Essere bambini è la prima tappa nella vita fuori dal grembo. Non ci si sforza per esserlo, lo si è semplicemente. Casomai è vero l’opposto, ovvero, se uno non si sforza rimane bambino nell’uno o nell’altro aspetto della propria vita (anche se magari il copro continua il suo naturale corso di crescita fisica).
E rimanendo così “desincronizzato”, uno non è più un bambino, ma diventa un ridicolo bambinone o un patetico infantile… Diverso è il caso dell’infanzia spirituale. Gesù ci dice che bisogna convertirsi, bisogna diventare come i bambini.
Bisogna farsi bambini. E cosa significa ciò? Tante cose, ma soprattutto deporre il delirio dell’onnipotenza per rivestirsi della fiducia filiale. Non so come sono le vostre madri, ma mia mamma continua a chiamarmi con il nomignolo dell’infanzia quando mi chiama. E penso che si ha diritto a un po’ di infanzia (non infantilismo) finché c’è qualcuno per cui siamo bambini (non bambinoni).
E tutti, proprio tutti, abbiamo questo Qualcuno. Il vangelo di oggi ce ne parla chiaro e tondo.
Fonte: il sito di Robert Cheaib oppure il suo canale Telegram
Docente di Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
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I loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 18, 1-5.10
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?».
Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.
Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.
Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».
Parola del Signore