Un sacerdote psicoterapeuta e un giornalista psicologo analizzano le nevrosi nel clero: dal rischio di sentirsi «bruciati» per i troppi impegni alla sindrome della solitudine.
Il libro si chiama Preti sul lettino, gli autori sono Giuseppe Crea (sacerdote comboniano, psicoterapeuta) e Fabrizio Mastrofini (giornalista, psicologo), l’editore è Giunti, le pagine del volume sono 144 e il prezzo è di 12 euro.
Due terzi del clero è stanco, insoddisfatto, con problemi di sovraccarico di lavoro. Il libro riprende i dati degli psicoterapeuti che lavorano con sacerdoti e suore in difficoltà relazionali (con esempi di sedute) presentando una galleria di problematiche: chi si sente indispensabile, chi lavora troppo, chi non si sente compreso, chi è vessato dal superiore o dal vescovo, chi non sopporta i laici che l’aiutano. Si mettono in evidenza i problemi affettivi e la scarsa formazione ricevuta per affrontarli. In considerazione di ciò si analizzano le prospettive future per affrontare tali fenomeni, interrogandosi sul ruolo di questi funzionari del sacro formati a vivere una vita separata dalla gente. E’ in questi contesti che prolifera la pedofilia, come dimostrano le ricerche svolte dalle associazioni di psicologi cattolici negli Usa.
L’approccio del volume non è offrire ricette semplicistiche, né di presumere che i casi raccontati (rispettando ovviamente l’anonimato dei protagonisti) rappresentino complessivamente i problemi dei preti italiani. Che nella stragrande maggioranza non sono affatto afflitti da immaturità affettive o vocazionali. Però si vuole smentire pure l’ottimismo a buon mercato, ponendosi un franco interrogativo: «Tutto funziona per il meglio?». Gli autori invitano perciò a esplorare con sguardo mai morboso disagi psicologici e patologie affettive vissuti a volte da chi sceglie «una professione di aiuto come il sacerdozio».
La tipologia dei problemi ricorrenti è molto più estesa: dal malessere alla depressione, dallo «stress nell’attività pastorale» alle rigidità personali nel concepire la fede in modo «ritualistico», come fosse un «toccasana delle proprio inquietudini interiori». E poi i conflitti con gli altri preti, sperimentando l’incapacità di gestire le relazioni e i salti generazionali, i carichi di impegni crescenti. Senza contare la pressione psicologica provocata dalle continue sollecitazioni dei fedeli che cercano un punto di riferimento, oppure sono disinteressati e lontani. Ci vuole un saldo equilibrio emotivo pure per governare nevrosi personali, talvolta condite da narcisismo e ossessioni di perfezione. Così la «discussa solitudine del prete» non sembra tanto dovuta alla mancanza di affetti, quanto «alla percezione di una solitudine ecclesiale davanti ai problemi e alle decisioni da prendere. Come il quarantenne don Ferdinando, che si ritrova oberato di impegni e sbotta di fronte a chi gli dice che l’unica soluzione ai suoi dubbi e problemi sia la preghiera, accorgendosi poi che fin da piccolo gli era stato chiesto di rispondere ad aspettative troppo alte rispetto alle sue capacità. O don Alfonso, trentacinquenne con la sindrome del «buon samaritano» fino ad annientarsi per gli altri, perdendo il contatto con le motivazioni della sua scelta.
Al di là della casistica, gli autori suggeriscono una strategia che comprenda anche un vocational center per la formazione permanente dei formatori, oltre a un «centro di primo ascolto» che accolga i preti in difficoltà e li aiuti a fare discernimento, con un eventuale sostegno psicologico: interventi che non possono essere lasciati all’improvvisazione.
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