Quinta Catechesi – Incontro Mondiale delle Famiglie – Dublino 2018

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QUINTA CATECHESI

LA CULTURA DELLA VITA

“E GESÙ CRESCEVA IN SAPIENZA, ETÀ E GRAZIA DAVANTI A DIO E AGLI UOMINI(LC 2,52) 

Signore Gesù,
che fedelmente visiti e colmi con la tua Presenza la Chiesa e la storia degli uomini; che nel mirabile Sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue
ci rendi partecipi della Vita divina e ci fai pregustare la gioia della Vita eterna; noi ti adoriamo e ti benediciamo.
Prostrati dinanzi a Te, sorgente e amante della vita realmente presente e vivo in mezzo a noi, ti supplichiamo. Ridesta in noi il rispetto per ogni vita umana nascente, rendici capaci di scorgere nel frutto del grembo materno la mirabile opera del Creatore,
disponi i nostri cuori alla generosa accoglienza di ogni bambino che si affaccia alla vita.
Benedici le famiglie, santifica l’unione degli sposi, rendi fecondo il loro amore. Accompagna con la luce del tuo Spirito le scelte delle assemblee legislative, perché i popoli e le nazioni riconoscano e rispettino
la sacralità della vita, di ogni vita umana. Guida l’opera degli scienziati e dei medici,
perché il progresso contribuisca al bene integrale della persona e nessuno patisca soppressione e ingiustizia.
Dona carità creativa agli amministratori e agli economisti, perché sappiano intuire e promuovere condizioni sufficienti
affinché le giovani famiglie possano serenamente aprirsi alla nascita di nuovi figli. Consola le coppie di sposi che soffrono a causa dell’impossibilità ad avere figli,
e nella tua bontà provvedi.
Educa tutti a prendersi cura dei bambini orfani o abbandonati, perché possano sperimentare il calore della tua Carità,
la consolazione del tuo Cuore divino.
Con Maria tua Madre,
la grande credente, nel cui grembo hai assunto la nostra natura umana, attendiamo da Te, unico nostro vero Bene e Salvatore,
la forza di amare e servire la vita,
in attesa di vivere sempre in Te, nella Comunione della Trinità Beata. Amen
(Benedetto XVI, Basilica Vaticana 27 novembre 2010)

È molto interessante notare l’inaspettata conclusione di questo episodio evangelico. Da come si evolvono le dinamiche familiari di questa scena, e soprattutto da come Gesù risponde dinanzi alle parole angoscianti dei suoi genitori per la paura di averLo perso, sembra essersi quasi posta in atto una sorta di  rottura tra i  membri  della Santa Famiglia. Pare  che sia  giunto  il  momento  in  cui  il Figlio, divenuto maggiorenne, inizi a mettere argini e limiti all’autorità genitoriale per affermare la propria autonomia e la propria responsabilità su se stesso. È una scena molto comune tra le mura domestiche di ciascuna famiglia. È l’arrivo improvviso e prorompente di quella famosa ora cui nessun genitore si trova mai adeguatamente preparato.

È il momento in cui un figlio si presenta improvvisamente grande ed inizia a manifestare la sua capacità di scegliere lui stesso per la propria vita. Sorprende tantissimo vedere come anche la Famiglia di Nazareth viva le identiche e medesime dinamiche di ogni famiglia. In realtà, poi, continuando la lettura del testo, notiamo come non avviene di fatto alcuna rottura familiare. Anzi, sortisce proprio l’effetto opposto. Luca, infatti, scrive che Gesù «scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso» (Lc 2,51). Sembra la classica reazione di chi, non riuscendo a portare avanti le proprie rivendicazioni, per paura di qualche punizione fa alla fine quanto i genitori dicono. In realtà, Gesù si difende abbastanza bene e con il Suo parlare riesce ad ammutolire tutti e due i genitori. Il rimanere sotto l’autorità dei Suoi non è una scelta obbligata, costretta e forzata, ma manifesta una Sua libera e responsabile decisione per affermare ancora una volta la Sua originaria predilezione per la Famiglia. Il Verbo di Dio viene nel mondo nell’assoluta povertà e indigenza, rinunziando praticamente a tutto eccetto una sola cosa: incarnarsi dentro una Famiglia con una madre ed un padre. Dopo questa vicenda, infatti, Gesù continua a stare sottomesso ai Suoi perché «essi insieme insegnano il valore della reciprocità, dell’incontro tra differenti, dove ciascuno apporta la sua propria identità e sa anche ricevere dall’altro. Se per qualche ragione inevitabile manca uno dei due, è importante cercare qualche maniera per compensarlo, per favorire l’adeguata maturazione del figlio» (Al 172).

