Abbiamo due figure: un fariseo, ebreo modello, che vive secondo i comandamenti e attraverso un’impegnata devozione, che persino eccede quanto prescritto dalla Legge di Dio, pensa di meritare la salvezza; un pubblicano, peccatore, che sa di dover mendicare il perdono, perché non ha alcuna cosa da vantare dinnanzi a Dio.
Questa doppia istantanea affiancata forse in origine poteva essere sufficiente per mostrare due modalità differenti per cercare la medesima salvezza. Molti si sarebbero riconosciuti volentieri nel modello “praticante”; eppure Gesù qui getta qualche scompiglio nel dire che lui predilige un “non praticante”. Con la trasmissione della parabola, le prime comunità cristiane hanno calcato la differenza tra i due. Così il peccatore è diventato innanzitutto un esempio di preghiera umile, a confronto con il giusto che viene descritto come arrogante. Chi si umilia per il male commesso è ancora più gradito a Dio rispetto a chi fa il bene, e a maggior ragione se quello va a vantarsi con presuntuosa arroganza di tutte le opere buone compiute e sbandierate ai quattro venti. Infine si giunge all’attualità della Chiesa vivente, dove c’è chi, oltre a vantarsi, addirittura disprezza la sorella o il fratello, facendo paragoni: «Non sono mica un divorziato risposato, un gay o un trans!»; «Un musulmano non può conoscere la verità meglio di noi cattolici!»; «Nessuno prega il rosario più intensamente di me!».
Non solo la presunzione di sentirsi sufficientemente a posto, ma pure il considerare gli altri inferiori a noi è sintomo della mancanza di un autentico amore fraterno. Proprio chi si sente amico di Dio dovrebbe guardare con particolare stima e attenzione chi invece gli sembra lontano, perché Dio stesso si è fatto lontano: ha abbracciato le parti più oscure di noi e dell’universo. Invece talvolta troviamo un disprezzo della periferia, prediligendo i nostri posti d’onore, al centro; questo evangelo, grazie a Dio, ci ribalta tutto.
Ancora oggi, tra noi, è forte la tentazione di pensare di essere più cristiani degli altri per il solo fatto che facciamo qualcosa in più: qualche incarico in Chiesa, il numero di liturgie frequentate, la quantità di denaro donata in elemosina… ma non è nulla di tutto ciò a renderci più giusti di fronte a Dio, anzi: il perfezionismo che ci illude di essere autosufficienti ci allontana dalla santità ricevuta da chi, nella vita in generale, si aggrappa unicamente alla misericordia di Dio per accogliere dalle sue mani ogni bene.
Commento a cura di:
Piotr Zygulski, nato a Genova nel 1993, dopo gli studi in Economia all’Università di Genova ha ottenuto la Laurea Magistrale in Filosofia ed Etica delle Relazioni all’Università di Perugia e in Ontologia Trinitaria all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI), dove attualmente è dottorando in studi teologici interreligiosi. Dirige la rivista di dibattito ecclesiale “Nipoti di Maritain” (sito).
Tra le pubblicazioni: Il Battesimo di Gesù. Un’immersione nella storicità dei Vangeli, Postfazione di Gérard Rossé, EDB 2019.
Letture della
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Prima Lettura
La preghiera del povero attraversa le nubi
Dal libro del Siràcide
Sir 35,15b-17.20-22a
Il Signore è giudice
e per lui non c’è preferenza di persone.
Non è parziale a danno del povero
e ascolta la preghiera dell’oppresso.
Non trascura la supplica dell’orfano,
né la vedova, quando si sfoga nel lamento.
Chi la soccorre è accolto con benevolenza,
la sua preghiera arriva fino alle nubi.
La preghiera del povero attraversa le nubi
né si quieta finché non sia arrivata;
non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto
e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.
Parola di Dio
Salmo Responsoriale
Dal Sal 33 (34)
R. Il povero grida e il Signore lo ascolta.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. R.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce. R.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia. R.
Seconda Lettura
Mi resta soltanto la corona di giustizia.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
2 Tm 4,6-8.16-18
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Parola di Dio
Vangelo
Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 18,9-14
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Parola del Signore