Tra voi non è così
Il brano evangelico di questa domenica fa seguito al terzo e ultimo annuncio della passione, morte e resurrezione di Gesù (10,32-34). In Marco, Gesù annuncia per tre volte l’esito della sua missione e ogni volta la reazione dei discepoli denota la loro distanza dal pensiero del Maestro. Al primo annuncio è Pietro a reagire (8,32-33); al secondo, l’insieme dei Dodici (9,33-34); ora è la volta dei due figli di Zebedeo, che insieme a Pietro sono testimoni dei momenti più alti della rivelazione del Messia Gesù (quando risuscita la figlia di Giairo, sul monte della trasfigurazione, al discorso escatologico, al Getsemani). In una sorta di inclusione, Marco sembra sottolineare il fatto che anche i più intimi sono in realtà lontani.
Questo terzo annuncio è il più dettagliato, soprattutto nella descrizione della passione. Inoltre, qui per la prima volta Gesù rivela chiaramente la meta di quel viaggio, cioè Gerusalemme: “Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme… “(10,32); e ancora: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme” (10,33). La menzione della città santa è sufficiente per rendere “sgomenti” e “impauriti” quanti lo “seguivano” (10,32).
L’ultima parola dell’annuncio riguarda la resurrezione: “E dopo tre giorni risorgerà” (10,34). Ciò sembra bastare ai due figli di Zebedeo per avventurarsi in quello che costituisce il primo dei due dialoghi che costituisce la nostra pericope (vv. 35-40). La breve menzione di un esito glorioso, è sufficiente a far dimenticare tutto il resto e ad attirare l’attenzione dei due fratelli che si accostano a Gesù e, con piglio deciso, gli rivolgono la loro richiesta: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo” (v. 35).
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La domanda sembra riorientare verso la giusta direzione quella dell’uomo ricco – “Cosa devo fare?” (10,17) – ma la conclusione esprime ancora un protagonismo fuori luogo. Tuttavia Gesù rilancia, ponendo anche lui una domanda: “Che cosa volete che io faccia per voi?” (v. 36). Non abbandona i suoi alla loro incomprensione, ma se ne prende cura, anche quando avverte una distanza così grande. I due fratelli, infatti, non chiedono solo di condividere la sua gloria, senza fare parola della passione, ma chiedono un posto particolare in quella gloria: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra” (v. 37). Curiosa richiesta da parte di chi era stato testimone della trasfigurazione e aveva visto Elia e Mosè accanto a Gesù nella gloria (9,4). E poco oltre Marco non mancherà di sottolineare che sulla croce “a destra e a sinistra” di Gesù, nonostante la determinazione dei due a bere il calice e a ricevere il battesimo (v. 39), ci saranno gli anonimi ladroni (15,27).
Con la sua risposta Gesù sembra accondiscendere alla richiesta di Giacomo e Giovanni. Ne accoglie la lentezza, sperando che pian piano essa possa aprirsi a un’altra comprensione. Prospetta dunque la possibilità che il loro desiderio sia soddisfatto: bere il suo calice e scendere nell’immersione in cui egli stesso sta per essere immerso, due immagini che rimandano alla passione e, secondo alcuni esegeti, anche a eucaristia e battesimo. Difficile dire se quest’ultimo riferimento fosse nell’intenzione di Marco. Certo è tuttavia che le due immagini rimandano a una piena comunione del discepolo con il Maestro: questo non solo non è negato, ma anzi è promesso.
Ciò che però Gesù si premura di negare categoricamente è l’istituzione di privilegi, primati e gerarchie: tentazione cui i discepoli avevano già mostrato di essere inclini, proprio in risposta al secondo annuncio della passione, allorché avevano discusso “tra loro chi fosse il più grande” (9,34). Lì sulla terra, qui in cielo, ma la logica resta la medesima.
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Ancora privilegi! Gesù afferma invece che neppure il martirio conferisce un diritto di preminenza. Esso è piuttosto una via per stare accanto al Maestro, camminando con lui. Riprende dunque l’insegnamento sull’autorità iniziato in 9,33-37 e lo completa nel secondo dialogo che compone la nostra pericope.
Ora si rivolge all’intero gruppo dei Dodici (vv. 41-45), di cui constata l’indignazione dinanzi alla richiesta di Giacomo e Giovanni: “Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni” (v. 41). Presumibilmente quella reazione non è dovuta all’inopportunità della domanda dei due, ma al fatto che essa pregiudicava un loro eventuale diritto.
Gesù coglie allora l’occasione per ribadire l’insegnamento sul discepolato, cui è particolarmente dedicata l’intera sezione (a partire da 8,31), significativamente introdotta dall’espressione: “Se qualcuno vuol venire dietro a me” (8,34).
Ancora una volta Gesù chiama a sé i discepoli (v. 42). Comprende che se a più riprese hanno mostrato distanza dal suo modo di ragionare è perché il loro modello è quello mondano. Inizia dunque da lì: “Voi sapete che coloro che sembrano (dokoûntes) governare le nazioni, dominano (katakyriéuousin) su di esse e i loro grandi le opprimono (katexousiázousin)” (v. 42). Esprime così il suo giudizio severo sul modo di esercitare il potere nel mondo, da parte di coloro che – dice Gesù con una sottile ironia – si illudono di governare. Quindi impiega due verbi particolarmente significativi, per dire come il bene può essere pervertito: “dominare” e “opprimere”, imparentati con due sostantivi cruciali nel messaggio evangelico e nel ministero messianico di Gesù. Nel primo verbo abbiamo il sostantivo kýrios (Signore) e nel secondo exousía (autorità). Ambedue son però preceduti dalla preposizione katá, che attribuisce alle due forme verbali una nota negativa, come a indicare una signoria e un’autorità pervertite e abusanti.
A questo agire mondano, Gesù oppone l’atteggiamento richiesto a coloro che si vogliono suoi discepoli: “Tra voi però non è così” (v. 43). La formula verbale dice chiaramente che non si tratta di un auspicio – “non sia” – né di un augurio per il futuro – “non sarà” – ma di un tratto imprescindibile perché costitutivo.
Quindi esemplifica le modalità, che sono quelle del “servitore (diákonos)” e dello “schiavo (doûlos)”: “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti” (vv. 43-44). Chi vuol essere “grande” e non “più grande” (9,34) e chi vuol essere “primo” (9,35) ha nel servizio l’unica via percorribile.
Questo per una ragione cristologica, come Marco afferma nell’ultimo versetto: “Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (v. 45). Gesù riassume così nell’immagine del servizio-diaconia il senso ultimo dell’intera sua esistenza e anche della sua morte in croce, che dunque è solo l’epifania ultima del senso della sua vita intera. La croce è l’ultima e definitiva icona dell’essere “diaconale” di Gesù, del senso di tutta la sua esistenza. Lui, Servo del Signore, secondo i canti del Servo di Isaia che qui sono variamente riecheggiati, e servo dei fratelli e delle sorelle.
Per gentile concessione del Monastero di Bose