Oggi, anziché il consueto commento al vangelo, vorrei proporre una riflessione che mi è sorta ieri durante una meditazione sul libro di T. Radcliffe, Amare nella libertà (Qiqajon 2007).
Quando non vogliamo decidere cosa fare o cosa non fare, ci piace tanto delegare agli altri: chiediamo che ci diano un libretto di istruzioni, che ci gestiscano come automi, che ci dicano quali gesti siano ammessi e quali proibiti a seconda della classificazione di ogni rapporto preconfezionato tra individui. Se qualcosa non dovesse andar bene, anche la colpa sarebbe scaricata sugli altri.
Eppure la comunità, la comunione, la comunicazione… ci invitano a qualcosa di diverso: ad essere non automi, bensì veramente autonomi, coscienti, responsabili. Non si tratta di anarchia libertina, né al contrario di una deontologia, e nemmeno di semplice buonsenso come potrebbe sembrare. Amare nella libertà, vale a dire la castità nel suo senso più pieno che travalica la sfera sessuale, per un cristiano è l’ascolto integrale della relazione trinitaria che abita il cuore di ogni relazione in cui scopriamo la presenza incarnata di Dio.
Una relazione profonda: non di sole immagini, non di sole parole, non di soli pensieri, non di sole cellule. Bensì di corpi – come quello di Gesù – nella ricca interezza interiore ed esteriore. Ogni volta che dissezioniamo una persona prendendone solo ciò che ci piace o ciò che ci serve – sia esso il motore o la carrozzeria – la rendiamo davvero un cadavere, una macchina, un oggetto.
Quando pensiamo che il corpo di un uomo o di una donna serva solamente ad appagarci o a procreare lo stiamo amputando: commettiamo un sacrilegio, perché mandiamo in frantumi l’unità del dono che abbiamo ricevuto integro e che siamo chiamati a ridonare nella bellezza del tutto. La comunione è resa possibile unicamente quando ogni corpo può amare comunicando tutta la vita trinitaria, e non solo un’elica di di DNA.
Mai per costrizione: siamo sempre liberi di creare per il piacere dell’altro, per vivere della creatività dello Spirito, per volteggiare al ritmo trinitario “inutile” – senza profitto egoistico – che può risplendere solamente nei corpi che siamo.
Commento a cura di:
Piotr Zygulski, nato a Genova nel 1993, dopo gli studi in Economia all’Università di Genova ha ottenuto la Laurea Magistrale in Filosofia ed Etica delle Relazioni all’Università di Perugia e in Ontologia Trinitaria all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI), dove attualmente è dottorando in studi teologici interreligiosi. Dirige la rivista di dibattito ecclesiale “Nipoti di Maritain” (sito).
Tra le pubblicazioni: Il Battesimo di Gesù. Un’immersione nella storicità dei Vangeli, Postfazione di Gérard Rossé, EDB 2019.
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Marta lo ospitò. Maria ha scelto la parte migliore.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10, 38-42
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Parola del Signore.