La gioia del diminuire
La terza domenica di Avvento, denominata “Gaudete”, è legata al tema dalla gioia, che la seconda lettura ci consegna come un comando: “Rallegratevi sempre” (1Ts 5,16). Tuttavia, nel vangelo domina ancora la figura di Giovanni il Battista, che difficilmente accosteremmo al tema della gioia. Figura severa e ruvida. Nel vangelo secondo Matteo si presenta con parole esigenti e taglienti: apostrofa alcuni con l’espressione “razza di vipere” (Mt 3,7) e parla di “scure posta alla radice degli alberi” (Mt 3,10).
Ancora nei vangeli Sinottici, il Battista è associato al lamento, a differenza di Gesù: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, vi abbiamo intonato un lamento e non vi siete battuti il petto. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: ‘È indemoniato’. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: ‘Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori’” (Mt 11,17-19).
Eppure mentre era ancora nel grembo di Elisabetta aveva “sussultato di gioia” (Lc 1,44) al saluto di Maria. Una gioia che ritorna, confessata dallo stesso Battista, in una scena narrata dal quarto vangelo: “Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena: lui deve crescere; io invece, diminuire” (Gv 3,29-30).
- Pubblicità -
Giovanni non è solo il precursore e il battezzatore di Gesù, ma è stato anche l’occhio e soprattutto il cuore attento al Cristo veniente e, proprio perché attento, ha saputo scorgere quella venuta, farle spazio e gioirne.
Di questo ci parla il vangelo di questa domenica, svelandoci qualcosa della via da lui percorsa per giungere a quella gioia. La via del decentramento da sé, dal proprio “io”, capace di fare spazio al Cristo veniente.
Il Battista ha saputo cogliere la presenza di Gesù, lo ha saputo discernere, e ne ha saputo gioire, perché è stato capace di farsi da parte, di sgombrare il campo all’occupante più insidioso del cuore: il proprio “io”. Questo l’atteggiamento che più caratterizza il Battista del quarto vangelo: uno che non attira l’attenzione su di sé, ma su Cristo, giungendo così a sperimentare la vera gioia.
- Pubblicità -
I primi tre versetti della pericope evangelica di questa domenica (v. 6-8), tratti dal prologo, presentano Giovanni come il testimone: “Venne come testimone, per dare testimonianza alla luce” (v. 7). Giovanni è colui che attesta un altro, e l’evangelista lo precisa fin da subito, con una prontezza che stupisce: “Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce” (v. 8). Giovanni è fin da subito innanzitutto colui che “non è”.
Non si tratta di un atteggiamento rinunciatario, ma di chi conosce il pericolo dello sconfinamento e dell’occupazione indebita di spazi non suoi. Così, nella seconda parte della pericope odierna (v. 19-28), è lui stesso a dichiarare a chi lo interroga: “Io non sono il Cristo” (v. 20).
Giovanni non usurpa ciò che non gli appartiene. Sa di essere “voce di uno che grida nel deserto” (v. 23). Voce ricevuta dalla profezia, che cita e adempie, e voce prestata alle esigenze del Signore: “Rendete diritta la via del Signore” (v. 23).
Interrogato sul suo ministero: “Perché battezzi, se non sei il Cristo?” (v. 25), ribadisce il suo essere solo anello di una catena. Ciò che fa non è definitivo, ma attende il compimento dall’azione dell’altro, il Cristo: “Colui che viene dietro a me” (v, 27), di cui Giovanni si sente indegno “di slegare il laccio del sandalo” (v. 28). Qui non vi è né mancanza di responsabilità né falsa umiltà, ma il coraggio di chi lascia al Cristo lo spazio perché agisca.
Fino alla fine, Giovanni sarà nient’altro che un dito puntato verso il Cristo. Subito dopo la pericope di questa domenica, vedendo passare Gesù, dirà ai presenti: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (v. 29). E poco oltre, di nuovo, “fissando lo sguardo su Gesù che passava”, a due dei suoi discepoli ripeterà: “Ecco l’agnello di Dio!” (v. 35). Rinuncia anche ai suoi discepoli, per mandarli a Cristo, come un vero maestro.
Culmine della sua parabola è poi il confronto con Gesù che ormai battezza con successo (3,26). Ai suoi discepoli che glielo riferiscono, risponde: “Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: ‘Non sono io il Cristo’” (3,27-28). E gioisce per la crescita dell’altro, della voce dello sposo (3,29).
Questo il punto in cui sgorga la sua gioia: “Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire” (3,29-30). La gioia del diminuire… Quanta lotta per maturare una tale gioia! L’ascesi del Giovanni narrato dai Sinottici vede qui svelato il frutto conseguito: la gioia che nasce dalla libertà da se stessi.