Un componimento monumentale, quanto variegato e persino a tratti contraddittorio, chiude la terza sezione del libro dei Salmi: si tratta del Salmo 89 (88), che medita sulla fedeltà alle promesse divine.
All’interno di questo inno messianico con venature regali e oracolari, che poi si volgono alla supplica, troviamo una rara beatitudine “storica” rivolta al popolo, alla gente: «Felice il popolo che ha esperienza/conosce il grido di vittoria», letteralmente, la teruah.
I versetti proposti dalla liturgia di oggi costituiscono proprio la risposta del popolo, incastonata in questo Salmo: è acclamazione e cammino, contemplazione e azione. È l’intimità gioiosa di chi sa dare del “tu” a quel volto di giustizia in cui il credente, nelle battaglie della vita, sceglie di rispecchiarsi, facendone esperienza.
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Beata la gente che ti sa acclamare,
la gente, Signore,
che alla luce del tuo volto cammina.
E tutto il giorno nel tuo nome gioisce
e si gloria della tua giustizia.
Sì, tu sei lo splendore della nostra potenza:
per il bene con cui ci onori
a fronte alta ci fai andare.
Sì, nostro scudo è l’Iddio,
il santo d’Israele, il nostro re.
«Quando il popolo non fa assegnamento sugli eroi, ma conosce egli stesso il grido di battaglia, allora camminerà nella luce del tuo volto». (Baʻal Šēm)
Fonte: Buttadentro, canale Telegram gestito da Piotr ZygulskiFoto di Joshua Lindsey da Pixabay