“Prendimi per mano” è il titolo denso di tenerezza e mistero di questo libro, che credo sia un invito di Cristo rivolto alla mia vita. Prendere per mano è per eccellenza il gesto più significativo e concreto di ogni azione educativa. Per condurre qualcuno in qualsiasi direzione, non basta che gli si dica cosa fare o dove andare, è necessario prendere per mano, accompagnare, un passo alla volta fino alla meta. Questo testo è il tentativo di riflettere teologicamente e sognare una Chiesa mistagogica, desiderosa di prendere per mano e condurre l’umanità all’incontro col Maestro, lungo le strade dell’esistenza.
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Leggi la prefazione
Sono contento se i preti continuano a studiare anche dopo gli anni del Seminario, perché così non vivono di rendita e acquisiscono l’habitus di approfondire gli argomenti, senza scadere nel pressapochismo e nella superficialità parolaia. Sono ancora più contento quando i sacerdoti mettono a frutto i loro studi nella concretezza della vita pastorale, perché così tutto viene finalizzato alle esigenze di quella vocazione che è il dono più grande della loro esistenza. Per tale duplice motivo sono lieto di presentare questo testo, in cui confluiscono gli studi di don Giuseppe Ciarciello per il dottorato in sacra liturgia e vengono prospettate interessantissime possibilità per non battere l’aria nelle nostre progettazioni pastorali. Certo, lui per primo è consapevole che la riflessione teorica e l’agire pastorale viaggiano da sempre a velocità differenti. Tuttavia, la sfasatura delle due velocità non impedisce che si converga sui medesimi obiettivi. Ed è appunto la tesi di questo nostro autore, ossia la mistagogia come feconda opportunità per alimentare un’efficace formazione cristiana.
Per non restare sul piano generico, dico subito che questo libro mi ha fatto pensare ad un vero mistagogo da cui io stesso ho ricevuto tanto e che non esito ad accostare alle grandi figure che sono richiamate in queste pagine. Mi riferisco a mons. Mariano Andrea Magrassi, abate benedettino di S. Maria della Scala a Noci e poi arcivescovo di Bari per lunghi anni. Sono cresciuto assaporando il contenuto dei suoi libri, e ho avuto modo di ascol-
tarlo in tante occasioni. Ogni volta lo ascoltavo incantato. Definirlo liturgista è riduttivo e inappropriato. Egli viveva la liturgia, era davvero la sua porta d’accesso al Mistero di Dio. Per questo gli era connaturale parlarne con tanta limpidezza, convinzione e intima commozione. Nelle sue brevi omelie, nelle articolate meditazioni dei corsi di esercizi o di ritiri spirituali da lui guidati, nelle conferenze, negli interventi occasionali, nelle lettere pastorali pensate e scritte per la sua diocesi, nei libri che portano il suo nome egli attingeva sempre da lì, da quello scrigno inesauribile in cui aveva scoperto fin dalla sua giovinezza grandi tesori, che poi negli anni della maturità trasfondeva con visibile gioia anche a vantaggio degli altri.
Gli tornava frequentemente sulle labbra la sintetica formula enunciata dal concilio Vaticano II nella costituzione sulla sacra liturgia: «per ritus et preces mysterium bene intelligentes». Ci credeva per esperienza e gli era spontaneo suscitare in chi lo ascoltava il desiderio di entrare nel Mistero divino, celebrato nei sacramenti e in tutta la liturgia della Chiesa, proprio da questa porta: attraverso i riti e le preghiere. Con quanto gusto commentava i testi o i gesti liturgici! Non c’era traccia in lui di quel vacuo estetismo o dell’ostinato formalismo, che oggi ci impensieriscono osservando certe derive nelle modalità celebrative. E, viceversa, era mille miglia lontano da quella creatività selvaggia che trasforma i riti in un continuo show alla ricerca di effetti speciali.
Mons. Magrassi viveva ciò che celebrava, sentiva nell’anima la pregnanza delle orazioni e il valore dei gesti sacramentali. Dal contatto vivo con il Mistero celebrato sapeva trarre quotidiano nutrimento per sé, per la porzione di gregge del Signore che era chiamato a pascere e per coloro che in vario modo erano raggiunti dalla sua parola semplice e al tempo stesso vibrante. Ne sapeva trarre anche inattese applicazioni sociali, come fece, con notevole risonanza, mentre era ancora all’abbazia benedettina di
Noci, quando venne chiamato ad intervenire al primo Convegno ecclesiale italiano che si tenne a Roma nel 1976. Sfatando i pregiudizi di molti, egli parlò magistralmente sul tema «Liturgia e promozione umana», mostrando che cosa può scaturire sul piano umano e sociale dalla liturgia ben celebrata e interiormente vissuta. Ecco la vera mistagogia, ed è così che la intende e la presenta don Giuseppe Ciarciello in questa pubblicazione. Condotti per mano da una guida sapiente, si comprende gradualmente la grande ricchezza dei doni ricevuti nella vita sacramentale e si apre il cuore a tutte le implicazioni che ne conseguono.
Chi può essere questo sapiente mistagogo? Qui l’autore propone una risposta che mi piace molto. Una risposta plausibile e ben motivata, che porta sul piano della concretezza questo discorso così alto. L’esperienza vissuta dai neofiti al tempo di sant’Ambrogio o di san Cirillo di Gerusalemme, e anche la fortuna di chi ha avuto come vescovo mons. Magrassi non è facilmente replicabile. C’è però una via ordinaria da proporre e da valorizzare: quella della «direzione spirituale». Un buon padre spirituale, una buona madre spirituale, frequentati con costanza e apertura d’animo, possono divenire naturaliter validi mistagoghi, accompagnandoci in questo cammino di crescita interiore e rendendoci consapevoli di ciò che abbiamo già ricevuto e di come possiamo corrispondere a tanta grazia.
Invito a leggere con attenzione l’intero libro e particolarmente questa parte dedicata all’accompagnamento spirituale personale, in chiave mistagogica. Le questioni accademiche resteranno sullo sfondo, ma si potranno scoprire sentieri accessibili e sicuri per salire di quota nella vita cristiana e per portare frutto nella Chiesa e nel mondo.
✠ Fabio Ciollaro
Vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano
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