Che cosa cercate?
Sia il IV vangelo sia i Sinottici raccontano all’inizio del ministero pubblico di Gesù il suo incontro con i primi discepoli. Benché attraverso narrazioni diverse, sono concordi nel presentarlo come un maestro particolare, che avverte la necessità di una comunità con cui vivere. Quasi a voler dire che il primo annuncio è in ciò che si condivide nel quotidiano, e non in ciò che si racconta.
Giovanni, però, narra questa storia a modo suo, offrendocene un resoconto forse più vicino al vero, ma comunque diverso da quello di Marco, che ascolteremo domenica prossima, e degli altri Sinottici.
Il primo tratto che emerge dal racconto giovanneo è l’importanza accordata alla figura del Battista. È lui che indirizza “due dei suoi discepoli” a Gesù, indicandolo come “l’agnello di Dio” (v. 35), espressione già impiegata qualche versetto prima quando il Battista, “vedendo Gesù venire verso di lui”, aveva detto: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (v. 29). Giovanni aveva battezzato e continua a farlo, ma il IV vangelo, a differenza dei Sinottici, non specifica che con quella immersione egli rimette i peccati. Dice invece che Gesù “toglie/porta (dal verbo greco áiro) il peccato del mondo” (v. 29). Nel IV vangelo, dunque, Gesù non entra in scena come colui che insegna, chiama discepoli o guarisce i malati, ma come chi prende su di sé il peccato del mondo.
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Questo è ciò che attira i due discepoli. Essi infatti, sentendo il Battista “parlare così, seguirono Gesù” (v. 37). Ciò che li spinge persino ad abbandonare l’antico maestro, è un desiderio di salvezza, di cui il Battista si fa tramite. Meraviglioso esempio di maestro! Perché capace di aprire cammini di salvezza e di farsi da parte, come dirà egli stesso poco oltre, riferendosi a Gesù: “Lui deve crescere; io invece diminuire” (3,30). Giovanni consegna i suoi a Gesù, precursore anche in questo, dal momento che, appena prima della passione, anche Gesù li riconsegnerà al Padre (17,11).
Dunque, nella narrazione giovannea, all’origine del discepolato non c’è la parola di Gesù che invita alcuni a seguirlo, come nei Sinottici. I primi due discepoli, Andrea e l’altro senza nome – forse Filippo o il discepolo amato o un anonimo in cui il lettore è invitato a identificarsi – camminano già dietro a lui. Leggiamo infatti: “Gesù si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: ‘Che cosa cercate (tí zetéite)?’” (v. 38). Una domanda che risuonerà molto simile alla fine del vangelo, quando Gesù chiederà a Maria di Magdala: “Chi cerchi” (20,15), in una scena che ha molto in comune con questa.
Altra particolarità del racconto giovanneo è questa: Gesù incrocia e riconosce una ricerca che è già in atto. La ricerca di ogni essere umano, che l’evangelista prospetta come desiderio di salvezza, cioè di vita piena, di senso. La domanda del Maestro vuole spingere ad andare a fondo in quel desiderio, a diventarne più consapevoli, perché la salvezza sarà efficace solo se interseca un bisogno avvertito e nominato.
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La risposta dei discepoli – che si rivolgono a Gesù chiamandolo “rabbì” – appellativo simile al più intimo “rabbunì” usato dalla Maddalena (20,16) – è ancora una domanda: “Dove dimori?” (v. 38). Anche qui notiamo il parallelismo con la domanda di Maria circa il corpo di Gesù: “Dove l’hai posto” (20,15).
I discepoli non lo interrogano sulla sua dottrina. Gli chiedono invece dove abita. L’accento è posto ancora sulla condivisione di vita. Se il Maestro cerca innanzitutto dei discepoli con cui vivere e non degli allievi cui trasmettere nozioni, anche i discepoli cercano un maestro con cui dimorare, rimanere, condividere. Cercano comunione, esattamente quello che Gesù offre: “Venite e vedrete!” (v. 39). Ancora una volta per Gesù primaria non è la sua dottrina, ma la condivisione di vita.
I due accolgono l’invito e iniziano un nuovo cammino, che l’evangelista descrive con tre verbi, particolarmente significativi: “Andarono dunque, videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui” (v. 39). “Andarono”, si mossero intraprendendo un cammino. “Videro”, verbo importante nel IV vangelo, che ha a che fare con la fede: pensiamo al “vide e credette” del discepolo amato al sepolcro (20,8). “Rimasero/dimorarono”, altro verbo fondamentale, come mostrano le parole di Gesù più volte indirizzate ai discepoli in particolare nel discorso della vite vera (15,1-11). Si tratta di muoversi, cioè di intraprendere un cammino, che implica un lasciare e un trovare; di vedere, cioè di fare un’esperienza personale e profonda, indispensabile alla fede; e infine di rimanere, cioè di perseverare in una condivisione di vita che richiede tempo e che avviene nella quotidianità.
Questo accade in un momento particolare: “Era circa l’ora decima” (v. 39), cioè le quattro del pomeriggio. Curiosa annotazione! Perché tanta precisione? Giovanni è attento nello specificare i giorni e i momenti, anche per sottolineare la veridicità di quanto narra. Ma qui credo vi sia anche altro: il bisogno di quei due discepoli di rimarcare un momento intenso, un punto di svolta nella loro vita, che essi portano scolpito nel cuore.
Tutto questo porta all’esclamazione di Andrea, rivolta a Simon Pietro: “Abbiamo trovato il Messia” (v.41). L’itinerario di fede è compiuto: il riconoscimento si fa annuncio. Il primo chiamato, Andrea, si fa tramite per Simone: “Lo condusse da Gesù” (v. 42); e di risposta Gesù fissa lo sguardo su di lui e gli dà un nome nuovo (v. 42). Quel nome nuovo, che nei Sinottici Gesù conferisce a Pietro in risposta alla sua confessione di fede (Mt 16,16), in Giovanni è puro dono ed effetto dell’intuizione del Maestro, che sa vedere il nome e dunque la vocazione nascosta in ogni essere umano.
Per gentile concessione del Monastero di Bose