Una parola abitata e vissuta
Dopo il mare di Galilea è la volta della sinagoga di Cafarnao. Gesù frequenta i luoghi della vita di tutti i giorni, ma non diserta la sinagoga, e in giorno di sabato eccolo agire come un ebreo osservante. Assume tuttavia una posizione particolare: “Entrato di sabato nella sinagoga, insegnava” (v. 21).
Dopo la chiamata dei primi quattro discepoli, e dunque presumibilmente attorniato da quell’inizio di comunità, eccolo inaugurare la missione che lo vedrà occupato per quasi tutto il seguito del vangelo: si mette ad insegnare.
Quell’insegnamento però ha un tratto particolare che il testo esplicita a due riprese, all’inizio e alla fine: si tratta di un insegnamento “autorevole”, caratterizzato cioè da exousía, termine tradotto, a seconda dei casi, con “autorità” o “potere”.
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Gesù ha già mostrato la forza della sua parola nella chiamata dei primi discepoli. Ora questo tratto che connota la sua persona e il suo ministero è esplicitato, attraverso due declinazioni, che possiamo considerare i primi due connotati dell’autorità di Gesù e, di conseguenza, di quella che dovrebbe essere l’autorità dei cristiani.
La prima declinazione è narrata all’inizio del racconto, dove leggiamo: “Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità (exousía), e non come gli scribi” (v. 22). Difficile dire con esattezza cos’è che provoca qui la reazione di stupore delle folle, cioè come appare l’autorevolezza di quell’insegnamento. L’unico elemento che Marco ci offre è il confronto con l’insegnamento degli scribi. Quanti ascoltano Gesù, percepiscono nelle sue parole qualcosa di diverso da ciò cui sono abituati: le parole degli interpreti di professione i quali, per una consuetudine dovuta al ministero svolto, rischiano di svolgere il proprio compito come dei funzionari. In Gesù, invece, le folle avvertono la forza di una parola di cui il Maestro è intimamente partecipe. Sentono che quella parola è affidabile, perché chi la pronuncia mostra di averla fatta propria, di abitarla e di viverla. Diremmo con un’espressione che a volte applichiamo a chi sentiamo particolarmente autorevole: “Gesù mostra di essere uno che ci crede!”.
Il primo tratto della sua autorevolezza, e dunque dell’exousía cristiana, è in questo: autorevole è colui che partecipa intimamente a quanto dice agli altri: non solo vi aderisce intellettualmente, ma vive egli stesso delle parole che pronuncia; desidera e cerca per sé quanto chiede agli altri.
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La forza dell’insegnamento di Gesù fa letteralmente esplodere il male, che non è assente da quel luogo di ascolto e di preghiera: “Un uomo posseduto da uno spirito impuro cominciò a gridare” (v. 23). Marco racconta questo episodio come uno scoppio: la presenza stessa di Gesù provoca l’emersione del male. Lo spirito impuro non la tollera e viene allo scoperto. Si realizza così una sorta di giudizio, che per Marco è effetto dell’incontro con Gesù: è la sua stessa presenza e la sua parola di vita che giudicano e risanano.
Lo spirito impuro, infatti, dichiara l’effetto risanatore di quella presenza: “Sei venuto a rovinarci (dal greco apóllymi, che significa letteralmente “distruggere”)?” (v. 24). E continua pronunciando quella che possiamo considerare la prima di una lunga serie di professioni di fede, che rispondono alla domanda “chi è Gesù?” che attraversa come un filo rosso l’intero vangelo secondo Marco: “Io so chi tu sei: il santo di Dio!” (v. 24). L’evangelista sembra dire che gli spiriti impuri sono i primi a riconoscere la forza e l’identità di Gesù, e ricorda che una esatta professione di fede non è di per sé garanzia di fede autentica, dal momento che lo spirito impuro giunge a esprimere già qui ciò che i discepoli sapranno riconoscere solo alla fine del cammino.
Gesù allora intima allo spirito impuro di uscire dall’uomo posseduto e questi ne è liberato. Ciò provoca un nuovo riconoscimento dell’autorevolezza dell’insegnamento di Gesù: “Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: ‘Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità (exousía). Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!” (v. 27). Ora non si tratta più di un insegnamento “sentito” come autorevole: è anche “visto” tale, nei fatti che produce. L’autorevolezza dell’insegnamento è riconoscibile negli effetti che tutti possono osservare.
Abbiamo qui la seconda declinazione dell’exousía di Gesù: la sua capacità di risanare, di ricondurre alla pienezza di vita colui che è oppresso dal male. Un tratto essenziale anche all’autorità cristiana, che è tale solo nella misura in cui trasmette vita, aiuta a stare al mondo. Questo non significa che essa non sia esigente. Nell’episodio narrato in questo brano riesce a distinguere il bene dal male e ad allontanare il male, ma l’effetto che dimostra autorevole la parola di Gesù, e dunque la legittimità della sua autorità, è che essa è capace di risanare: distrugge non l’uomo ma il male che lo affligge.
Come i discepoli, chiamati presso il mare, avevano colto nello sguardo e nella parola di Gesù una exousía capace di trasformare le loro vite, così le folle riconoscono in quel Maestro una parola autorevole, cioè capace di trasmettere coinvolgimento personale e forza risanatrice.
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Per gentile concessione del Monastero di Bose