Luca conclude la vicenda in questo modo: «Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). In pochissime parole il Vangelo riesce ad affermare quanto di meglio e di fondamentale si possa garantire per la crescita di un figlio nella sua totale integrità. È bello sottolineare come la prima crescita messa in evidenza sia la “sapienza”. Essa non va assolutamente intesa come il progressivo arricchimento di un bagaglio di conoscenze o di competenze. Nel suo senso etimologico latino del verbo “sapere” la vera sapienza significa gustare il sapore o il senso profondo della propria vita. La sapienza è posta prima dell’“età”. Perché? Siamo dinanzi ad una vera rivoluzione copernicana nel pensare la modalità dello sviluppo della persona umana. In genere si pensa che prima passano gli anni e poi man mano nello scorrere del tempo si impara a scoprire il gusto e il senso della vita. Il Vangelo, invece, afferma una verità che è opposta a questo pensare comune, vale a dire prima viene il sapore vero della vita e poi segue il passare degli anni. Tutto ciò significa che ogni santo giorno della propria esistenza, cominciando dal primo, va sempre vissuto gustandone bellezza e profondità. Solo con questo stile di vita si rende possibile anche la fecondità dell’opera della grazia divina. Si è spesso abituati a domandare a Dio un Suo intervento nella nostra realtà umana, dimenticando però un famoso detto della filosofia scolastica: “gratia supponit naturam”. Certamente la grazia di Dio previene sempre qualsiasi opera umana, ma la sua efficacia è possibile qualora l’uomo si renda docile alla Sua azione. Infine, il Vangelo sottolinea come la crescita di Gesù non è un fatto privato che interessa solo la Sua Famiglia, ma si realizza “davanti agli uomini”, vale a dire sotto lo sguardo di tutti coloro che fanno parte della collettività del paese in cui Lui vive.

Qui ancora una volta il messaggio evangelico sorprende il modo spesso ristretto ed individualista di pensare le cose che riguardano l’ambito familiare. In altre parole, la crescita graduale di un piccolo essere umano non è un qualcosa che interessa e riguarda soltanto i suoi genitori. La sua evoluzione e la sua maturità toccano tutti, perché ogni persona è sempre un capitale umano per il bene di tutti, e tutti si è interpellati perché sia dato ad ogni piccolo essere umano in crescita tutto quanto gli consente per raggiungere il suo massimo sviluppo. Siamo dinanzi ad un vero e proprio inno della cultura della vita, di cui la famiglia è il grembo originario. Papa Francesco tiene allora a precisare che «la famiglia è l’ambito non solo della generazione, ma anche dell’accoglienza della vita che arriva come dono di Dio. Ogni nuova vita “ci permette di scoprire la dimensione più gratuita dell’amore, che non finisce mai di stupirci. È la bellezza di essere amati prima: i figli sono amati prima che arrivino”: Questo riflette il primato dell’amore di Dio che prende sempre l’iniziativa, perché i figli “sono amati prima di aver fatto qualsiasi cosa per meritarlo”» (Al 166). Anche «la madre che lo porta nel suo grembo ha bisogno di chiedere luce a Dio per poter conoscere in profondità il proprio figlio e per attenderlo quale è veramente» (Al 170). Oggi più che mai assistiamo alla diffusione di una mentalità che manipola in tutto e per tutto l’atto generativo della creatura umana a tal punto da disgiungerlo totalmente dal suo legame originario con la famiglia. Nella mentalità attuale non si percepisce più la benché minima differenza tra il generare un essere umano mediante il naturale atto coniugale e il generarlo tramite un’inseminazione artificiale o altre pratiche in continua evoluzione. Questo pensare comune in cui tutti ci ritroviamo dentro si diffonde sempre di più per un solo motivo: l’uomo ha smarrito la percezione che il figlio sia un dono grande che viene dall’Alto. Paradigmatica, a tal proposito, è l’affermazione che la Sacra Scrittura ci trasmette con la nascita del primissimo uomo: «Adamo conobbe Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì Caino, e disse: “Ho acquistato un uomo con l’aiuto del Signore”» (Gn 4,1).

