ragazzi e delle loro famiglie».
  7. Vivere una fecondità generativa e familiare. L’educazione non è una tecnica, ma una fecondità generativa: «Dialogare è avere capacità di lasciare eredità». L’educazione è un fatto familiare che implica il rapporto tra le generazioni e il racconto di un’esperienza.

Vi è un’espressione estremamente sintetica che Bergoglio ha scritto agli educatori e con la quale possiamo rilanciare a questo punto la nostra azione ecclesiale: «Educare è una delle arti più appassionanti dell’esistenza, e richiede incessantemente che si amplino gli orizzonti».

Di Antonio Spadaro S.I. su La Civiltà Cattolica