La Pentecoste è inseparabile dalla Pasqua: lo Spirito è già stato effuso tutto nel respiro di Gesù innalzato in Croce. Se Luca negli Atti degli Apostoli dilata questa esperienza comunitaria in cinquanta giorni, il brano evangelico giovanneo invece la colloca proprio nel primo giorno della settimana, quando il Risorto si rende presente ai discepoli sprangati nel Cenacolo. Erano riuniti attorno alla Mensa, ma ancora bloccati dalla paura. Lì irrompe il Signore, che non rinfaccia di essere stato abbandonato nell’Ora decisiva, ma mostra il proprio corpo segnato dalla passione ed esposto all’amore trasfigurante del Padre per testimoniare che ci ama da morire. La Pasqua per i discepoli inizia come un’esperienza di amore, perdono e unità.
Questa dinamica trova pienezza nel dono dello Spirito Santo, che è la Pace promessa agli amici nel discorso di addio dei capitoli 14-16. La Pace è l’armonia ristabilita laddove qualcosa si era rotto: il corpo di Cristo è proprio quello, ferito da mani d’uomo, ma ora sovrabbondante di vita divina. La Pace vera (non un saluto per quieto vivere o una tregua per silenziare gli sconfitti; ciò resterebbe precristiano) innanzitutto libera dal timore; quando risuona un’altra volta è forza per uscire tra gli uomini e delicatezza per entrare nelle relazioni ferite, per inserirvi tutta l’unità della nostra vita con quella trinitaria. È quindi partecipazione alla vita divina, perché il Figlio alla comunità affida lo stesso Spirito che lo unisce al Padre e che il Padre riversa nelle sue mani e nel suo fianco perforati, affinché viva di questa relazione incondizionata.
Il soffio dell’unità tra Padre e Figlio, travasato in noi, anima così il corpo della comunità ecclesiale. Ora chi è in Cristo ha la responsabilità di svelare l’amore generoso e generativo che è Dio, perché si renda presente nel volto dell’uomo liberato il volto del Figlio, a gloria del Padre. In questo senso la remissione dei peccati è la capacità di discernere insieme la sintonia con il corpo spezzato, e al contempo Risorto nel perdono, per mezzo dello Spirito. Perdonare e ritenere non sono dunque arbitrio della Chiesa, ma ascoltare dove già soffia lo Spirito, per riconoscere cosa conduce all’unità e cosa invece propaga l’ingiustizia. La vita che parte dal Cenacolo si realizza nel costante liberare se stessa dagli ostacoli e nel portare con Gesù i pesi del passato, accogliendo e perdonando. La comunità, con la creatività dello Spirito che comunica la vita divina, decide di incorporare l’uomo che ha scelto di passare dall’oppressione alla liberazione; Dio suggella con il suo soffio delicato, per mezzo di Gesù, la libertà accolta. Se il peccato era proprio il disgregarsi dell’unità, il frantumarsi della pace e la scelta di stare nella logica di chi calpesta la dignità umana, ora possiamo invece vivere nel dolce soffio che raggiunge e ricongiunge i corpi più sensibili.
Attorno al Risorto, la Pentecoste ci affida la stessa missione: liberare la vita da ogni schiavitù.
Piotr Zygulski e d. Maurizio Spanu
(l’Arborense — Diocesi di Oristano)
Commento a cura di:
Piotr Zygulski, nato a Genova nel 1993, dopo gli studi in Economia all’Università di Genova ha ottenuto la Laurea Magistrale in Filosofia ed Etica delle Relazioni all’Università di Perugia e in Ontologia Trinitaria all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI), dove attualmente è dottorando in studi teologici interreligiosi. Dirige la rivista di dibattito ecclesiale “Nipoti di Maritain” (sito).
Tra le pubblicazioni: Il Battesimo di Gesù. Un’immersione nella storicità dei Vangeli, Postfazione di Gérard Rossé, EDB 2019.