La causa della situazione odierna, allora, è non semplicemente culturale o morale o sociale o economica o antropologica. Alla base di questo nuovo scenario mondiale sta principalmente la perdita del senso di Dio, e di conseguenza l’uomo stesso si sente il signore anche nel concepimento della nuova vita umana. Invece, solo in un’ottica di fede cambia totalmente la prospettiva nei confronti della vita. Anche quando «un bambino viene al mondo in circostanze non desiderate, i genitori o gli altri membri della famiglia, devono fare tutto il possibile per accettarlo come dono di Dio e per assumere la responsabilità di accoglierlo con apertura e affetto. Perché “quando si tratta dei bambini che vengono al mondo, nessun sacrificio degli adulti sarà giudicato troppo costoso o troppo grande, pur di evitare che un bambino pensi di essere uno sbaglio, di non valere niente e di essere abbandonato alle ferite della vita e alla prepotenza degli uomini”. Il dono di un nuovo figlio che il Signore affida a papà e mamma ha inizio con l’accoglienza, prosegue con la custodia lungo la vita terrena e ha come destino finale la gioia della vita eterna. Uno sguardo sereno verso il compimento ultimo della persona umana renderà  i genitori ancora più consapevoli del prezioso dono loro affidato» (Al 166). A tal proposito «con particolare gratitudine, la Chiesa “sostiene le famiglie che accolgono, educano e circondano del loro affetto i figli diversamente abili”» (Al 82): chi più di loro mostra a tutto il mondo il valore sacro e assoluto della vita umana fin dal concepimento?.

Infatti, «è così inalienabile il diritto alla vita del bambino innocente che cresce nel seno di sua madre, che in nessun modo è possibile presentare come un diritto sul proprio corpo la possibilità di prendere decisioni nei confronti di tale vita, che è un fine in sé stessa e che non può mai essere oggetto di dominio da parte di un altro essere umano. La famiglia protegge la vita in ogni sua fase e anche al suo tramonto» (Al 83). Certamente la generazione è un atto divino, e Papa Francesco evidenzia come «ogni donna partecipa “del mistero della creazione, che si rinnova nella generazione umana”» (Al 168). Allo stesso tempo, però, non meno sacro è l’atto dell’accoglienza di una vita nuova. In fondo, Maria e Giuseppe testimoniano come la loro grandezza sta proprio nell’aver accolto, ciascuno nella sua singolarità, il Verbo di Dio consentendoGli di incarnarsi nel mondo. Pertanto, se è vero che non  tutti generano biologicamente parlando, non meno vero è che tutti sono chiamati ad accogliere la vita sempre, dovunque e comunque. «La maternità non è una realtà esclusivamente biologica, ma  si esprime in diversi modi» (Al 178), e soprattutto «coloro che affrontano la sfida di adottare e accolgono una persona in modo incondizionato e gratuito, diventano mediazione dell’amore di Dio che afferma: “Anche se tua madre ti dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai” (cfr Is 49,15)» (Al 179). È proprio questo amore accogliente della famiglia a dare vita a chi purtroppo spesso viene negata. «Una coppia di sposi che sperimenta la forza dell’amore, sa che tale amore è chiamato a sanare le ferite degli abbandonati, a instaurare la cultura dell’incontro, a lottare per la giustizia. Dio ha affidato alla famiglia il progetto di rendere “domestico” il mondo, affinché tutti giungano a sentire ogni essere umano come un fratello» (Al 183).

