Oltre l’apparenza
Breve riassunto:
Il brano evangelico analizzato questa domenica contiene due racconti distinti: la critica di Gesù agli scribi e la lode per l’umile gesto di una vedova povera. Gli scribi, esperti della legge, sono accusati da Gesù di cercare visibilità, onori e ricchezze, tradendo così il loro compito spirituale. Al contrario, l’anonimo gesto della vedova, che dona tutto ciò che ha, rappresenta il vero sacrificio e il valore dell’autenticità. Gesù invita i discepoli a vedere oltre l’apparenza, riconoscendo il valore di un atto che coinvolge tutta la vita. Nel contesto del tempio, nonostante l’ostilità e la corruzione, la scena della vedova offre un segno di speranza e autenticità, rappresentando sia il discepolo che Cristo stesso, pronto a donare la sua vita nell’indifferenza del mondo.
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Il brano evangelico di questa domenica si compone di due brevi racconti che narrano scene molto diverse tra loro. Un elemento di aggancio, suggerito da alcuni esegeti, è puramente formale: la menzione delle vedove derubate dagli scribi (v. 40) e di una vedova che Gesù loda perché capace del vero dono (v. 44).
Ma collocati l’uno accanto all’altro questi due episodi sono proposti per un confronto, per coglierne gli opposti atteggiamenti che denotano. Nella prima scena degli scribi dai quali Gesù chiede ai discepoli di guardarsi (v. 38); nella seconda, una vedova povera che invece il Maestro indica loro come esempio (v. 43). Si tratta dunque di guardarsi dai primi e di imitare l’ultima.
Diversamente dagli altri vangeli, Marco non si dilunga in critiche nei confronti degli scribi. Nel secondo vangelo non abbiamo le articolate requisitorie presenti negli altri due vangeli Sinottici (Mt 23,1-36 e Lc 11,37-52; 20,45-47). Tuttavia, nella sua essenzialità, anche il Gesù raccontato da Marco coglie e mette in guardia da quella che considera una tentazione frequente nell’uomo religioso di ogni tempo, latitudine e credo: occupare il centro e servirsi anziché servire. Esattamente l’opposto di quello che la vedova farà, secondo quanto narrato nel seguito del racconto.
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Degli scribi, che pure sono gli esperti della Torah, Gesù sottolinea come con il loro atteggiamento tradiscono quanto insegnano. Mette in luce innanzitutto il loro bisogno di visibilità, che si esprime in atteggiamenti che egli enumera: “passeggiare in lunghe vesti”; “ricevere i saluti nelle piazze” (v. 38); “avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti” (v. 39). E poi la loro avidità di beni: “Divorano le case delle vedove”; e di prestigio religioso: “Pregano a lungo per farsi vedere” (v. 40).
Queste osservazioni giungono, non a caso, a conclusione di una serie di incontri di Gesù con le autorità, che Marco ha appena narrato, dove si è consumata una incomunicabilità quasi totale. Solo di uno di loro, infatti, Gesù ha potuto apprezzare la sincerità, dichiarandone la vicinanza al Regno di Dio (12,28-34). Ora è come se evidenziasse le cause profonde di quella irriducibile distanza, di cui danno conto gli atteggiamenti esteriori qui elencati, segno di quello che essi cercano in verità: appariscenza, onori, ricchezze, prestigio spirituale. Ecco ciò che li porta a tradire la loro missione.
Queste parole sono pronunciate da Gesù presumibilmente mentre si trova nel tempio, e proprio lì a un certo punto scorge qualcos’altro: “Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte: ma venuta una vedova povera…” (v. 41-42). Siamo ancora nel tempio animato dalle attività usuali: qui le offerte e i tanti che danno molto, “del loro superfluo”, come Gesù dirà più avanti (v. 44).
Ma proprio lì Gesù si accorge anche del gesto di qualcuno di cui il racconto sottolinea l’irrilevanza sociale, la fragilità e la povertà. Si tratta di una donna, vedova dunque appartenente a una delle categorie più fragili, e povera cioè indigente, tratto ribadito per tre volte (v. 42, 43 e 44).
Gesù vede quel gesto ed è come se il suo sguardo lo salvasse dall’oblio. Nessuno sembra vederlo né apprezzarlo, lui sì, e ne parla ai suoi discepoli, con un’introduzione solenne: “In verità io vi dico…” (v. 43).
Li invita così a un’arte difficile e preziosa: leggere oltre l’apparenza. Dice infatti: “Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri” (v. 43). Chiede ai discepoli di non fermarsi all’esteriorità, ma a comprendere il valore dalle cose a partire da ciò da cui nascono. Il riferimento agli scribi appena criticati è evidente: loro sono visti e credono di valere per la loro visibilità; la vedova non è notata da nessuno all’infuori di Gesù, ma il valore del suo gesto è dato proprio da ciò che non si vede, dal fatto che coinvolge la sua stessa vita. Gesù infatti dirà: “Tutti hanno gettato nel tesoro del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria (o anche: “nella sua mancanza”), vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere (o anche: “tutta la sua vita”)” (v. 44).
La differenza è tutta qui e il valore di un’esistenza è in questo: mettersi in gioco con la propria vita, fino a metterla a repentaglio come fa la vedova, oppure limitarsi all’apparenza, senza lasciarsi scalfire nel profondo, fermarsi al superfluo, cioè a quello che vi sia o non vi sia cambia poco.
La vedova del tempio insegna anche che le cose non valgono perché viste ma perché vissute. Lei non ha udito quello che Gesù ha detto di lei. Ha fatto il suo gesto nell’anonimato e in estrema semplicità. Forse anche di nascosto e con un senso di vergogna, per non poter dare quanto i ricchi. Non si dice neppure che sia diventata discepola di Gesù. Ma importante è il valore che Gesù riconosce al suo gesto. Il valore di un piccolo atto di cui il Signore custodisce la grandezza.
Inoltre è interessante notare che questa scena di luce sia ambientata nel tempio. Quel luogo dal quale Gesù era uscito, “essendo l’ora ormai tarda” (11,11); quel luogo che aveva trovato affollato di venditori, di cambiavalute e di gente che lo usava come scorciatoia e che lui purifica (11,15-19); quel luogo in cui aveva affrontato i capi che lo sfidavano per metterlo in difficoltà e poi i farisei e gli erodiani e ancora i sadducei (11,27-12,27); proprio in quel luogo ostile e ormai contaminato e votato alla distruzione, c’è anche questo segno di speranza, a ricordare che anche ciò che sembra irrimediabilmente compromesso può ospitare la luce e il bene, e soprattutto che non vi sono situazioni in cui nulla ha più valore.
Il piccolo gesto di una povera vedova è per Gesù non solo segno di un bene che non è completamente venuto meno, di un’autenticità che la vanità tracotante dei capi non ha travolto e impedito, ma diventa anche per lui, per la sua persona, un’immagine che lo conforta e lo incoraggia in quello che sta per vivere: il dono della sua vita, in un contesto distratto e ostile.
La vedova è infatti per Marco immagine del discepolo e della comunità credente, ma qui è anche e soprattutto immagine del Povero che sta per deporre “tutta la sua vita”, nell’indifferenza più totale di coloro per la cui salvezza egli si offre.
Per gentile concessione del Monastero di Bose