La sequela della Parola. Di fronte alla chiamata di Dio l’essere umano riconosce il proprio essere peccatore, come Isaia e come Pietro. È lo stesso Signore, tuttavia, che ci dona la forza e la salvezza per essere profeti e pescatori di uomini, se rimaniamo radicati nel suo dono d’amore.
La sequela della Parola.
Nella prospettiva cristiana la fede si configura non come un’adesione intellettuale a una dottrina, ma come un itinerario di sequela: il cristiano non smette mai di essere discepolo dell’unico maestro, Cristo. È lui che chiama a sé, e si propone come la via che disvela il senso pieno della verità e introduce alla vita eterna.
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La pagina del vangelo mette in scena la chiamata di Simon Pietro: ha udito Gesù istruire le folle; ha assistito alla pesca miracolosa, che ha riscattato una notte di lavoro infruttuosa. È consapevole di trovarsi di fronte al Signore, e tenta di allontanarsi dalla sua presenza.
Tuttavia, non ha nulla da temere: è scelto per divenire pescatore di uomini, calando la rete della Parola di cui si è fidato.
La vocazione è il motivo centrale della prima lettura: Isaia sperimenta la vertigine dell’assoluto. È un’esperienza sensoriale piena: i suoi occhi vedono Dio, le sue orecchie odono cantare i serafini e sente l’odore dell’incenso nelle sue narici. Sa però che le sue labbra sono impure, e solo l’intervento divino gli dà la forza per pronunciare il suo «eccomi».
Nella seconda lettura Paolo richiama alla memoria dei Corinzi la centralità del kérygma, incentrato sulla morte e risurrezione di Cristo. L’apostolo, a cui il Signore risorto è apparso per costituirlo come evangelizzatore della salvezza, è stato il primo a proclamare il Vangelo a Corinto.
Fonte: Servizio della Parola nr. 534/2022 – Prezzo di copertina: Euro 10,00