Chi più della famiglia ha il potere di allargare concretamente gli orizzonti della cultura della vita nel mondo, dipingendo anche «il grigio dello spazio pubblico riempiendolo con i colori della fraternità, della  sensibilità sociale, della difesa delle persone fragili, della fede luminosa, della speranza attiva» (Al 184). Invece,  oggi «il narcisismo rende le persone incapaci di guardare al di là di sé stesse, dei propri desideri e necessità. Ma chi utilizza gli altri prima o poi finisce per essere utilizzato, manipolato e abbandonato con la stessa logica. È degno di nota il fatto che le rotture dei legami avvengono molte volte tra persone adulte che cercano una sorta di “autonomia” e rifiutano l’ideale di invecchiare insieme prendendosi cura l’uno dell’altro e sostenendosi» (Al 39). Di contro, la famiglia è l’unica che nel suo DNA ha insito in sé un incessante dinamismo di comunione che dovrebbe spingerla ad «accogliere con tanto amore le ragazze madri, i bambini senza genitori, le donne sole che devono portare avanti l’educazione dei loro figli, le persone con disabilità che richiedono molto affetto e vicinanza, i giovani che lottano contro una dipendenza, le persone non sposate, quelle separate o vedove che soffrono la solitudine, gli anziani e i malati che non ricevono l’appoggio dei loro figli, fino ad includere nel loro seno “persino i più disastrati nelle condotte della loro vita”» (Al 197). La famiglia è il luogo per antonomasia della cultura della vita perché è il luogo per eccellenza della presenza di Dio. Solo quando in ogni casa si riconoscerà questo binomio originario tra Dio e vita, il mondo sarà più umano e ogni uomo sarà sempre tutelato nella sua singolare dignità.

In Famiglia

Riflettiamo

  1. Ogni vita umana concepita è un dono sacro e inviolabile di Dio. Oggi, però, è sempre più diffusa la mentalità di assecondare il desiderio di avere il figlio ad ogni costo a tal punto da ricorrere con grande facilità a tutte quelle tecniche in continua evoluzione che consentono il concepimento a prescindere dal naturale atto coniugale. Ogni creatura umana, qualunque sia la sua modalità di concepimento, è sempre un dono di Dio. Stando così le cose, quale relazione esiste, allora, tra il dono di Dio della vita e il naturale atto coniugale?
  2. In che senso solo quando la famiglia si riconosce come luogo per eccellenza della presenza di Dio essa può diventare promotore della cultura della vita?

Viviamo

  1. Ogni famiglia ha insito in sé il dinamismo dell’accoglienza della vita in qualsiasi condizione si trovi, però non sempre questa indole viene messa in luce. Cosa fa da impedimento e cosa potrebbe essere di aiuto per una sua promozione?
  2. Quando i due coniugi sono in grado di accogliersi l’un l’altra nella totalità aprono il loro cuore a tutti. Che significa? Spiega concretamente magari raccontando esperienza

In Chiesa

Riflettiamo

  1. Spesso si pensa che la promozione della vita sia soltanto un qualcosa che riguarda la Chiesa con il suo apparato dottrinale e non alla base un diritto naturale ed inviolabile a prescindere da qualsiasi adesione religiosa o morale. Cosa la Chiesa potrebbe o dovrebbe fare per affermare il diritto sacro e inviolabile della vita a prescindere da tutto e da tutti?
  2. Il nesso originario e inscindibile tra amore e vita oggi sia fa sempre più debole fino ad essere messo in discussione. Quali gli errori? Quali le difficoltà? Quali le proposte.

Viviamo

  1. Non si può promuovere la cultura della vita senza la famiglia e la sua indole originaria dell’accoglienza. Cosa si potrebbe fare nella pastorale per mettere in moto questo circolo virtuoso?
  2. Quali proposte perché la Chiesa possa aiutare le famiglie a vivere la vera cultura della vita?