Mi spiace deludere un po’ le pie devozioni, ma gli storici e i biblisti concordano che il Matteo che troviamo nell’evangelo di oggi non è il medesimo Matteo che ha scritto il vangelo nella prospettiva di Matteo basandosi anche su quello di Marco, che neppure fu testimone oculare del Gesù prepasquale.
Non avrebbe troppo senso partire da una fonte di seconda mano se l’evangelista fosse già stato uno dei Dodici apostoli, cioè una fonte di prima mano. Ad ogni modo questo povero peccatore, amico degli invasori romani, poi fatto apostolo, qui diventa l’ennesimo pretesto per criticare Gesù. Il quale risponde con franchezza che chi si sente giusto, sano, tutto-a-posto, non ha bisogno di diventare apostolo, anche perché non vuole: eppure spesso carica gli altri di sacrifici poco sostenibili, realisticamente impraticabili, che alla fine vengono rifiutati.
Quest’uomo invece sa bene di non essere a posto, e con scattante decisione coglie la proposta di misricordia di Gesù, rivolta innanzitutto a chi tutto-a-posto non è, ai malati, agli ingiusti. Chi ha questa consapevolezza, anche per semplice convenienza ha solamente da guadagnare dalla misericordia di Gesù. Così può nascere la vita nuova: nell’incontro tra chi ci fa fare un’esperienza della nostra dignità umana, della bellezza che possiamo avere, della bontà che possiamo essere, e le nostre miserie.
Che scopriamo proprio quando incontriamo ciò che possiamo essere, senza che ci faccia pesare tutto ciò che non siamo; senza additarci come peccatori come fa chi si crede giusto magari senza esserlo, ma anzi coinvolgendoci nella responsabilità della missione. Questa lontananza, questa distanza, questa differenza con Gesù è una medicazione che può anche bruciare, lì per lì, ma inizia a sanare tutte le nostre ferite. È l’esperienza del sacramento della riconciliazione: quando ci confrontiamo con la Parola di Dio che ci rimette in moto per seguire Gesù.
Non è un sacrificio insostenibile, come quello che talvolta prendendiamo per gli altri e per noi quando il diavolo ci convince di non essere perdonabili, bensì una scelta di misericordia di Gesù. Come Matteo, scegliamo di farla nostra, per la nostra vita e per quella di chi oggi incontreremo
Commento a cura di:
Piotr Zygulski, nato a Genova nel 1993, dopo gli studi in Economia all’Università di Genova ha ottenuto la Laurea Magistrale in Filosofia ed Etica delle Relazioni all’Università di Perugia e in Ontologia Trinitaria all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI), dove attualmente è dottorando in studi teologici interreligiosi. Dirige la rivista di dibattito ecclesiale “Nipoti di Maritain” (sito).
Tra le pubblicazioni: Il Battesimo di Gesù. Un’immersione nella storicità dei Vangeli, Postfazione di Gérard Rossé, EDB 2019.
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Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Misericordia io voglio e non sacrifici.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9, 9-13
In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Parola del Signore.