«Desiderio di potere, ambizione di realizzare se stessi, ricerca di gratificazione personale» si possono nascondere anche dietro ai nostri slanci migliori, avvisava don Andrea Gallo. Uno che di poveri, storpi, zoppi e ciechi se ne intendeva: drogati, puttane, trans, clandestini, delinquenti, accattoni, ultimi, scarti di ogni genere e colore accorrevano da lui per pranzo e cena.
Eppure ben sapeva che in tante iniziative umanitarie e filantropiche si nasconde la voglia di farsi notare, di ricevere apprezzamenti, di strappare qualche voto in più o un qualsiasi contraccambio che ci allontana dal messaggio evangelico. Gesù scardina la logica mafiosa delle consorterie, dei gruppetti chiusi di interesse, del corpirsi a vicenda in un rapporto di reciproca convenienza e connivenza. Se le riconosciamo in tutta la loro dignità, le persone in sé sono già un dono sovrabbondante. Tempo, risorse, compagnia e sostegno affettivo possono essere donate, come mostra il Risorto, non per lecchinaggio o elemosina che gratifica soprattutto chi la fa, bensì come occasione di liberazione integrale della persona dalla condizione di inferiorità, emarginazione e discriminazione in cui l’abbiamo condannata, magari perché la pensa diversamente da noi. Dobbiamo liberarci innanzitutto dall’esigenza che tutti coloro per i quali facciamo qualcosa debbano contraccambiare nei confronti nostri o del nostro gruppetto.
L’utilitarismo conduce a discriminare: da una parte le azioni e le persone utili, dall’altro quelle inutili. Se quelle inutili le calpestiamo senza troppi scrupoli, l’utile atteso dalle persone utili può divenire una vera e propria droga, che ci spinge a usarle come bancomat per soldi che non vogliamo sudare, come database per ricerche che preferiamo delegare, come cenerentole per lavori che non vogliamo fare, come linee hot per corpi che non vogliamo affrontare o come manichini per un selfie che ci assicuri un posto in società. Il dramma è che lo facciamo con tutti, pure con Gesù… forse andiamo dietro a tante persone, ma agiamo davvero per loro oppure per noi?
Se è per loro, uno slancio eccessivo ma concreto, che superi ogni calcolo prevedibile e che ai nostri occhi li trasformi da numeri/oggetti a fratelli unici e irripetibili, può smuovere quelle situazioni considerate perdute. Solamente quella gratuità, capace di accogliere con la medesima gioia un rifiuto o un’accoglienza, è pronta a ricevere gratuitamente da Dio tutta la forza sorprendente del Risorto che ci libera dalla schiavitù dell’autoreferenzialità. Senza avanzare pretese di ricompense servili, godiamo semplicemente dello stare insieme fraternamente, da risorti, amando per primi a partire da chi non conosciamo.
Commento a cura di:
Piotr Zygulski, nato a Genova nel 1993, dopo gli studi in Economia all’Università di Genova ha ottenuto la Laurea Magistrale in Filosofia ed Etica delle Relazioni all’Università di Perugia e in Ontologia Trinitaria all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI), dove attualmente è dottorando in studi teologici interreligiosi. Dirige la rivista di dibattito ecclesiale “Nipoti di Maritain” (sito).
Tra le pubblicazioni: Il Battesimo di Gesù. Un’immersione nella storicità dei Vangeli, Postfazione di Gérard Rossé, EDB 2019.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14, 12-14
In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato:
«Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio.
Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Parola del Signore