Scritto verso l’anno 80 d.C., il Vangelo secondo Matteo ha come destinatari gli ebrei. Questo spiega il frequente riferimento all’Antico Testamento da parte dell’evangelista, che si propone di presentare Gesù come il Messia promesso e atteso. È nella vita di Gesù che Matteo vede compiersi le promesse racchiuse nella Bibbia.
Matteo, chiamato anche Levi (cfr. Mc 2,13), colloca la predicazione di Gesù nella “cornice” di cinque grandi discorsi, che alludono ai cinque primi libri della Bibbia, ritenuti centrali nell’ebraismo, che formano il “Pentateuco”: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. Questi “discorsi” sono: il discorso della montagna (Mt 5-7), il discorso missionario (Mt 9,35-11,1), il discorso in parabole (Mt 13,1-52), il discorso comunitario (Mt 18,1-35), il discorso sugli ultimi tempi (Mt 24,1-25,46).
Così il Vangelo di Gesù diventa il “nuovo Pentateuco”. Scorrendo i 28 capitoli di questo Vangelo, si coglie il linguaggio proprio degli ebrei, usato da Matteo. Egli privilegia l’espressione Regno dei cieli, anziché Regno di Dio, per rispettare il nome di Dio (“Jhwh”), che non si deve pronunciare, come è detto nel libro dell’Esodo (20,7). Così ama pure ricorrere alla forma passiva dei verbi: «a chi bussa sarà aperto (= “Dio aprirà”)», per sottolineare l’iniziativa divina.
Matteo vede in Gesù l’Emmanuele (= “Dio con noi”) e il Maestro che educa il nuovo popolo di Dio. Nei discepoli di Gesù, dei quali fa parte anche lui, Matteo vede il modello del cristiano. Il suo è il Vangelo del “Padre nostro” (Mt 6,9-13), delle “Beatitudini” (Mt 5,3-12), della Chiesa e del Regno aperto a tutti. È un Vangelo che dopo secoli conserva la freschezza della novità del Regno e parla al cuore di tutti noi.
don Primo Gironi, ssp biblista – Fonte