Ricordati di sanificare le feste. Fantacroniche di rinnovamento pastorale post-pandemia

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Ed ecco a voi le fantacronache dall’immaginaria diocesi di Salsiccia, alle prese con la “transizione pastorale” successiva alla pandemia da coronavirus. Con un umorismo leggero, a tratti affilato, ma sempre affettuoso verso le sue vittime e i loro limiti umani e spirituali, si narrano i tragicomici e maldestri tentativi del vescovo Egidio Pancetta – in accordo o, più spesso, in disaccordo con preti, suore e laici “impegnati” – per ridare slancio alla comunità ecclesiale, in precario equilibrio fra spinte rinnovatrici e cautele dottrinali.

Fabio Colagrande è nato a Roma a metà degli anni Sessanta e dal 1994 lavora alla Radio Vaticana come giornalista vaticanista e speaker. Scrive per L’Osservatore Romano e altre testate cattoliche e ha collaborato come autore a diversi saggi dedicati alla Chiesa e alla comunicazione. Ai microfoni di Radio Due si è occupato di cultura e intrattenimento. Autore, regista e attore teatrale, nel 1996 si è esibito allo Zelig di Milano. È tra i fondatori del blog VinoNuovo, dove cura la rubrica “Fantaecclesia”. È coordinatore della “Rete sulla via del silenzio”, nata per rilanciare la preghiera silenziosa in ambito cattolico.

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Prefazione

Ricordati di sanificare le feste è una raccolta di racconti brevi che si leggono con disinvoltura e facilità. Queste pagine non rappresentano una lettura impegnativa. Soprattutto si ride tanto. Detto questo, non si impiega molto tempo a capire che Fabio Colagrande non ha una penna in mano, ma un coltello affilato. Le sue frasi graffiano, a volte tagliano. Le immagini prodotte dai suoi racconti e dai dialoghi serrati non lasciano tregua. È un libro che ha una sua necessità perché corrosivo.

Su che cosa si esercita la sua vis polemica impastata di umorismo (che, dunque, non lascia scampo)? Sul linguaggio ecclesiale, l’ecclesialese. Non solo sulle parole, i verbi, la grammatica, la sintassi etc. ma anche gli atteggiamenti, che pure linguistici sono: “parlano”, infatti. Colagrande parla di cose di Chiesa, dunque. E prende in giro un modo di dire le cose che svela vacuità. Insomma: prende in giro il vuoto facendocelo vedere. Cioè ci fa vedere che dove noi credevamo ci fossero cose, in realtà non c’è nulla.

Un esempio, per essere chiari: «Mettersi in ascolto dei segni dei tempi per intraprendere un cammino preparatorio che partisse dalle realtà comunitarie locali per avviare un percorso di discernimento in vista dell’inaugurazione di un itinerario sinodale di riflessione per fare rotta verso quel rinnovamento ecclesiale suscitato dal momento di prova e di grazia della pandemia». Che significa? Tutto e niente. Dunque niente. E che dire delle immagini della famiglia felice dove moglie, marito e figli saltano insieme su un prato verde per comunicare la gioia dell’amore familiare? Anche queste sono icone di una Chiesa che non sta in cielo né – soprattutto – in terra. […]

Antonio Spadaro S.I.
Direttore de La Civiltà Cattolica

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